Sono uno degli elementi chiave della cosiddetta “Garanzia per i giovani” che dovrebbe finalmente assestare un duro colpo alla disoccupazione giovanile dilagante in Europa. Eppure per garantire la qualità di quegli stessi tirocini di cui tutti gli Stati membri sottolineavano l’importanza non più tardi del Consiglio europeo dello scorso aprile, ora quasi nessuno è pronto a muovere un dito. A dicembre 2013 la Commissione europea ha proposto agli Stati membri un quadro di qualità per gli stage: una serie di norme tra cui l’obbligatorietà di un contratto scritto che stabilisca contenuti di apprendimento e condizioni di lavoro del tirocinio. L’idea era di portarlo al Consiglio di marzo per l’adozione ma l’ipotesi si sta rivelando davvero troppo ottimistica. Durante le discussioni sul quadro di qualità le differenze e gli scontri sono forti, “un bagno di sangue”, come dice chi conosce bene il dossier, con la grande maggioranza degli Stati pronti ad opporsi strenuamente alla richiesta di garantire norme minime per garantire la dignità degli stagisti.
Al momento sarebbero contrari ben 24 Stati su 28. Tra i pochissimi difensori dell’idea dell’esecutivo Ue rimane l’Italia che “sta provando a difendere la proposta con grandissima fatica”, ha spiegato Tatiana Esposito della Rappresentanza italiana nell’Ue nel corso del dibattito “Italia-Europa solo andata?” organizzato ieri al Parlamento europeo dal gruppo Giovani Italiani Bruxelles. Ma gli attacchi degli Stati sono su tutti i fronti. Di retribuzione minima per i tirocinanti il quadro non parla, perché fin dall’inizio i Paesi l’hanno ritenuta inaccettabile. Alcuni Stati starebbero addirittura chiedendo si possa eliminare la parola “scritto” riferita all’accordo tra tirocinante ed azienda, come se per garantire un periodo di apprendimento di qualità potesse bastare qualche parola scambiata a voce. “Io ho paura non si riesca ad andare in Consiglio per l’adozione a marzo – ha detto Esposito – oppure che ci si vada ma con un testo talmente debole da diventare risibile”. Più probabile dunque che tutti slitti a giugno ma bisogna vedere quali tutele si riusciranno a salvare dagli assalti dei Paesi.
E dire che di tutele ne servirebbero se si pensa che, secondo l’ultimo Eurobarometro, un terzo delle esperienze di tirocinio si rivelano carenti sul fronte dell’apprendimento e ben il 60% degli stagisti non vede ricompensato in alcun modo il proprio lavoro. L’Italia sembra averlo capito ed essere pronta a battersi su questo tema. Non solo: il ministro del lavoro italiano, Enrico Giovannini, troverebbe particolarmente interessante anche l’idea di un “unemployment benefit scheme”, uno schema di tutele, da discutere magari proprio nel corso della Presidenza italiana, a partire dal prossimo luglio.
A lanciare la riflessione non solo sulla qualità dei tirocini ma anche sulle risposte dell’Italia e dell’Europa alla disoccupazione giovanile è stato il gruppo Giovani Italiani Bruxelles che nel corso del dibattito di ieri ha lanciato l’allarme su quella che ormai è diventata una vera diaspora. “Per tanti giovani italiani la mobilità europea è un viaggio di sola andata. Le risorse umane, specialmente i giovani, che partono dall’Italia molto spesso non tornano con il loro bagaglio di esperienze. Questo fenomeno non si può considerare di “mobilità europea” ma “una emigrazione classica se non c’è rientro” ha fatto notare Daniel Puglisi, cofondatore del gruppo. “Non ci vogliamo sentire cervelli in fuga ma cervelli in transito” hanno sottolineato in tanti, rivendicando la possibilità di potere tornare in Italia una volta arricchita la propria esperienza professionale all’estero.
Già perché anche se un italiano su due, secondo un indagine dell’Istituto Toniolo, è pronto ad andare all’estero, tanti sono anche quelli che vorrebbero tornare. Qualcuno ce la fa, come ha raccontato il designer siciliano Vincenzo Di Maria, tornato a lavorare sull’isola dopo dieci anni di studi e carriera all’estero. Ma “ci sono riuscito per intraprendenza personale – spiega – l’Italia non mi ha aiutato a farlo”. Quello che i giovani vorrebbero capire è invece proprio cosa il nostro Paese e l’Europa abbiano intenzione di fare per fermare questa emorragia di talenti che danneggia tanto le singole vite di chi è costretto a scappare, quanto il futuro del nostro Paese. “Siamo la generazione più formata e più mobile di sempre – è l’appello rivolto da Giorgio Zecca, policy officer dell’European Youth Forum, alla politica -. Smettete di chiederci: vi potete formare di più? Vi potete muovere di più? Ora tocca a voi muovervi!”.
Leggi anche:
– Approda al Parlamento europeo la diaspora dei “cervelli in fuga” dal Belpaese
– Diciassette paesi dell’Ue hanno già pronto il piano per l’occupazione giovanile
– Stage a 0 euro, nell’Unione europea sono circa il 60% del totale
– Disoccupazione giovanile: “Serve una Garanzia over 25”
– A Bruxelles è rivolta degli stagisti: “Vogliamo condizioni di lavoro migliori”