L’Unione europea invierà un suo contingente militare nella Repubblica Centrafricana per affiancare la missione francese Sangaris, e quella internazionale a guida africana Misca (Mission internationale de soutien à la Centrafrique). Lo hanno deciso a Bruxelles i ministri degli Esteri dei Ventotto riuniti nel Consiglio Affari esteri dove è stato raggiunto “un accordo politico sulla prospettiva di un’operazione militare all’interno della Politica europea di sicurezza e difesa” si legge in una nota che spiega: “Il Consiglio ha esortato le autorità competenti a preparare le misure necessarie per la rapida istituzione di questa operazione” che sarà “oggetto di una ulteriore decisione”. Le truppe dell’Ue, non si sa ancora in quale numero, verranno dispiegate nell’area della capitale Banguoi ma l’operazione “dovrà basarsi su una risoluzione dell’Onu”. Ora si attende il via libera del Palazzo di Vetro che dovrebbe arrivare nel Consiglio di sicurezza del prossimo 23 gennaio, ed entro la fine del mese dovrebbero essere formalizzate tutte questioni tecniche per dare il via libera definitivo alla partenza dei soldati dei Paesi comunitari. Su quale sarà il loro numero non ci sono ancora cifre precise, probabilmente si tratterà di un migliaio di uomini provenienti da diverse nazioni (nessun italiani) che andranno ad affiancarsi ai 1600 francesi già presenti sul territorio e ai 4mila africani della Misca. La durata della missione sarà di un periodo “fino a sei mesi” si legge nel comunicato del Consiglio, ovvero il tempo necessario per permettere alla missione a guida africana di raggiungere la piena operatività con l’arrivo di altri 2mila uomini dal continente.
La forza militare contribuirà “all’interno della propria area di attività”, ovvero nella zona della capitale, agli “sforzi internazionali e regionali per proteggere le popolazioni più minacciate”. Ma questa decisione non è piaciuta alla Sinistra Unita del Parlamento europeo che, per bocca dell’eurodeputata Sabine Lösing, ha attaccato: “Ancora una volta assistiamo allo stesso modello di intervento militare occidentale”, un intervento “condotta in nome di questioni umanitarie” ma che “in realtà è parte di una strategia globale per proteggere e controllare le ricchezze minerarie nella regione”.
“Quella della Repubblica centrafricana è da troppo tempo una crisi dimenticata, da oggi non lo è più” ha commentato invece la commissaria europea per gli interventi umanitari e la risposta alle crisi. Kristalina Georgieva ha oggi presentato i risultati della conferenza dei donatori che ha messo a disposizione del Paese 366 milioni di euro di cui 45 verranno stanziati dalla Commissione, 35 da Parigi, 45 milioni di dollari dagli Usa e, tra gli altri, contribuiranno anche la Banca per lo sviluppo africano con 75 milioni di dollari, e la Banca mondiale con 100 milioni di dollari. Con questi soldi si coprirà “il 100% del fabbisogno immediato e il 90% del fabbisogno di finanziamento stimati dalle Nazioni Unite per il 2014” ha spiegato il vice ministro francese per lo Sviluppo, Pascal Canfin. Il primo febbraio ad Addis Abeba è già in programma un’altra conferenza dei donatori da cui dovrebbero uscire i fondi necessari mancanti. Questi soldi dovranno servire a finanziare gli interventi umanitari di breve e medio termine ma anche a pagare i servizi sanitari, scolastici e diversi servizi di base perché ormai nel Paese, “lo Stato è completamente evaporato” ha continuato Georgieva.
La Repubblica Centrafricana è tra i paesi più poveri del mondo, nel marzo scorso il presidente Francois Bozize è stato destituito da una coalizione eterogenea a dominanze musulmana, denominata Séléka. Un atto che ha fatto sprofondare il paese nel caos con feroci violenze intertribali e interreligiose tra cristiani e musulmani. Da allora quasi un milione di persone sono state sfollate, la metà dei quali nella capitale Bangui. Più di 245mila centrafricani hanno cercato rifugio nei paesi vicini. “Quello che succede in Centrafrica è nient’altro che pura follia: qualunque pretesto è buono per massacrarsi fra etnie e religioni diverse” spiegano gli attivisti della Onlus di Nico che insieme ai missionari della Missione Safà, che operano nel sud ovest del Paese, gestiscono alcune scuole nelle zone più povere della nazione. “In questo momento i nostri presidi sono chiusi perché le violenze sono arrivate anche alla Safà e ora molte famiglie hanno lasciato per paura i villaggi e sono andate a nascondersi con i figli nella giungla dove è più difficile essere colpiti” scrivono in una nota. I missionari hanno lanciato un appello alla comunità internazionale che è consultabile sulla loro pagina Facebook.
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