Politiche orizzontali
Il rilancio della competitività dell’UE richiede una riflessione sull’assetto istituzionale e sul funzionamento dell’Unione europea. Come dimostrato nella presente relazione, nessuno Stato membro può affrontare da solo le principali sfide della competitività o competere con i principali concorrenti globali dell’Europa. Per questo motivo, l’UE rappresenta più che mai un’opportunità per i suoi Stati membri. Allo stesso tempo, in vari settori il complesso sistema di governance dell’UE può influire negativamente sull’efficienza e sull’efficacia della nostra azione collettiva rispetto a quella di Stati Uniti o Cina, concorrenti globali che possono agire come un unico Paese con un’unica strategia geoeconomica e allineare dietro di essa tutti gli strumenti politici necessari. Allo stesso tempo, un onere normativo e amministrativo eccessivo può ostacolare la facilità di operare nell’UE e la competitività delle imprese europee.
Il rafforzamento del modello politico e istituzionale unico dell’UE richiederebbe una modifica del Trattato, tuttavia si può già fare molto con aggiustamenti mirati senza bisogno di ricorrere a tale modifica. In particolare, un partenariato europeo rinnovato dovrebbe basarsi su tre pilastri fondamentali:
- Rifocalizzare il lavoro dell’UE. Fare meno cose meglio a livello dell’UE, dando priorità alle politiche e agli atti in cui l’azione dell’UE ha il massimo valore aggiunto, garantendo al contempo la piena attuazione e applicazione a tutti i livelli di governo. Ciò significa “più Europa” dove conta davvero, lasciando al contempo più margine di manovra e responsabilità agli Stati membri e al settore privato, in conformità con il principio di sussidiarietà. Ciò conferirebbe allo stesso tempo una nuova legittimità al coordinamento delle politiche dell’UE.
- Accelerare l’azione e l’integrazione dell’UE. Progredire più rapidamente nei settori politici prioritari nell’ambito dell’esercizio di riorientamento, grazie a una cooperazione rafforzata o anche a costo di optare per un modello di integrazione più profonda basato su “cerchi concentrici”.
- Semplificare le norme. Aumentare la certezza del diritto e ridurre gli oneri normativi e amministrativi, garantendo un numero minore di norme che siano più chiare, più adatte allo scopo, a prova di futuro e coerenti.
Al fine di raggiungere questi obiettivi, nel presente capitolo vengono presentate proposte specifiche [Figura 1]. Come illustrato di seguito, le iniziative prioritarie nell’ambito di ciascuno dei tre pilastri comprendono:
- Sviluppare un nuovo Quadro di coordinamento della competitività che sostituirà vari strumenti di coordinamento non fiscale dell’UE. Questo strumento tradurrà gli obiettivi di competitività a livello europeo in politiche nazionali, promuoverà un maggiore coordinamento tra gli Stati membri e garantirà il finanziamento di ogni priorità strategica attraverso un profondo cambiamento della struttura e dell’attuazione del bilancio dell’UE.
- Estendere o generalizzare il voto a maggioranza qualificata (VMQ) rispetto all’unanimità nel Consiglio dell’Unione europea come principio chiave per stabilire regole comuni attraverso la legislazione e la regolamentazione.
- Razionalizzare l’acquis dell’UE in modo sistematico – sotto la guida di una Vicepresidenza per la semplificazione che coordina una nuova “banca di valutazione” per sottoporre a stress test tutte le leggi e i regolamenti dell’UE esistenti all’inizio di ogni mandato della Commissione. Questo dovrebbe garantire una regolamentazione armoniosa in tutti gli Stati membri, con l’obiettivo finale di rendere la regolamentazione dell’UE e quella nazionale un corpus unico e coerente che rappresenti un punto di forza competitivo per la nostra Unione.
Figura 1 – Tabella Riassuntiva PROPOSTE DI GOVERNANCE | ORIZZONTE TEMPORALE | |
1 | Riorientare: Sviluppare un nuovo quadro di coordinamento della competitività. | BT/MT |
2 | Avviare un’indagine a livello europeo per analizzare il ruolo dei Parlamenti nazionali nel controllo del principio di sussidiarietà. Rafforzare il ruolo e la capacità amministrativa dei Parlamenti nazionali e degli Stati membri nel controllo dell’attività legislativa delle istituzioni europee. | BT |
3 | Filtrare le iniziative future da adottare, sulla base delle proposte presentate in “Semplificare”, come una metodologia unica per valutare il costo della regolamentazione e un test di competitività rinnovato. | BT/MT |
4 | Accelerare: Generalizzare le votazioni del Consiglio soggette al VMQ anziché all’unanimità. | BT/MT |
5 | Optare per un modello di integrazione più profonda basato su “cerchi concentrici”, tra cui la cooperazione rafforzata o le coalizioni dei volenterosi, laddove l’azione a livello UE è ostacolata o bloccata dalle procedure esistenti. | MT/LT |
6 | Un Patto interistituzionale chiarisce ed estende l’uso dell’Articolo 122 del TFUE per facilitare un’azione rapida dell’UE durante le crisi. | BT/MT |
7 | Semplificare: Razionalizzare l’acquis dell’UE sotto la guida di una Vicepresidenza per la semplificazione, compreso il coordinamento di una nuova “banca di valutazione” per testare le normative UE esistenti. | MT |
8 | Utilizzare una metodologia unica e chiara per quantificare il costo della nuova legislazione per le istituzioni dell’UE e gli Stati membri. | MT/LT |
9 | Ridurre al minimo i costi di recepimento da parte degli Stati membri e migliorare l’applicazione della legislazione sul Mercato unico. | MT |
10 | Mantenere la proporzionalità per le PMI e le piccole imprese a media capitalizzazione nel diritto dell’UE, anche estendendo le misure di mitigazione alle piccole imprese a media capitalizzazione. | BT/MT |
11 | Rivedere il sistema dei Gruppi di esperti della Commissione. | BT/MT |
12 | Creare degli “hub di innovazione dell’UE” per sostenere gli sforzi degli Stati membri nel definire gli spazi di sperimentazione e promuoverne l’uso nei vari Paesi, offrendo informazioni centralizzate alle imprese dell’UE. | MT/LT |
Riorientare il lavoro dell’UE
Esercizio attivo del principio di sussidiarietà
La politica e l’azione legislativa dell’UE dovrebbero concentrarsi sui settori in cui l’UE ha davvero un valore aggiunto maggiore rispetto all’azione politica nazionale o subnazionale, in linea con il principio di sussidiarietà. Le sfide contemporanee richiedono una riflessione collettiva sui settori in cui l’UE può apportare il massimo valore aggiunto attraverso un’azione collettiva e su come agire in questi ambiti nel modo più efficiente ed efficace. Tra gli esempi vi sono la garanzia di un approvvigionamento energetico sicuro, decarbonizzato e a prezzi accessibili nell’ambito di una vera Unione dell’energia, o il potenziamento della digitalizzazione e dello sviluppo, della diffusione e dell’adozione di tecnologie digitali avanzate nell’UE, in particolare l’IA. Il principio di sussidiarietà sancito dai Trattati definisce il livello di governance migliore a cui agire – UE, nazionale, subnazionale o regionale (a seconda dell’organizzazione istituzionale di ciascuno Stato membro) – per raggiungere gli obiettivi politici dell’UE, compreso il rilancio della sua competitività. All’interno di questo contesto, la Corte di giustizia dell’UE, gli Stati membri, i loro parlamenti nazionali e le regioni europee svolgono un ruolo cruciale nell’esame delle proposte legislative dell’UE, nonché nel loro recepimento e applicazione.
L’attività legislativa della Commissione è cresciuta eccessivamente, anche a causa del controllo passivo del principio di sussidiarietà, che stabilisce i limiti del diritto di iniziativa della Commissione. L’istituzione con il principale diritto di iniziativa, la Commissione europea, giustifica ogni sua proposta legislativa alla luce del principio di sussidiarietà. Tuttavia, è dimostrato che il rispetto del principio di sussidiarietà non viene sempre controllato attivamente, ad esempio dai parlamenti nazionali [si veda sotto]. Ciò ha influito sulla posizione dell’azione dell’UE, che dovrebbe rimanere concentrata su ciò che deve essere fatto a livello europeo, portando all’approvazione di leggi che potrebbero essere meglio formulate a livello nazionale o regionale, più vicino ai cittadini e alle imprese. Ha inoltre contribuito a far crescere l’attività legislativa della Commissione europea, che non viene messa attivamente in discussione nel suo diritto di iniziativa [nota 1]. Ciò è in contrasto con il principio della semplificazione normativa necessaria per rafforzare la competitività dell’UE, come descritto nella sezione “Semplificare le norme”.
NOTA 1. In particolare, durante il mandato 2019-2024 (escluso il 2019) sono stati approvati 2.419 nuovi atti legislativi, rispetto ai 2.319 del mandato 2014-2019 (escluso il 2014).
Fonte: EUR-LEX, Atti giuridici – statistiche, recuperato il 19 agosto 2024.
I parlamenti nazionali fanno un uso limitato del proprio potere di controllare la conformità della legislazione dell’UE al principio di sussidiarietà mediante pareri motivati. I parlamenti nazionali possono esercitare questo controllo nel momento in cui viene proposto un atto legislativo e possono attivare la cosiddetta “procedura del cartellino giallo” [nota 2]. Finora questa procedura, che potrebbe fungere da “filtro” per le nuove iniziative, è stata attivata solo una volta. Nel 2023, mentre la Commissione europea ha adottato 141 proposte legislative rilevanti sottoposte al controllo di sussidiarietà, ha ricevuto solo 22 pareri motivati dai parlamenti nazionali che evidenziavano criticità in materia di sussidiarietà – con una tendenza a lungo termine alla diminuzione di questo mandato rispetto a quelli precedenti [nota 3]. Dei 39 Parlamenti o Camere nazionali, solo nove (da sette Stati membri) hanno emesso pareri motivati nell’ambito dell’esame della sussidiarietà. Due terzi di tutti i pareri motivati provengono da tre camere. Dei 39 parlamenti o camere nazionali, nove camere appartenenti a sei Stati membri non hanno inviato alcun parere scritto nel 2023. In effetti, le dieci camere più attive hanno emesso l’80% dei pareri totali.
NOTA 2. La “procedura del cartellino giallo” si riferisce all’opportunità offerta ai parlamenti nazionali degli Stati membri di esaminare una proposta di azione legislativa della Commissione. Questo esame avviene nel momento in cui la legislazione viene presentata dalla Commissione. Esso consente ai parlamenti nazionali di sollevare un’obiezione indicando che l’azione potrebbe essere svolta più efficacemente a livello di Stati membri, in conformità con il principio di sussidiarietà.
NOTA 3. Commissione europea, Relazione annuale 2023 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e sulle relazioni con i parlamenti nazionali, 2024 (di prossima pubblicazione). Il numero totale di atti legislativi proposti dalla Commissione nel 2023 è di 319, ma solo gli atti legislativi proposti dalla Commissione in settori di competenza condivisa sono soggetti al controllo di sussidiarietà da parte dei parlamenti nazionali ai sensi dell’Articolo 4 del Protocollo 2 del TFUE. 141 fa riferimento a tali atti adottati tra il 1° novembre 2022 e il 1° dicembre 2023.
Si dovrebbe avviare un’indagine a livello europeo per analizzare le ragioni dell’esercizio passivo del controllo del principio di sussidiarietà da parte dei parlamenti nazionali. Sulla base delle sue conclusioni, si dovrebbero prendere iniziative per rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali e degli Stati membri nel sostenere il principio di sussidiarietà – anche attraverso la “procedura del cartellino giallo” –e, così facendo, controllare l’attività legislativa delle istituzioni europee. Ciò potrebbe avvenire sostenendo ulteriormente la capacità amministrativa a livello nazionale, regionale e locale, ad esempio basandosi su un uso rinnovato dello Strumento di supporto tecnico (TSI) della Commissione europea [nota 4].
NOTA 4. Attraverso lo Strumento di supporto tecnico (STI), la Commissione europea (DG REFORM) offre attualmente un supporto tecnico agli Stati membri, su loro richiesta, per progettare e attuare le riforme. Fornendo consulenza ed esperienza sul campo (ovvero accompagnando le autorità nazionali degli Stati membri richiedenti durante l’intero processo di riforma o in base a fasi definite o a diverse fasi di tale processo), l’STI contribuisce a rafforzare la capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche. Il fatto che non venga dato denaro all’autorità beneficiaria, ma solo conoscenze e competenze, è una delle ragioni principali del successo e dell’efficienza dell’STI.
Inoltre, le istituzioni comunitarie dovrebbero applicare il principio di “autolimitazione” nella definizione delle politiche, sia filtrando meglio le iniziative future sia razionalizzando l’acquis esistente. Oltre al citato controllo di sussidiarietà, anche varie iniziative e proposte, descritte in dettaglio nella sezione “Semplificare le norme”, contribuirebbero a riorientare il lavoro dell’UE. In particolare, l’adozione di una metodologia unica per tutte le valutazioni d’impatto – che tenga conto anche delle ricadute nazionali – e l’assoggettamento di tutte le nuove proposte da adottare a un test rinnovato sulla competitività e sulle PMI consentirebbero di filtrare efficacemente tutte le azioni e le proposte future. Parallelamente, l’acquis esistente dell’UE dovrebbe essere codificato, consolidato e razionalizzato sotto la guida di una nuova Vicepresidenza per la semplificazione.
Coordinare le politiche di competitività
Il Semestre europeo è il principale strumento di coordinamento della governance economica dell’Unione, ma non implica il coordinamento delle politiche a livello europeo. Introdotto nel 2011 come risposta alla crisi economico-finanziaria del 2007-2008, il suo obiettivo è contribuire a garantire la convergenza e la stabilità fiscale nell’UE. Lo strumento si è evoluto nel tempo in una serie di procedure complesse, che oggi coprono l’attuazione del Patto di stabilità e crescita (PSC), nonché la rendicontazione dell’attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR). Il Semestre europeo fornisce raccomandazioni specifiche per Paese (RSP) ai singoli Stati membri su diverse politiche (fiscali, occupazionali e sociali, nonché riforme strutturali relative ai sistemi di energia, giustizia e istruzione, ad esempio). Per sua stessa natura, il Semestre europeo è uno strumento che valuta i singoli Stati membri rispetto a criteri comuni e incoraggia le revisioni paritetiche per promuovere la convergenza a livello dell’UE. Esistono anche strumenti di coordinamento soft a livello UE per settori specifici, come i Piani nazionali per l’energia e il clima (NECP) per le politiche energetiche, o il Patto per la ricerca e l’innovazione in Europa nell’ambito dello Spazio europeo della ricerca (SER) per le politiche di R&S. In tutti questi esempi, i processi stabiliti si sono finora rivelati ampiamente burocratici (producendo principalmente relazioni) e inefficaci nel realizzare riforme rilevanti a livello dell’UE, favorendo le iniziative nazionali nell’ambito di un quadro comune rispetto a un vero e proprio coordinamento a livello europeo.
Al fine di realizzare la visione della presente relazione, si propone di modificare il Semestre europeo per concentrarsi unicamente sulla sorveglianza della politica di bilancio, mentre il coordinamento di tutte le altre politiche rilevanti per la competitività dell’UE verrebbe fuso all’interno di un nuovo Quadro di coordinamento della competitività. Il Quadro di coordinamento della competitività riguarderebbe solo le priorità strategiche a livello comunitario (le “Priorità dell’UE in materia di competitività”) formulate e adottate dal Consiglio europeo. Queste verrebbero definite all’inizio di ogni ciclo politico europeo in un dibattito del Consiglio europeo e adottate nelle conclusioni del Consiglio europeo [nota 5]. Il Quadro di coordinamento della competitività ridurrebbe al minimo il numero di relazioni richieste alle amministrazioni degli Stati membri [nota 6] e promuoverebbe un vero e proprio coordinamento a livello europeo delle politiche più importanti per il futuro della competitività europea. In tal modo, questo strumento sosterrebbe la strategia industriale presentata nella parte A della presente relazione.
NOTA 5. L’articolo 121 del TFUE fornisce una base giuridica per l’istituzione di un quadro di coordinamento della competitività. La procedura coinvolge il Consiglio e il Consiglio europeo.
NOTA 6. I Piani d’azione dell’UE per la competitività confluirebbero in uno dei quadri esistenti che traducono le priorità dell’UE in misure concrete da attuare a livello nazionale, come i Piani nazionali per l’energia e il clima, la Relazione annuale sul mercato unico e la competitività, la Relazione sul decennio digitale, le relazioni nell’ambito del semestre europeo, ecc. Ciò rappresenterebbe un importante esercizio di semplificazione sia per l’UE che per le amministrazioni nazionali.
Il Quadro di coordinamento della competitività sarebbe organizzato in “Piani d’azione dell’UE per la competitività” suddivisi per aree (ad esempio i capitoli della presente relazione) e per ogni area definirebbe i mezzi d’azione: governance, incentivi finanziari e obiettivi misurabili. Per raggiungere gli obiettivi delineati nelle Priorità per la Competitività sarebbero necessari più Piani d’azione. Il coinvolgimento di tutti gli Stati membri, le parti interessate, gli esperti, il settore privato, le istituzioni e le agenzie dell’UE è essenziale per definire e utilizzare il modello di governance più agile ed efficiente, a seconda dell’area interessata. Ad esempio, la Commissione europea dovrebbe avere un mandato per le competenze esclusive dell’UE e per le azioni orizzontali, come il rinnovamento della politica di concorrenza e la riduzione degli oneri normativi e amministrativi (come discusso, due priorità da “scalare”). Per le competenze condivise invece, come la riduzione del divario di competenze e l’accelerazione dell’innovazione, la Commissione fornirebbe delle linee guida e condividerebbe l’assetto istituzionale per l’attuazione con gli organismi nazionali competenti e gli esperti del settore, come discusso nei relativi capitoli della presente relazione. In settori specifici dell’economia, la definizione e l’attuazione dei piani d’azione potrebbero essere affidate a una nuova struttura che riunisca la Commissione, gli esperti del settore e gli Stati membri, nonché le agenzie settoriali competenti, ove esistenti.
A seconda dell’area di intervento, si potrebbero mobilitare diversi mezzi e incentivi finanziari (europei o nazionali). Per tutte le aree, l’afflusso di finanziamenti privati sarebbe essenziale per il raggiungimento degli obiettivi. I diversi mezzi e incentivi sono elencati di seguito:
- Investimenti in beni pubblici dell’UE. Nell’ambito del prossimo QFP, un “Pilastro della competitività” indirizzerebbe i finanziamenti dell’UE verso i settori in cui hanno il maggiore impatto e valore aggiunto per l’Unione stessa. Nell’ambito dell’attuale QFP, sarebbe possibile sostenere beni pubblici a livello dell’UE attraverso programmi, come InvestEU, e partner, tra cui il Gruppo BEI [nota 7] e le banche di promozione nazionali.
- Avviare progetti industriali multinazionali potenzialmente attivati solo da un sottogruppo di Stati membri interessati. Nell’ambito del prossimo QFP, i progetti industriali multinazionali potrebbero contare su fondi con dotazioni preassegnate a livello nazionale. Nell’ambito dell’attuale QFP, potrebbero essere finanziati utilizzando gli strumenti esistenti, come i Consorzi per l’infrastruttura digitale europea e la riprogrammazione dei fondi della Politica di coesione e del RRF per realizzare gli obiettivi STEP. Gli investimenti nazionali potrebbero anche essere mobilitati utilizzando due strumenti rinnovati, tra cui i nuovi IPCEI di competitività [nota 8] che forniscono aiuti di Stato a progetti transfrontalieri e una nuova Impresa comune per la Competitività [nota 9] al fine di creare rapidamente partenariati pubblico-privato tra la Commissione, gli Stati membri interessati e le industrie.
- Coordinamento delle politiche nazionali per la competitività. Nell’ambito del prossimo QFP, gli incentivi finanziari agli Stati membri per il coordinamento delle politiche nazionali e per gli adeguamenti e le riforme normative proverranno dalle dotazioni nazionali. Nell’ambito dell’attuale QFP, i fondi della Politica di coesione potrebbero essere riprogrammati per raggiungere gli obiettivi fissati.
NOTA 7. InvestEU potrebbe essere sfruttato estendendo lo statuto del Gruppo BEI per consentire una maggiore assunzione di rischio per la fornitura di beni pubblici europei, in particolare aumentando i volumi di prestito con lo stesso capitale sottostante, nonché prendendo in considerazione la fornitura di capitale proprio.
NOTA 8. Un nuovo IPCEI semplificato per la competitività sostituirebbe l’attuale quadro IPCEI e ne estenderebbe l’ambito di applicazione per coprire le infrastrutture industriali e di primo tipo; definirebbe un limite di tempo per raccogliere gli accordi necessari per l’avvio del progetto e offrirebbe la possibilità alle imprese – soprattutto le più piccole e le più recenti in un mercato – di contribuire mediante le sovvenzioni dell’UE.
NOTA 9. Per la ricerca industriale applicata e di punta, una nuova Impresa comune dedicata alla competitività attirerebbe risorse adeguate per tradurre la tecnologia progettata in un’effettiva diffusione della stessa, in particolare per i progetti tecnologici su larga scala e le relative infrastrutture. Gli Stati membri dovrebbero essere incentivati a mettere in comune le risorse nazionali e si dovrebbero attirare grandi capitali di rischio privati tramite regole semplificate che servano alla realizzazione del progetto comune. La nuova Impresa comune dedicata alla competitività continuerebbe a essere finanziata in parte dal Programma quadro per la ricerca e l’innovazione, come avviene oggi per le Imprese comuni.
Accelerare il lavoro dell’UE
L’urgenza di recuperare il vantaggio competitivo dell’Europa dovrebbe riflettersi anche in una procedura legislativa accelerata. La durata media complessiva di una procedura legislativa ordinaria è stata di 19 mesi (dalla proposta della Commissione alla firma dell’atto adottato) nella prima metà della legislatura 2019-2024 [i]. Ciò richiede una chiara accelerazione del nostro lavoro collettivo, anche a costo di optare per un modello a “cerchi concentrici” come primo passo per il raggiungimento di una più ampia integrazione tra tutti i 27 Stati membri. Chiede inoltre di semplificare e ridurre l’eccessiva burocrazia, come raccomandato nella sezione “Semplificare le norme”.
Estensione dell’uso del voto a maggioranza qualificata nel Consiglio dell’Unione Europea
Le votazioni del Consiglio soggette al VMQ dovrebbero essere estese a più aree, se non addirittura generalizzate. Finora molti sforzi per approfondire l’integrazione europea tra gli Stati membri sono stati ostacolati dal voto all’unanimità in seno al Consiglio dell’Unione europea. Ciò è avvenuto, in particolare, in aree politiche quali la fiscalità, la giustizia e gli affari interni, nonché l’occupazione e le politiche sociali. Un esempio ben noto è il fallimento, nel 2008, dell’introduzione di una nuova “Società privata europea” (Societas Privata Europaea) come 28° regolamento volontario per tutte le società a responsabilità limitata dell’UE. Questo fallimento è dovuto ai veti di lunga data degli Stati membri. Si dovrebbero quindi sfruttare tutte le possibilità offerte dai Trattati UE per estendere il voto a maggioranza qualificata. La cosiddetta clausola “passerella” potrebbe essere sfruttata per generalizzare il voto a maggioranza qualificata in tutti gli ambiti politici del Consiglio. Questo passo richiederebbe un accordo preliminare, soggetto all’unanimità a livello di Consiglio europeo, e avrebbe un impatto positivo sulla velocità di adozione delle iniziative legislative chiave a livello dell’UE [nota 10].
NOTA 10. La Commissione ha recentemente presentato una proposta sull’utilizzo della clausola “passerella” nel campo della PESC. Cfr.: Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sulle riforme e sulle revisioni strategiche pre-allargamento (COM(2024) 146), Cfr.: Commissione europea, Legal service, 70 years of EU law – A union for its citizens, Publications Office of the European Union, 2023.
Approcci differenziati all’integrazione dell’UE
Tuttavia, se l’azione a livello UE è ostacolata o bloccata dalle procedure istituzionali esistenti, un approccio differenziato all’integrazione dovrebbe basarsi sull’uso intelligente degli strumenti esistenti attualmente previsti dai trattati dell’UE. L’opzione preferita sarebbe quella di ricorrere alla possibilità di una cooperazione rafforzata prevista dagli Articoli 20 TUE e 329 TFUE quando “gli obiettivi di tale cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme e a condizione che vi partecipino almeno nove Stati membri” [nota 11]. Questa offre due importanti garanzie: il consenso del Parlamento europeo e il controllo giurisdizionale della Corte di giustizia dell’UE. Inoltre, si basa su una proposta della Commissione. A titolo esemplificativo, dopo il fallimento della proposta di introdurre una Società privata europea, si potrebbe valutare la possibilità di creare un 28° regolamento societario volontario che armonizzi gli aspetti chiave in materia di diritto societario, insolvenza, diritto del lavoro e fiscalità, nell’ambito di una cooperazione rafforzata da parte degli Stati membri disposti a farlo, come descritto nel capitolo sull’innovazione.
NOTA 11. La decisione di ricorrere alla cooperazione rafforzata è adottata dal VMQ, anche nei settori che richiedono l’unanimità. Solo per la cooperazione rafforzata nel settore della PESC è richiesta l’unanimità. Nell’ambito della cooperazione rafforzata, inoltre, si applicano le regole di voto previste dalla base giuridica sostanziale (ad esempio, l’unanimità per la cooperazione rafforzata nel settore fiscale), a meno che gli Stati membri interessati alla cooperazione rafforzata non si avvalgano della possibilità di ricorrere al VMQ di cui all’Articolo 333 del TFUE.
In ultima istanza e in assenza delle condizioni necessarie per ricorrere alla cooperazione rafforzata, si dovrebbe prendere in considerazione la cooperazione intergovernativa. Tuttavia, agire al di fuori dei Trattati crea quadri giuridici paralleli (quello internazionale e quello comunitario) e implica l’assenza del controllo giudiziario della Corte di giustizia europea, della legittimità democratica del Parlamento europeo e del coinvolgimento della Commissione nella preparazione dei testi. Dovrebbe quindi essere accompagnata da forti salvaguardie, compresi adeguati incentivi per gli altri Stati membri affinché si uniscano alla coalizione di volenterosi e riportino tale cooperazione nel quadro dei Trattati dell’UE il prima possibile. Un precedente è il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance (TSCG), noto anche come Fiscal Compact, nato come trattato intergovernativo entrato in vigore nel gennaio 2013, ma successivamente integrato nel diritto dell’UE.
Uso esteso di un Articolo 122 meglio inquadrato
Infine, il crescente successo dell’uso dell’Articolo 122 del TFUE per sostenere un’azione rapida dell’UE in tempi di crisi suggerisce che l’UE potrebbe estenderne l’uso e chiarirlo attraverso un patto interistituzionale. L’Articolo 122 del TFUE ha spesso consentito all’Unione di reagire e di adottare legittimamente le misure necessarie per far fronte a situazioni di emergenza (ad esempio, la pandemia COVID-19 o la crisi energetica). L’Articolo 122 è soggetto al controllo della Corte di giustizia europea, ma non del Parlamento europeo. Le pratiche recenti sono riuscite a garantire il coinvolgimento del Parlamento europeo in una certa misura [ii]. Tuttavia, se l’UE avesse l’ambizione di accelerare la propria azione utilizzando questo articolo, sarebbe necessario chiarire la procedura di emergenza nel diritto dell’UE, garantendo la piena legittimità democratica coinvolgendo il Parlamento europeo almeno nell’attivazione di uno stato di emergenza, e comportando scadenze rigorose una volta stabilite. Al fine di evitare modifiche al trattato, un patto interistituzionale all’inizio di ogni legislatura consentirebbe di codificare le pratiche di successo del passato e di stabilire in anticipo chiare “regole del gioco” per affrontare le situazioni di emergenza.
Semplificare le norme
Il punto di partenza
Oneri normativi e amministrativi eccessivi [nota 12] possono ostacolare la competitività delle imprese dell’UE rispetto ad altri blocchi. Incide negativamente sulla produttività del settore, ad esempio aumentando i costi operativi delle imprese e innalzando le barriere all’ingresso di nuove imprese, scoraggiando la concorrenza. Inoltre, potrebbe comportare un aumento dei prezzi per i consumatori [ii]. Gli indicatori basati su sondaggi e percezioni, come il database Doing Business della Banca Mondiale, suggeriscono che il contesto imprenditoriale dell’UE è meno favorevole di quello degli Stati Uniti [nota 13]. Inoltre, il 61% delle imprese partecipanti all’indagine sugli investimenti della BEI per il 2023 ha indicato la regolamentazione come un ostacolo agli investimenti a lungo termine nell’UE [nota 14] e l’83% delle imprese intervistate nel 2023 da Business Europe in 21 Stati membri ha indicato la complessità e la durata delle autorizzazioni come ostacoli principali agli investimenti in Europa, rispetto ad altre regioni.
NOTA 12. In tutto il presente capitolo, le definizioni di onere normativo e amministrativo sono allineate alle linee guida della Commissione per una migliore regolamentazione (SWD(2021)305) e al Toolbox (in particolare, Strumento #56). Si ritiene che i costi normativi includano gli oneri amministrativi (ossia i costi derivanti da requisiti amministrativi contenuti in atti giuridici, compresi gli obblighi di rendicontazione), insieme agli oneri normativi (ad esempio, tariffe, prelievi o imposte a carico di alcuni soggetti interessati) e ai costi di adeguamento (costi incrementali e non legati all’attività ordinaria di adeguamento a nuovi requisiti diversi dagli oneri e dai costi amministrativi, come costi diretti del lavoro, spese generali, costi delle attrezzature, costi dei materiali, costo dei servizi esterni, ecc.).
NOTA 13. Con un punteggio dell’84%, gli Stati Uniti si sono piazzati al sesto posto a livello mondiale nella classifica 2020, ben prima dell’UE (che ha ottenuto un punteggio del 76,5%, classificandosi al trentanovesimo posto a livello mondiale). Questo grazie alle migliori prestazioni degli Stati Uniti in tre sottocomponenti della regolamentazione: elaborazione dei permessi di costruzione, registrazione della proprietà e pagamento delle tasse.
Cfr.: Banca Mondiale, Doing business 2020: Region Profile European Union, 2020.
NOTA 14. Un numero sempre maggiore di imprese dell’UE esprime le proprie preoccupazioni in merito alla regolamentazione settoriale e alla conformità a nuove norme, standard e certificazioni come ostacoli principali al commercio internazionale. Le aziende statunitensi, invece, sono più propense a indicare le normative commerciali e del mercato del lavoro tra i principali ostacoli percepiti.
Cfr.: BEI, EIB Investment Survey 2023: European Union Overview, 2023.
La quantificazione dell’onere normativo aggregato nell’UE, soprattutto rispetto ad altri blocchi, è ostacolata da approcci diversi o frammentari. Metriche comparabili dell’onere normativo aggregato nelle varie regioni del mondo potrebbero orientare utilmente la definizione delle politiche, soprattutto nei settori in cui l’Europa è particolarmente esposta alla concorrenza internazionale. Tuttavia, i tentativi di ottenerli sono ostacolati dalle divergenze nei modelli normativi, ad esempio tra l’approccio dell’UE basato sui diritti e quello degli Stati Uniti basato sull’innovazione [iv]. Di conseguenza, esistono solo pochi confronti internazionali in settori specifici, come quello bancario [v]. Considerando solo l’UE, il Programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) della Commissione includeva verifiche di idoneità dell’onere normativo delle iniziative politiche settoriali basate su modelli di valutazione dei costi cumulativi [nota 15]. Tuttavia, data la loro complessità, questi esercizi quantitativi sono rimasti rari e in gran parte autonomi. Nel 2014, Stoiber Group ha stimato l’onere amministrativo dell’UE in 150 miliardi di euro, pari all’1,3% del PIL all’anno [vi]. Se si considerano anche altri benefici – ad esempio l’eliminazione di procedure complesse, requisiti nazionali eccessivi e standard di etichettatura non armonizzati – il costo opportunità della mancanza di armonizzazione raggiunge i 200 miliardi di euro all’anno [nota 16].
NOTA 15. Un esempio è la verifica di idoneità del 2019 della legislazione più importante in materia di sostanze chimiche nell’UE, che ha stimato costi normativi pari a 9.5 miliardi di euro annui dal 2004 al 2014, ma anche grandi benefici per l’ambiente e la salute. : Commissione europea, Commission Staff Working Document – Fitness Check of the most relevant chemicals legislation (excluding REACH), as well as related aspects of legislation applied to downstream industries (SWD(2019) 199 final/2), 2019. Nel 2023, un’analisi di 50 valutazioni d’impatto della DG GROW ha mostrato che i costi medi annuali di conformità erano quasi raddoppiati rispetto al 2014. In particolare, i costi medi annuali ricorrenti di conformità per una PMI dell’industria chimica sono quasi raddoppiati, passando da 332.500 euro nel 2014 a 577.000 euro nel 2023.
NOTA 16. Think Tank del Parlamento europeo, Mapping the cost of non-Europe report: Theoretical foundations and practical considerations, 2023.
Le stime quantitative del settore pubblico riguardano per lo più nuove iniziative politiche sotto forma di valutazioni d’impatto. Tra le istituzioni europee, tuttavia, solo la Commissione ha sviluppato una metodologia (Modello dei costi standard) per calcolare gli oneri normativi. I colegislatori (Parlamento europeo e Consiglio) non dispongono di una metodologia per misurare l’impatto degli emendamenti che vengono proposti sulle proposte di normative dell’UE. Inoltre, anche la metodologia della Commissione è ampia e accetta una varietà di parametri di valutazione dei costi (ad esempio, diversi tassi di sconto, anni di prezzo e periodi di valutazione), rendendo più difficile aggregare i costi della nuova regolamentazione tra i vari settori. Infine, non esiste una metodologia unica per valutare l’impatto della normativa comunitaria una volta recepita a livello nazionale e solo pochi Stati membri misurano sistematicamente l’impatto della legislazione comunitaria recepita. In assenza di un approccio unico e coordinato da parte del settore pubblico, le stime dell’onere normativo sono spesso lasciate all’iniziativa del settore privato (ad esempio, società di consulenza o associazioni di settore) [nota 17]. Ciò contribuisce non solo all’eterogeneità di queste stime, anche all’interno dello stesso settore, ma anche alla percezione da parte degli operatori privati di un elevato livello di oneri normativi.
NOTA 17. Ad esempio, SIRA Consulting BV (“Regulatory pressure indicator on SMEs in six sectors”, 2023) ha stimato che il costo complessivo degli oneri normativi per una PMI olandese media varia tra 38.000 e 250.000 euro, a seconda delle dimensioni dell’impresa e della relativa attività. La maggior parte di questi costi è dovuta alla legislazione orizzontale, tra cui il diritto del lavoro, la tassazione e la regolamentazione specifica del settore.
Un maggiore “flusso normativo” – definito come il numero di nuove disposizioni approvate in un determinato periodo di tempo – è tra i fattori che rendono l’ambiente normativo dell’UE meno favorevole alla conduzione di affari rispetto agli Stati Uniti. Sebbene i diversi sistemi politici e giuridici impediscano di fare confronti diretti, negli Stati Uniti sono stati promulgati circa 3.500 testi di legge e sono state approvate circa 2.000 risoluzioni a livello federale nel corso degli ultimi tre mandati del Congresso (2019-2024). Nello stesso periodo, l’UE ha approvato circa 13.000 atti, di cui 515 atti legislativi ordinari, 2.431 altri atti legislativi, 954 atti delegati, 5.713 atti di esecuzione e 3.442 altri atti [nota 18]. Ciò si aggiunge alla legislazione nazionale approvata in ogni Stato membro. A titolo di esempio, Dansk Industry ha rilevato che, a causa degli sviluppi della legislazione europea e nazionale, il numero di normative applicabili in Danimarca è aumentato del 63% dal 2001 al 2023. Altri fattori che contribuiscono alla percezione di un ambiente imprenditoriale meno favorevole nell’UE includono una diversa costellazione di punti di veto, con gli Stati Uniti che hanno una struttura più federale e un minor numero di autorità coinvolte nei processi di approvazione [nota 19]; e il fatto che i benefici della regolamentazione per la società, gli individui e l’ambiente sono più difficili da quantificare e difficilmente considerati nelle valutazioni dei costi netti [viii].
NOTA 18. EUR-LEX, Atti giuridici – statistiche, recuperato il 19 agosto 2024. Il 2019 è incluso nella somma per consentire un confronto con gli Stati Uniti. Qualora si escluda il 2019, la somma è di circa 11.000 nuovi atti. La tendenza è in aumento rispetto al mandato 2014-2019 per quanto riguarda gli atti legislativi, nonché gli atti delegati e di esecuzione.
NOTA 19. Ad esempio in settori, come la legislazione ambientale, soggetti a competenze condivise nell’UE e in gran parte gestiti da organismi federali come l’Environmental Protection Agency negli Stati Uniti. : Stevens-Finlayson, B., EU vs US. Comparing the EU and US Federal Systems, 2019.
Tre esempi tratti dalla legislazione dell’UE – il quadro di riferimento per la rendicontazione della sostenibilità e la dovuta diligenza, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e la legislazione dell’UE in materia di rifiuti e imballaggi – sono analizzati per evidenziare le tre principali difficoltà normative incontrate dalle imprese:
- Conformarsi all’accumulo di legislazione europea e alle sue frequenti modifiche nel tempo, che si traducono in sovrapposizioni e incoerenze normative.
- L’onere aggiuntivo derivante dal recepimento e dall’applicazione a livello nazionale, compreso il “gold-plating” da parte degli Stati membri nei confronti della legislazione dell’UE, nonché i requisiti e gli standard di attuazione divergenti nei vari Stati membri [ix].
- L’onere normativo proporzionalmente più elevato che le PMI e le piccole imprese a media capitalizzazione devono affrontare rispetto alle società più grandi.
Il quadro dell’UE per la rendicontazione di sostenibilità e la dovuta diligenza [nota 20] è un’importante fonte di oneri normativi, amplificati dalla mancanza di linee guida che facilitino l’applicazione di norme complesse e chiariscano l’interazione tra i vari atti legislativi. L’obiettivo di questo quadro normativo è il rafforzamento delle regole relative alle informazioni sociali e ambientali che le imprese devono comunicare. Ciò comporta un notevole costo di conformità per le aziende dell’UE [nota 21], che vanno da 150.000 euro per le imprese non quotate a 1 milione di euro per quelle quotate [nota 22] .
NOTA 20. La legislazione dell’UE presa in considerazione comprende: i) la Direttiva relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità (CSRD); ii) il Regolamento sulla tassonomia, in particolare con la valutazione “non arrecare un danno significativo” (DNSH); iii) il Regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari; iv) la Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità; v) il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR); vi) la Direttiva sulle emissioni industriali (IED); vii) il Sistema di scambio delle quote di emissione (ETS); e viii) REACH.
NOTA 21. A partire dall’esercizio finanziario 2024, e con un’introduzione graduale nei prossimi tre anni, circa 42.000 grandi società e PMI quotate soggette alla CSRD dovranno preparare dei bilanci di sostenibilità completi basati sui Principi europei di rendicontazione di sostenibilità (ESRS), adottati dalla Commissione su proposta dell’EFRAG. L’EFRAG, precedentemente noto come Gruppo consultivo europeo sull’informativa finanziaria, è l’organo di consulenza tecnica indipendente sull’ESRS. L’ESRS comprende 1.052 punti di rilevamento quantitativi o qualitativi, di cui 783 per la divulgazione obbligatoria (l’80% di essi, cioè 622 punti di rilevamento, sono “soggetti a rilevanza”, ovvero devono essere divulgati solo qualora rilevanti per l’azienda) e 269 per la divulgazione volontaria.
NOTA 22. cfr.: EFRAG, Cost-Benefit Analysis of the First Set of Draft ESRS, novembre 2022. Coerentemente, il governo danese stima costi medi una tantum di 365.000 euro e costi ricorrenti di 310.000 euro all’anno per una società in Danimarca per conformarsi alla CSRD e all’Articolo 8 del Regolamento sulla tassonomia. Questo dato si basa su un’indagine condotta su 2.200 imprese che rientrano nella CSRD e rappresenta, quindi, una base che non include i costi aggiuntivi per le PMI che devono presentare relazioni alle società madri attraverso la catena di approvvigionamento.
Inoltre, i rischi di un’eccessiva conformità (ad esempio, un eccesso di dichiarazioni) esistono in tutta la catena del valore. Le ragioni di questa situazione includono attualmente definizioni poco chiare e requisiti, ad esempio per quanto riguarda l’applicazione del principio “non recare un danno significativo” all’interno della tassonomia dell’UE e il suo allineamento con la relativa valutazione per il bilancio dell’UE; metodologie onerose e potenzialmente sovrapposte per la contabilizzazione delle emissioni tra il regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili, il sistema ETS e l’impronta ambientale dei prodotti [nota 23]; e tempistiche non armonizzate per requisiti di comunicazione diversi ma correlati. Ulteriori modifiche a questo quadro, compresi gli standard di rendicontazione settoriali richiesti dalla CSRD, potrebbero aumentare i costi di conformità.
Il “gold-plating” del GDPR da parte degli Stati membri e la mancanza di coerenza nella sua applicazione aumentano gli oneri amministrativi delle imprese dell’UE. Il GDPR, entrato in vigore nel 2016 e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, mira a offrire un approccio armonizzato dell’UE all’applicazione della privacy. Tuttavia, dà agli Stati membri la possibilità di definire le norme sulla privacy in 15 aree, portando alla frammentazione e all’incertezza giuridica derivante dall’uso diffuso di clausole di specificazione, di “gold-plating” [Box 1] e di un’applicazione incoerente da parte delle Autorità nazionali competenti per la protezione dei dati (DPA), nonché al fatto che alcuni Stati membri hanno diverse DPA che operano in tal senso (ad esempio 16 in Germania). Ciò potrebbe ostacolare l’imprenditorialità e l’innovazione transfrontaliera, compreso lo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologie e soluzioni di sicurezza informatica. Ad esempio, le divergenze nell’età del consenso tra gli Stati membri creano incertezza nell’applicazione dei diritti di protezione dei dati dei minori nel Mercato unico [nota 24]. Le stime indicano costi elevati per la conformità al GDPR, fino a 500.000 euro per le PMI [x] fino a 10 milioni di euro per le grandi organizzazioni [nota 25]. Inoltre, a causa di questi costi di conformità, le aziende dell’UE hanno ridotto l’archiviazione dei dati del 26% e l’elaborazione dei dati del 15% rispetto alle aziende statunitensi comparabili [nota 26]]. Tuttavia, nel dicembre 2023, gli Stati membri della formazione del Consiglio di Giustizia e Affari interni hanno opposto resistenza a un’ulteriore armonizzazione [nota 27].
NOTA 23. Ad esempio, l’ESPR include requisiti informativi che devono essere comunicati tramite il Passaporto digitale dei prodotti quando un prodotto viene immesso sul mercato dell’UE.
NOTA 24. L’età del consenso è di 13 anni in Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Malta, Portogallo, Svezia; di 14 anni in Austria, Bulgaria, Cipro, Spagna, Italia, Lituania; di 15 anni in Repubblica Ceca, Grecia, Francia; di 16 anni in Germania, Ungheria, Croazia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Romania e Slovacchia. Cfr.: Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – La protezione dei dati come pilastro dell’autonomia dei cittadini e dell’approccio dell’UE alla transizione digitale – due anni di applicazione del regolamento generale sulla protezione dei dati (COM(2020) 264), 2020.
NOTA 25. Il 68% delle grandi imprese intervistate da PwC prevede di spendere tra 1 e 10 milioni di sterline britanniche per soddisfare i requisiti del GDPR. : The Privacy Compliance Hub, How much? The cost of getting privacy right, 2023. Il costo medio della conformità al GDPR per un’impresa di medie dimensioni con 500 dipendenti si aggira intorno a 1,3 milioni di euro. Cfr.: UK Insight, Organizations Worldwide Fear GDPR Non-Compliance Could Put Them Out of Business, 2017. Come riportato dal Financial Times (Companies face high cost to meet new EU data protection rules, novembre 2017, consultato il 17 giugno 2024), anche l’International Association of Privacy Professionals ed Ernst & Young stimano che il costo medio per le grandi imprese con sede nell’UE per raggiungere la conformità al GDPR potrebbe essere dell’ordine di 1,3 milioni di euro per impresa, con costi annuali continui di 1,1 milioni di euro per il mantenimento.
NOTA 26. Per i settori ad alta intensità di dati, come quello del software, l’aumento dei costi dovuto alla conformità al GDPR può raggiungere il 24%. Altri settori, come quello manifatturiero e dei servizi, registrano un aumento medio dei costi del 18%. : Demirer, M., Jiménez Hernández, D. J., Li, D., and Peng, S., Data, Privacy Laws and Firm Production: evidence from the GDPR, febbraio 2024.
NOTA 27. “Giustificare un certo grado di frammentazione, soprattutto nelle attività di trattamento in cui gli Stati membri hanno una propria giurisdizione o in settori in cui la legislazione nazionale stabilisce condizioni specifiche per il trattamento dei dati personali, come nel contesto lavorativo”. Posizione e conclusioni adottate dal Consiglio “Giustizia e affari interni”, dicembre 2023. Cfr.: Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Seconda relazione sull’applicazione del regolamento generale sulla protezione dei dati (COM(2024) 357),
BOX 1. Gold plating
La Commissione europea descrive il gold-plating come il processo attraverso il quale uno Stato membro, che deve recepire la legislazione dell’UE nel proprio ordinamento nazionale o attuare la legislazione dell’UE, impone requisiti, obblighi o standard aggiuntivi nel proprio ordinamento nazionale che vanno oltre i requisiti o gli standard del diritto dell’UE – imponendo così costi normativi aggiuntivi ed evitabili [xi]. Ciò può avvenire durante l’intero ciclo politico, dal recepimento del diritto primario all’attuazione tramite atti delegati o di esecuzione, fino all’applicazione della normativa a livello nazionale. I motivi principali per cui gli Stati membri ricorrono al gold plating sono i seguenti:
- Le direttive dell’UE possono limitarsi a fissare gli obiettivi politici che gli Stati membri devono raggiungere, ma lasciano a ciascun Paese le misure esatte da mettere in atto per raggiungerli. Ciò richiede il recepimento di ogni direttiva nel diritto nazionale attraverso atti giuridici nazionali. La cosiddetta super-equivalenza si verifica quando l’attuazione nazionale di una direttiva va oltre il minimo necessario per conformarsi ad essa. Ad esempio, gli Stati membri possono eliminare le deroghe o le estensioni presenti nell’atto originale; mantenere standard nazionali più severi o più elevati; applicare la direttiva prima del termine stabilito; o recepire con un campo di applicazione più ampio rispetto alla direttiva UE [xii].
- La legislazione dell’UE può deliberatamente lasciare una certa flessibilità nel livello di armonizzazione o nella prassi degli Stati membri. Mentre alcune questioni sono completamente armonizzate a livello di UE – con il legislatore europeo che stabilisce sia un “pavimento” (cioè una linea di base) che un “tetto”, senza alcun margine per aggiungere requisiti a livello nazionale, alcune questioni sono oggetto di un’armonizzazione minima a livello di UE, ad esempio in settori come la protezione dei consumatori. Ciò lascia agli Stati membri la possibilità di fissare standard o requisiti a livello nazionale al di sopra della soglia di riferimento individuata, laddove ciò sia giustificato e proporzionato al perseguimento di legittimi interessi pubblici. Ciò può portare a norme diverse nel Mercato unico, che si traducono in oneri normativi o amministrativi aggiuntivi per le imprese, con un impatto maggiore sulle PMI, e rendono più difficile per i consumatori comprendere la portata della loro protezione [xiii].
- Double banking. Gli effetti della politica interna e dei processi legislativi nazionali tendono a essere un’altra ragione importante per il gold plating. Gli Stati membri possono – per errore o deliberatamente – lasciare in vigore la legislazione nazionale su questioni regolate dal diritto dell’UE, creando un doppio regime normativo che può essere oneroso. Ad esempio, quando un atto dell’UE è deregolamentato in un settore sensibile a livello nazionale (ad esempio, la stabilità fiscale o finanziaria), i parlamenti nazionali possono introdurre o mantenere in vigore requisiti e restrizioni che impediscono l’effettiva attuazione dell’acquis dell’UE sul campo [xiv].
- Mancanza di un’adeguata applicazione delle misure per contrastare il gold plating degli Stati membri. I requisiti nazionali aggiuntivi, anche all’interno delle norme giuridiche, devono essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, essere non discriminatori, proporzionati, di facile comprensione e conformi alle norme minime armonizzate – con differenze ridotte al minimo per salvaguardare gli obiettivi del Mercato unico. In base al Trattato, la Commissione europea ha il potere di avviare procedure di infrazione e di assistere gli Stati membri nel migliorare l’osservanza del diritto dell’UE, perseguendo l’obiettivo comune di un Mercato unico ben funzionante. Tuttavia, sia l’uso dei meccanismi di ricorso che la cooperazione soft tra la Commissione e gli Stati membri potrebbero essere rafforzati per garantire un’attuazione e un’applicazione efficienti della legislazione sul Mercato unico [xv].
La legislazione sui rifiuti e sui rifiuti di imballaggio [nota 28] è stata ripetutamente identificata come una delle principali fonti di costi normativi per le PMI a causa della sovrapposizione di requisiti orizzontali e settoriali. Il documento stabilisce i principi per la gestione dei rifiuti e degli imballaggi e sottolinea la necessità per le aziende di attenersi a requisiti rigorosi in materia di gestione, smaltimento e riciclaggio dei rifiuti per non mettere a rischio la salute umana o l’ambiente. Tuttavia, in assenza di criteri a livello europeo, gli Stati membri e persino le regioni dell’UE applicano attualmente norme e categorie di rendicontazione profondamente divergenti [nota 29]. La mancanza di regole o interpretazioni comuni è causa di incertezza per gli operatori e i riciclatori dell’UE, inoltre obbliga i produttori a gestire una serie di campi di dati per soddisfare tutti gli obblighi di comunicazione nazionali [nota 30]. In aggiunta, le sovrapposizioni normative all’interno e tra le legislazioni sui prodotti, sulle sostanze chimiche e sui rifiuti creano costi inutili per le imprese e le amministrazioni a causa della duplicazione dei controlli di conformità, dell’incertezza giuridica e del rischio di sanzioni [nota 31]. Per quanto riguarda specificamente le autorizzazioni, un’analisi delle lacune di 13 atti normativi dell’UE, tra cui la Direttiva quadro sui rifiuti, ha evidenziato la duplicazione di 169 requisiti, comprese differenze (29%) e vere e proprie incoerenze (11%) [xvi]. Infine, le disposizioni possono essere duplicate o le attività economiche coperte sia dalla legislazione quadro generale che dalle norme settoriali specifiche. Sebbene, in linea di principio, la legislazione settoriale abbia la priorità sulla legislazione quadro in caso di conflitto (in virtù del principio della lex specialis e del fatto che sia generalmente più recente), ciò non è automatico, ma lasciato a una valutazione giudiziaria caso per caso, a scapito della certezza del diritto.
NOTA 28. Compresa la Direttiva Quadro sui Rifiuti e la legislazione collegata, come il Regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti recentemente modificato. In particolare, il principio del “chi inquina paga” e la responsabilità estesa del produttore (EPR) rendono i produttori responsabili di tutti i rifiuti generati dai propri prodotti e richiedono l’adozione di una solida gestione dei rifiuti.
NOTA 29. Questo ad eccezione di tre gruppi di prodotti: ferro, acciaio e alluminio; rottami di rame e rottami di vetro. Ciò riguarda, ad esempio, la cessazione di qualifica di rifiuto (cioè quando i rifiuti cessano di essere tali e diventano materie prime secondarie), con conseguente frammentazione del Mercato unico ed elevati costi amministrativi per le imprese.
NOTA 30. Per esempio, ci sono 27 modi per fare rendicontazione sugli imballaggi, a causa di definizioni e modelli diversi, nonché di regole divergenti su ciò che entra nella classificazione dei rifiuti pericolosi. Le batterie agli ioni di litio a fine vita e gli intermedi del riciclaggio, come i rifiuti di produzione delle batterie e la massa nera, potrebbero essere classificati in modo diverso nei vari Stati membri in assenza di norme UE sulla loro classificazione come rifiuti pericolosi o non pericolosi.
NOTA 31. Come esempio della sovrapposizione tra la legislazione sui prodotti e quella sui rifiuti, le disposizioni relative all’EPR nella direttiva sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio si basano sulla Direttiva quadro sui rifiuti, applicabile a tutti i sistemi EPR, mentre sono state introdotte norme settoriali per gli imballaggi. Inoltre, sono previste norme specifiche sull’EPR per i prodotti tessili all’interno dello stesso atto che stabilisce le disposizioni generali sull’EPR.
Tutti e tre gli esempi indicano anche la necessità di considerare meglio le dimensioni delle imprese interessate dalla regolamentazione, utilizzando misure di mitigazione adeguate in linea con il principio di proporzionalità. Le PMI tendono a percepire il costo della conformità alla normativa europea come maggiore, anche perché è meno probabile che sopravvivano abbastanza a lungo da raccogliere tutti i benefici della regolamentazione. Nel 2023, il 55% delle PMI ha indicato gli ostacoli normativi e gli oneri amministrativi come la sfida più grande da affrontare. Questa è stata anche la seconda sfida più citata per le start-up (52%, dopo l’accesso ai finanziamenti) e la terza più citata per le imprese a media capitalizzazione (36%, dopo le difficoltà nel trovare dipendenti e le interruzioni della catena di approvvigionamento) [xvii]. Nel complesso, anche se le PMI sono spesso esentate dall’ambito di applicazione delle leggi dell’UE o beneficiano di altre “misure di attenuazione”, tutti i casi di studio analizzati suggeriscono che queste misure non sono sufficienti per affrontare le sfide delle imprese più piccole. Ovvero:
- A causa degli effetti della catena del valore, il quadro di riferimento per la rendicontazione di sostenibilità e la dovuta diligenza non differenzia adeguatamente le PMI dalle grandi imprese [nota 32]. Inoltre, la CSRD viene indicata come un esempio di mancanza di proporzionalità dell’acquis dell’UE nei confronti delle imprese a media capitalizzazione, in quanto i costi di conformità rappresentano fino al 12,5% dei volumi di investimento delle imprese a media capitalizzazione [nota 33].
- Nell’ambito dei rifiuti e dei rifiuti generati dagli imballaggi, gli obblighi di rendicontazione di EPR si applicano per lo più a tutti i produttori in egual misura, senza tener conto delle relative dimensioni o dell’impatto ambientale [nota 34].
- Il GDPR non prevede l’esenzione per le PMI, tranne in alcuni casi [nota 35].
NOTA 32. Ad esempio, mentre la CSRD si applica solo alle grandi imprese e alle PMI quotate in borsa (queste ultime beneficiano anche di un periodo di transizione più lungo per il recepimento, che termina il 1° gennaio 2026 e prevede la possibilità di ulteriori di due anni di non partecipazione), le microimprese e le PMI non quotate in borsa sono interessate da effetti trickle-down lungo la catena di approvvigionamento. Sono ancora in fase di elaborazione standard più proporzionati per l’utilizzo da parte delle PMI quotate in borsa per soddisfare gli obblighi di rendicontazione previsti dalla CSRD, nonché standard semplificati per l’utilizzo volontario da parte delle PMI non quotate.
NOTA 33. BEI e EPC, Hidden Champions, Missed Opportunities – Mid-caps’ crucial roles in Europe’s economic transition, 2024. Il Segretariato Generale degli Imprenditori Europei (CEA-PME) stima che il costo medio iniziale per una impresa a media capitalizzazione per conformarsi alla CSRD sia di 800.000 euro in due anni – sulla base di un sondaggio tra le imprese francesi a media capitalizzazione.
NOTA 34. Nel settore tessile, la Commissione ha proposto di escludere le microimprese da questi obblighi, che comportano costi di comunicazione di almeno 540 euro all’anno per operatore. Analogamente, la proposta sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio esenterebbe alcuni operatori, come le microimprese, dall’obbligo di raggiungere gli obiettivi di riutilizzo degli imballaggi.
NOTA 35. Ad esempio, le PMI che non sono principalmente impegnate nel trattamento dei dati e non rappresentano una minaccia specifica per i diritti e le libertà delle persone sono esentate dal nominare un Responsabile della protezione dei dati. Inoltre, le imprese con meno di 250 dipendenti non sono tenute a conservare i registri dei dati, a meno che non trattino regolarmente dati personali, non presentino rischi o non gestiscano informazioni sensibili.
Obiettivi
- Semplificare l’acquis comunitario esistente e filtrare le nuove proposte.
- Applicare meglio la legislazione sul Mercato unico.
- Applicare un regime proporzionato per le PMI e le piccole imprese a media capitalizzazione nella legislazione esistente e futura.
- Promuovere l’innovazione.
Tre principi generali guidano le proposte a seguire per il raggiungimento di questi obiettivi:
- Individuare in anticipo la logica e gli obiettivi della legislazione dell’UE e trovare il giusto equilibrio tra il principio di precauzione e il principio di innovazione. Ad esempio, si dovrebbe individuare quando si dovrebbe perseguire un’armonizzazione minima o completa.
- Scegliere il miglior strumento legislativo (regolamento, direttiva, decisione, raccomandazione, atto delegato o atto di esecuzione) che soddisfi le motivazioni individuate, riducendo il più possibile i costi di conformità normativa, recepimento e rendicontazione.
- Gestire l’acquis dell’UE in modo efficace, garantendo la disponibilità di tutte le informazioni necessarie per approvare una legislazione efficace. Ciò include una consultazione sistematica e tempestiva delle parti interessate sulla legislazione, per migliorarne la qualità. Ritirare la legislazione obsoleta, identificare e affrontare le sovrapposizioni e le contraddizioni e concentrarsi sul miglioramento dell’attuazione e dell’applicazione negli Stati membri.
L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di rendere la normativa europea e nazionale un corpus unico e coerente che rappresenti un punto di forza competitivo per l’UE.
L’evidenza quantitativa sistematica dell’onere cumulativo della legislazione UE sulle PMI e sulle piccole medie imprese è fondamentale per progettare rimedi adeguati e misure di mitigazione. Questo è un settore in cui la Commissione è debole. Circa l’80% dei punti del programma di lavoro della Commissione riguarda le PMI [xviii]. Tuttavia, solo circa la metà (54% nel 2020 e 45% nel 2021) delle valutazioni d’impatto ha valutato in modo sostanziale l’impatto della legislazione sulle PMI, e quasi un terzo dei pareri del Comitato di vigilanza regolamentare ha chiesto di migliorare questo aspetto. Inoltre, il 2022 SME Test Benchmark ha evidenziato come la maggior parte delle valutazioni d’impatto analizzate non sia di qualità sufficiente [xix]. Il quadro si fa più fosco se si considerano le piccole imprese a media capitalizzazione, soprattutto per la mancanza di una definizione europea condivisa e di dati statistici prontamente disponibili. Ciò ha fatto sì che le piccole imprese a media capitalizzazione fossero largamente assenti dal processo decisionale dell’UE e dalle relative valutazioni d’impatto. Al fine di sfruttare appieno il potenziale delle piccole imprese di media capitalizzazione per la competitività dell’UE sarà necessario uno sforzo sostenuto e sistematico a livello di Stati membri e di UE, sia a livello normativo che di politica industriale [xx].
Proposte
Razionalizzare l’acquis dell’UE con una nuova Vicepresidenza per la semplificazione.
- All’inizio di ogni mandato della Commissione, prima di adottare la nuova normativa, si dovrebbe dedicare un periodo fisso di almeno sei mesi a una “banca di valutazione” per valutare sistematica e sottoporre a stress test l’intera regolamentazione esistente per settore di attività economica.
- Sulla base di questo stress test, una seconda fase dovrebbe concentrarsi sul perseguimento della codificazione e del consolidamento della legislazione dell’UE per settore politico. Ciò dovrebbe includere la semplificazione e l’eliminazione delle sovrapposizioni e delle incoerenze nell’intera “catena legislativa”, con priorità ai settori economici in cui l’Europa è particolarmente esposta alla concorrenza internazionale (ad esempio, le tecnologie pulite). Anche gli strumenti digitali possono essere utili [Box 2].
- Questo esercizio dovrebbe essere gestito da tutti i membri del Collegio dei Commissari, con ciascun Commissario responsabile dello stress test e della successiva semplificazione della legislazione dell’UE nei rispettivi settori di competenza, sotto il coordinamento di una Vicepresidenza per la semplificazione. La Vicepresidenza sarebbe anche responsabile delle relazioni interistituzionali per costruire il consenso necessario con i colegislatori sulla codificazione e la razionalizzazione legislativa.
- Allo stesso tempo, il principio della lex specialis dovrebbe essere chiarito come una regola orizzontale generale in base alla quale, in caso di conflitto tra le leggi dell’UE, le norme settoriali o più specifiche prevarrebbero automaticamente, a vantaggio della certezza del diritto [nota 36].
NOTA 36. Attualmente, la lex specialis è un principio riconosciuto dal diritto dell’UE. Non esiste una regola generale secondo cui un principio orizzontale di lex specialis si applichi automaticamente a tutti i regolamenti dell’UE. La sua applicazione, quindi, dipende dal contesto legislativo specifico e dall’interpretazione dei tribunali dell’UE.
BOX 2. Strumenti digitali, e in particolare l’IA, per ridurre l’onere di conformità
La banca di valutazione [proposta 1], potrebbe essere supportata dall’uso di strumenti digitali e soprattutto dall’IA (in particolare, modelli linguistici di grandi dimensioni) per analizzare rapidamente grandi volumi di documenti legali e identificare le aree di consolidamento, semplificazione e rimozione di sovrapposizioni e incoerenze [nota 37].
Gli strumenti digitali dovrebbero essere utilizzati anche per applicare pienamente i principi “once only” e “digital by design” nella legislazione dell’UE, compresa la piena digitalizzazione delle relazioni tra imprese e autorità non solo a livello di UE, ma anche negli Stati membri. Parallelamente, occorre garantire soluzioni di piena interoperabilità transfrontaliera tra gli enti pubblici attraverso un’ambiziosa attuazione del Regolamento su un’Europa interoperabile.
Sebbene l’obbligo di condivisione delle informazioni rimanga in capo alle imprese, le amministrazioni dovrebbero assumere un ruolo più incisivo nell’organizzazione e nella razionalizzazione della rendicontazione, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali all’avanguardia, come l’IA [nota 38], modelli comuni di rendicontazione concordati e armonizzati per automatizzare la generazione della documentazione richiesta [nota 39], soglie de minimis di rendicontazione e requisiti di rendicontazione centralizzati utilizzando un’unica interfaccia multilingue.
Infine, le procedure nazionali di autorizzazione dovrebbero essere completamente digitalizzate, rese interoperabili e meglio coordinate a livello di UE per ridurre i relativi costi e stimolare l’imprenditorialità. Pur salvaguardando le credenziali ambientali, si potrebbe rivedere la valutazione dell’impatto ambientale, introducendo un limite di tempo in tutta l’UE per le amministrazioni nazionali per rispondere in formato digitale. Una volta scaduto tale periodo di tempo, le aziende potrebbero procedere con i loro progetti a condizione che gli operatori siano responsabili del ripristino dello status quo in caso di valutazione finale negativa.
NOTA 37. Recentemente è stato effettuato un esercizio una tantum di questo tipo per semplificare gli obblighi di rendicontazione, in particolare per le PMI.
NOTA 38. Le applicazioni di IA (in particolare i modelli linguistici di grandi dimensioni) potrebbero essere utilizzate per analizzare rapidamente grandi volumi di documenti normativi e per identificare potenziali conflitti e ridondanze, nonché aree di consolidamento e razionalizzazione. L’apprendimento automatico potrebbe anche aiutare a simulare l’impatto di nuove proposte di legge, aiutando i responsabili politici a prendere decisioni più informate. Infine, i software e gli assistenti virtuali basati sull’IA potrebbero fornire un feedback in tempo reale o addirittura predittivo su possibili problemi di conformità e offrire una guida automatica per soddisfare i requisiti normativi, compresa la traduzione di complesse disposizioni legali in un linguaggio comprensibile.
NOTA 39. Ad esempio, la piattaforma Fit4Future ha proposto un approccio completamente automatizzato alla rendicontazione di sostenibilità nell’ambito della CSRD. Inoltre, la revisione della Direttiva quadro sui rifiuti potrebbe essere un’opportunità per digitalizzare e semplificare gli obblighi di rendicontazione relativi all’economia circolare, adottando un approccio olistico alla legislazione sui rifiuti, sui prodotti e sulle sostanze chimiche.
Utilizzare una metodologia unica e chiara per quantificare il costo della nuova legislazione per le istituzioni dell’UE e gli Stati membri. Questa metodologia dovrebbe essere adottata dalla Commissione quando presenta una proposta, dai colegislatori quando modificano la legislazione e dagli Stati membri quando la recepiscono.
- La Commissione dovrebbe sviluppare e applicare in modo coerente una metodologia unica per le sue valutazioni d’impatto, al fine di controllare (e ridurre, ove necessario) il costo della nuova legislazione per tutti gli operatori, tenendo conto delle ricadute a livello nazionale.
- La Commissione dovrebbe rendere regolarmente disponibili al pubblico questi dati sui nuovi oneri normativi e amministrativi nei vari settori, indicando i Commissari e i dipartimenti responsabili della legislazione e della sua razionalizzazione.
- Un accordo interistituzionale dovrebbe garantire che il Consiglio e il Parlamento europeo si assumano la piena responsabilità di valutare (utilizzando la stessa metodologia della Commissione) l’impatto degli emendamenti sostanziali proposti durante i negoziati legislativi.
- Infine, gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati ad adottare la stessa metodologia per misurare il costo del recepimento per le parti interessate [si veda la proposta 3].
Ridurre al minimo i costi di recepimento da parte degli Stati membri e migliorare l’applicazione della legislazione sul Mercato unico.
- Rafforzare il ruolo della Task force per l’applicazione delle norme del mercato unico (SMET) nel valutare il modo in cui gli Stati membri attuano le norme del Mercato unico. Ciò dovrebbe includere la valutazione e la risoluzione dei casi di recepimento non corretto e di recepimento che va oltre i requisiti delle direttive UE, con l’eventuale ricorso della Commissione europea alla Corte di giustizia europea per porvi rimedio.
- Aggiungere un nuovo requisito standard nell’articolo sul recepimento delle direttive che richieda agli Stati membri di valutare sistematicamente, utilizzando la stessa metodologia delle istituzioni dell’UE, l’impatto delle loro misure di recepimento sulle parti interessate (compresi i casi di “gold plating”). I risultati di questa valutazione dovrebbero essere resi pubblici per migliorare la trasparenza e scoraggiare il “gold plating”.
- Le autorità preposte all’attuazione e all’applicazione della normativa in tutti gli Stati membri dovrebbero collaborare più strettamente ed essere razionalizzate e accorpate. Alcuni esempi sono gli approcci adottati dall’Agenzia federale di rete (BNETZA) in Germania o l’applicazione congiunta della Commissione federale per il commercio (FTC) degli Stati Uniti in materia di protezione dei dati, concorrenza e tutela dei consumatori. L’approfondimento della cooperazione e il miglioramento della razionalizzazione garantirebbero un’attuazione più sistematica e coerente. I costi di conformità per le imprese derivanti dalla legislazione recepita sarebbero inoltre ridotti, in quanto le imprese beneficerebbero dell’interazione con un unico punto di contatto e di informazioni più chiare.
- Infine, i tribunali nazionali dovrebbero essere incoraggiati agli scambi nell’ambito di un forum di valutazione inter pares a livello europeo, con l’obiettivo finale di raggiungere un buon livello di coordinamento e armonizzazione nell’applicazione giudiziaria del diritto dell’UE in tutti gli Stati membri.
Mantenere la proporzionalità per le PMI e le piccole imprese a media capitalizzazione nel diritto dell’UE, anche estendendo le misure di mitigazione alle piccole imprese a media capitalizzazione.
- La Commissione dovrebbe definire con urgenza la base su cui calcolare la già annunciata riduzione del 25% del costo degli obblighi di rendicontazione e attuarla pienamente, impegnandosi al contempo a ridurla ulteriormente per le PMI (fino al 50%). La proposta di stress test dell’acquis dell’UE nell’ambito della “banca di valutazione” [proposta 1] potrebbe sostenere tale riduzione.
- La Commissione dovrebbe inoltre rinviare le iniziative che si rivelano particolarmente problematiche dal punto di vista della competitività o dell’innovazione o che hanno un impatto sproporzionato sulle PMI e suggerire l’introduzione di adeguate misure di mitigazione [Box 3].
BOX 3. Un test di competitività rinnovato
Il mantenimento della proporzionalità per le PMI e le piccole imprese a media capitalizzazione nel diritto dell’UE [proposta 4] potrebbe essere sostenuto da un test di competitività rinnovato, che unisca l’attuale test di competitività e il test PMI e si basi su una metodologia chiara e solida per misurare l’impatto cumulativo (compresi i costi di conformità e gli oneri amministrativi) di tutte le nuove proposte da adottare sulle PMI.
Questo test dovrebbe essere effettuato coinvolgendo comitati di operatori industriali che supportino la Commissione nella valutazione dell’impatto di tutti gli atti. Inoltre, i colegislatori, gli Stati membri e i comitati consultivi dovrebbero essere coinvolti per garantire progressivamente una valutazione obbligatoria di tutti gli impatti aggiuntivi sulle PMI introdotti attraverso gli atti delegati e di esecuzione, nonché il recepimento nazionale.
Su questa base, la Commissione dovrebbe valutare e identificare le misure di mitigazione pertinenti per le PMI che potrebbero essere estese ad altre società, comprese le piccole imprese a media capitalizzazione, in particolare quando la regolamentazione esistente che si applica alle grandi società è ritenuta onerosa, sproporzionata o di ostacolo al loro sviluppo competitivo [nota 40].
Ciò dovrebbe basarsi su una raccolta di dati più sistematica, a livello europeo, incentrata sulle imprese a media capitalizzazione, che consenta di estendere il test di competitività rinnovato anche alle piccole imprese a media capitalizzazione.
Nel breve termine, l’innalzamento delle attuali soglie di definizione delle PMI potrebbe fornire un probabile impulso alla competitività grazie all’estensione delle misure di mitigazione esistenti alle piccole imprese a media capitalizzazione. Tuttavia, questo dovrebbe andare di pari passo con uno sforzo a medio termine per la costruzione di una politica industriale dedicata alle imprese a media capitalizzazione, a partire dalla loro identificazione sistematica tra i vari settori, nonché delle loro esigenze e delle sfide specifiche che devono affrontare rispetto alle PMI, come l’incremento di scala oltre confine e l’ottenimento di finanziamenti.
Un 28° regime volontario per le PMI innovative e le imprese a media capitalizzazione, come proposto nel capitolo sull’innovazione, dovrebbe essere considerato come parte di questo più ampio sforzo politico incentrato su queste ultime.
Nota 40. Ad esempio, l’utilizzo dello standard di rendicontazione CSRD semplificato per le PMI quotate, attualmente in fase di sviluppo da parte dell’EFRAG, potrebbe essere esteso alle piccole imprese a media capitalizzazione per ridurre i loro costi di rendicontazione. Inoltre, la frequenza della garanzia potrebbe essere ridotta per le piccole imprese a media capitalizzazione (da ogni anno a ogni tre anni).
Rivedere il sistema dei Gruppi di esperti della Commissione.
- Attualmente esistono oltre 1.000 gruppi consultati dalla Commissione a fini legislativi e politici: più precisamente, 650 Gruppi di esperti e 450 Sottogruppi, oltre a centinaia di organismi non disciplinati dalle norme sui Gruppi di esperti, come i comitati di comitatologia, i comitati di dialogo sociale e i “Gruppi speciali”. Nella maggior parte di essi sono rappresentati gli Stati membri, affiancati da stakeholder, associazioni o esperti [nota 41]. Nonostante un sistema di consultazione così esteso, le parti interessate continuano a chiedere alla Commissione di considerare meglio i loro punti di vista.
- È necessario rivedere il processo di consultazione delle parti interessate, anche razionalizzando il numero dei Gruppi di esperti e la loro sovrapposizione con altri forum consultivi, per migliorare sia l’advocacy politica che l’elaborazione delle politiche stesse. Migliorerà anche l’uso ottimale delle risorse per tutte le parti interessate coinvolte.
Nota 41. Ad esempio, il Gruppo di esperti sulla competitività dell’industria delle forniture ferroviarie (E03536) riunisce rappresentanti di 13 Stati membri e 37 organizzazioni, tra cui le principali imprese o gruppi attivi nel settore, associazioni di categoria, sindacati e ONG.
Creare degli “hub di innovazione dell’UE” per sostenere gli sforzi degli Stati membri nel definire gli spazi di sperimentazione e promuoverne l’uso nei vari Paesi, offrendo informazioni centralizzate alle imprese dell’UE.
- Le rappresentanze dell’UE in tutti gli Stati membri dovrebbero diventare “hub dell’innovazione dell’UE”, facilitando il coordinamento tra gli Stati membri che dispongono di spazi di sperimentazione nazionali o di altre agevolazioni per l’innovazione, nonché fornendo alle imprese innovative dell’UE informazioni centralizzate sugli spazi di sperimentazione esistenti per promuoverne l’uso anche in altri Stati membri. Soprattutto quando vengono istituiti spazi di sperimentazione nazionali in settori economici chiave per la competitività dell’UE, come le tecnologie digitali [si veda il Box sull’IA nel capitolo sulle tecnologie digitali e avanzate], tali spazi di sperimentazione settoriali “federati” e il loro uso più ampio a livello transfrontaliero aumenterebbero gli incentivi nazionali alla sperimentazione di politiche in linea con le specificità settoriali, rafforzando al contempo le ricadute e l’innovazione a livello dell’UE.
- Parallelamente, un quadro normativo più incline all’innovazione dovrebbe essere ottenuto attraverso un uso più sistematico di altri strumenti di flessibilità, come le clausole di sperimentazione [nota 42], le clausole di decadenza negli atti legislativi e la cooperazione rafforzata, al fine di per garantire l’agilità necessaria a tenere il passo con i rapidi progressi tecnologici.
Nota 42. Le clausole di sperimentazione (spesso la base giuridica degli spazi di sperimentazione normativa) sono definite come disposizioni legali che consentono alle autorità incaricate di attuare e far rispettare la legislazione di esercitare un certo grado di flessibilità, caso per caso, in merito alla sperimentazione di tecnologie, prodotti, servizi o approcci innovativi. Allo stesso tempo, un approccio unico indifferenziato, come le clausole generali di sperimentazione a livello UE, potrebbe essere troppo generico e inadatto ad affrontare la specificità delle sfide emergenti nei vari settori o aree politiche.
Tabella delle Abbreviazioni
BEI Banca europea per gli investimenti BNETZA Agenzia federale di rete CEA-PME Imprenditori europei CSRD Direttiva relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità DNSH “Non arrecare un danno significativo” DPA Autorità competenti per la protezione dei dati EPR Responsabilità estesa del produttore ESPR Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili ESRS Principi europei di rendicontazione di sostenibilità ETS Sistema di scambio delle quote di emissione FTC Commissione federale per il commercio GDPR Regolamento generale sulla protezione dei dati IA Intelligenza artificiale IED Direttiva sulle emissioni industriali IPCEI Importante progetto di comune interesse europeo NECP Piano nazionale per l’energia e il clima PESC Politica estera e di sicurezza comune PMI Piccole e medie imprese PNRR Piano nazionale di ripresa e resilienza PSC Patto di stabilità e crescita QFP Quadro finanziario pluriennale R&S Ricerca e sviluppo REACH Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche REFIT Programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione RSP Raccomandazione specifica per Paese RTE-E Reti transeuropee per l’energia SER Spazio europeo della ricerca SMET Task Force per l’applicazione delle norme sul mercato unico STEM Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica TFUE Trattato sul funzionamento dell’Unione europea TSCG Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance TSI Strumento di sostegno tecnico VMQ Voto a maggioranza qualificata
Note bibliografiche
- Parlamento europeo, Relazione intermedia – Sviluppi e tendenze della procedura legislativa ordinaria 1° luglio 2019 – 31 dicembre 2021 (9a legislatura), 2021.
- Calleja, D., et al., EU EMERGENCY – CALL 122? On the possibilities and limits of using Article 122 TFEU to respond to situations of crisis, (di prossima pubblicazione).
- Davies, A., Regulation and Productivity, 2014. Ferris, A., Garbaccio, R., Marten, A., and Wolverton, A., The Impacts of Environmental Regulation on the U.S. Economy, 2017. Yang, G., Ding, Z., and Wang, H., “Can environmental regulation improve firm total factor productivity? The mediating effects of credit resource allocation”, Environment, Development and Sustainability, Volume 25, 2023, p. 6799–6827.
- Bradford, A., Digital Empires: The Global Battle to Regulate Technology, 2023.
- Wyman, O., The EU Banking Regulatory Framework and its Impact on Banks and the Economy: Reference study, 2023.
- Parlamento europeo, “Stoiber Group on administrative burdens in EU law”, At a Glance: Better-Law Marking in Action, 2014.
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- Commissione europea, Commission Staff Working Document: Better Regulation Guidelines, 2021.
- Mickute, How to identify and avoid gold- plating EU regulations, 2020.
- Commissione europea, Identificare e affrontare le barriere al mercato unico, COM(2020) 93 final.
- Parlamento europeo, Challenges in the implementation of EU Law at national level, 2018.
- Commissione europea, The 2024 Annual Single Market and Competitiveness Report, 2024.
- Business Europe, License To Transform: SWOT Analysis of industrial permitting in Europe, 2024.
- Commission europea, Report on the Survey of EU Start-ups and the COVID-19 Pandemic, 2023.
- Risultati dell’esercizio di “filtro per le PMI” condotto dal Gruppo di rappresentanti per le PMI.
- Business Europe, Eurochambres and SME united, SME Test Benchmark 2022 Report, 2022.
- BEI e EPC, Hidden Champions, Missed Opportunities – Mid- caps’ crucial roles in Europe’s economic transition, 2024.