Bruxelles – I dettagli sono confusi, ma il messaggio è chiaro. La Commissione Europea è pronta a sborsare all’Ungheria “fino a un tetto massimo” di 10 miliardi di euro “prima del 15 dicembre”. È quanto si apprende da funzionari Ue, a proposito dei fondi comunitari destinati a Budapest ma attualmente congelati per diversi tipi di violazioni dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Salvo sorprese, si tratta solo dei fondi della politica di coesione interessati dall’implementazione delle riforme giudiziarie, non saranno invece toccati quelli bloccati dal meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto né quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma se è abbastanza evidente quale parte del budget Ue è destinata a raggiungere le casse nazionali dell’Ungheria, è molto meno semplice fare il punto delle cifre esatte a causa della mancanza di trasparenza di una Commissione che a maggio era in grado di fornire alla stampa la divisione esatta degli importi e dopo sei mesi si rifugia in un “sono molti livelli stratificati” di dubbia interpretazione.
Partendo dalle certezze fornite dalle fonti, la data ultima per una decisione del gabinetto von der Leyen è il 15 dicembre quando, secondo quanto previsto dal Regolamento sul meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto, la Commissione ha l’obbligo di fornire una valutazione al Consiglio sulle questioni ancora aperte (in assenza di notifica dal Paese membro) a un anno dalla decisione del Consiglio stesso. Il 15 dicembre 2022 era entrata in vigore la decisione di congelare 6,3 miliardi nei confronti dell’Ungheria e in modo formale si giustifica così la scadenza per l’esecutivo comunitario. Che sfrutterà l’occasione per dare una valutazione anche sugli altri fondi congelati, in particolare quelli che interessano le riforme nell’ambito della giustizia. Se non saranno toccati i 6,3 miliardi del meccanismo sullo Stato di diritto e i 5,8 miliardi del Pnrr dell’Ungheria (vincolati da 27 super-obiettivi, di cui “4 riguardano le riforme sulla giustizia”, precisano le fonti), è ai fondi della politica di coesione e al rispetto della condizioni abilitanti orizzontali – ovvero ai collegamenti tra esborso dei fondi e violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – che bisogna guardare.
Ed è qui che si entra nell’intricato mondo dei fondi Ue a cui l’Ungheria molto probabilmente avrà accesso (“sono attese decisioni”, temporeggiano le fonti, ma con un’idea generica di un esborso già fissato). La legge sulla riforma della giustizia – presentata a maggio dal governo di Viktor Orbán ed entrata in vigore a giugno – punta a soddisfare non solo i 4 super-obiettivi del Pnrr ma soprattutto le condizioni che vincolano i fondi di coesione, per un totale di “10 miliardi di euro al massimo”. E già qui non tornano i conti perché, secondo le cifre già fornite dalla Commissione e finora sempre ripetute uguali, si dovrebbe trattare di 12,9 miliardi di euro. Tanto che lo stesso commissario per l’Occupazione e i diritti Sociali, Nicolas Schmit, lo scorso 7 novembre aveva criticato le indiscrezioni emerse da fonti dell’esecutivo comunitario a Financial Times su un possibile accordo tra il gabinetto von der Leyen e Budapest per l’appoggio finanziario all’Ucraina, facendo riferimento proprio ai 12,9 miliardi di euro. Ora invece i funzionari parlano non più di 22,6 miliardi di euro nei fondi di coesione ma di 21,7, ma in ogni caso le cifre continuano a non tornare e le spiegazioni a latitare. Ammesso e non concesso che la somma complessiva sia davvero di 21,7 miliardi e 10 i miliardi sborsabili per le riforme giudiziarie implementate, rimarrebbero 11,7 miliardi congelati: 6,3 del meccanismo di condizionalità, 2 miliardi per questioni legate alla libertà accademica, 600 milioni per la sfera dei diritti Lgbtq+ e 300 milioni per l’asilo (secondo le ‘nuove cifre’ che non corrispondono interamente). Anche in questo scenario rimangono fuori 2,5 miliardi di euro – 2,9 miliardi in quello dei dati di maggio – su cui la Commissione è riluttante a fornire dettagli.
E poi c’è da considerare il tempismo. Se è vero che la scadenza del 15 dicembre è ‘dovuta’ da un punto di vista formale, proprio in quei giorni si terrà a Bruxelles un decisivo Consiglio Europeo su questioni cruciali come l’appoggio finanziario all’Ucraina e la revisione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, si è già recato lunedì (27 novembre) a Budapest per un colloquio a quattr’occhi con Orbán, ma la partita del veto dell’Ungheria si gioca tutta sulla questione dei fondi congelati (28,6 in totale, ma 27,7 nel ‘nuovo’ quadro del Berlaymont). Già giovedì scorso (23 novembre) era parso ben più che curioso il tempismo della decisione del gabinetto von der Leyen di dare il via libera al capitolo RePowerEu da 4,6 miliardi di euro, con i suoi 900 milioni di euro di pre-finanziamento automatico e non vincolato. Nelle prossime due settimane, prima del vertice dei leader Ue, dovrebbe arrivare la decisione favorevole anche sui 10 miliardi di euro dai fondi di coesione – nonostante nemmeno un mese fa il commissario per il Bilancio, Johannes Hahn, parlava di “sviluppi non soddisfacenti” – ed è difficile non vedere in queste decisioni finanziarie un tentativo di ammorbidire il leader ungherese che potrebbe mandare all’aria i piani a breve e lungo termine dell’intera Unione sul supporto all’Ucraina e sul budget Ue complessivo.
Un po’ di ordine nei fondi Ue congelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio scorso dagli stessi servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria che attualmente sono congelati da Bruxelles si attestano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022. Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi sono vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e sono quelli che potrebbero essere sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non basterà mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), ma dovranno essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali, come le potenziali violazioni dei diritti umani.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo questa settimana – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). E il conto arriva a quei 28,6 miliardi di euro congelati, che però ora sono inspiegabilmente diventati 27,7 miliardi per gli stessi servizi del Berlaymont.