Bruxelles – Nella tarda serata di ieri (26 marzo) la Casa Bianca ha sferrato un altro colpo agli alleati europei, ai partner in tutto il mondo e ai principi del libero mercato. Donald Trump ha annunciato l’introduzione, a partire dal 2 aprile, di dazi del 25 per cento su tutte le auto importate negli Usa. “È l’inizio del Giorno della Liberazione in America”, ha esultato il presidente americano, puntando il dito contro i “Paesi che fanno affari nel nostro Paese e che si prendono i nostri posti di lavoro e la nostra ricchezza”.
Tra quei Paesi ci sono partner storici degli Stati Unici. Dal blocco europeo, al Canada, al Giappone. Tutti inermi di fronte alla furia protezionista di Trump. Non è servita a nulla la missione oltreoceano del capo di gabinetto di Ursula von der Leyen, Björn Seibert, e del commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič. Che pure, solo poche ora prima, scriveva di “24 ore intense a Washington Dc per colloqui sostanziali” con i funzionari dell’amministrazione americana, sottolineando l’importanza di “un accordo equo ed equilibrato invece di tariffe ingiustificate”.

Invece, dopo il primo round di dazi entrati in vigore il 12 marzo, per l’Ue arriva un’altra doccia fredda. Amara la reazione di von der Leyen, che in un comunicato ha “deplorato profondamente” la decisione di Trump, ribadendo che in definitiva “i dazi sono tasse, dannose per le imprese e peggiori per i consumatori, sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea”. La leader Ue ha confermato però un approccio cauto, già adottato con il rinvio delle prime contromisure europee – inizialmente previste dal primo aprile – a metà del prossimo mese: nessun annuncio roboante di risposte immediate, ma la volontà di “valutare” la stretta imposta da Trump “insieme ad altre misure che gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione nei prossimi giorni”.
Mentre i produttori europei si sono svegliati in caduta libera – Mercedes-Benz ha perso il 5,5 per cento, Porsche il 4,8, BMW il 4,2, Wolkswagen il 3,3, Stellantis addirittura il 6 per cento -, la Commissione europea ha comunque teso la mano verso Washington. O forse, a questo punto, sarebbe meglio dire che ha scelto di porgere l’altra guancia: “L’Ue continuerà a cercare soluzioni negoziate – ha affermato von der Leyen -, salvaguardando al contempo i propri interessi economici”.
Lo stesso Elon Musk, patron di Tesla e stretto consigliere di Trump, ha ammesso che la mossa avrà “effetti non trascurabili” sul prezzo dei pezzi di ricambio per le sue auto che provengono da altri paesi. Ma il presidente repubblicano è convinto che in questo modo le case automobilistiche sposteranno le loro produzioni negli Stati Uniti: “Ci aspettiamo di incassare tra 600 e 1000 miliardi di dollari in due anni”, ha dichiarato.
Questa mattina, al suo arrivo al Consiglio Ue Ambiente a Bruxelles, la vicepresidente esecutiva della Commissione Ue responsabile per la Transizione, Teresa Ribera, ha accusato l’amministrazione americana di “giocare contro un mercato globale bun funzionante, che garantisca che possiamo competere in un contesto di parità e stimolare l’innovazione”. Ribera ha promesso che l’Ue “lavorerà insieme al settore per garantire che tutto questo sia gestibile per le nostre aziende”.