Bruxelles – Dopodomani in Germania si voterà in quelle che sembrano le elezioni meno “tedesche” della storia recente del Paese. Un tempo considerata emblema di stabilità politica, la locomotiva economica europea – ormai in panne da due anni – si trova oggi di fronte ad una forte frantumazione rispetto sua alla tradizionale storia politica sostanzialmente basata sul confronto tra centristi e socialdemocratici, con l’ultradestra nazionalista in ascesa e la sinistra radicale in risalita, mentre il centro liberale rischia di volatilizzarsi.
Domenica 23 febbraio gli elettori si recheranno alle urne per rinnovare il Bundestag, la camera bassa del legislativo di Berlino. Dopo aver esaminato i temi al centro della campagna elettorale, Eunews vi propone un’analisi dei trend che interessano i principali partiti tedeschi.
Il prossimo Bundeskanzler
Non c’è dubbio che dalle urne usciranno vincitori i partiti della cosiddetta Unione: l’Unione cristiano-democratica (Christlich Demokratische Union Deutschlands, Cdu) e il suo gemello bavarese, l’Unione cristiano-sociale (Christlich-Soziale Union in Bayern, Csu). Sondaggi alla mano, l’Union viaggia intorno al 30 per cento dei consensi, con una forbice che va dal 28 al 32 a seconda delle rilevazioni. Pertanto, è sostanzialmente garantito che il prossimo cancelliere federale (Bundeskanzler) sarà Friedrich Merz, il leader della Cdu che fu di Angela Merkel.
Durante il “regno” di quest’ultima, durato 16 anni (dal 2005 al 2021) e caratterizzato da un posizionamento centrista del partito, Merz (la cui visione è decisamente più conservatrice) si è allontanato dalla politica per dedicarsi all’attività da avvocato (con un passaggio a BlackRock tra il 2016 e il 2020). Si riaffaccia sulla scena della Cdu nel 2018, quando “Mutti” annuncia il proprio ritiro, ma per la successione gli viene preferita Annegret Kramp-Karrenbauer. Nel 2020, perde nuovamente il duello al vertice del partito contro Armin Laschet, che però si dimette nel dicembre 2021 a seguito della sconfitta elettorale che condanna l’Union all’opposizione nella legislatura che sta per terminare.
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A quel punto, Merz prende in mano il timone. Sotto la guida del 69enne di Brilon, la Cdu conosce una profonda trasformazione, abbandonando le posizioni tradizionali dei cristiano-democratici per spostarsi con decisione verso destra, soprattutto sul tema dell’immigrazione. Una strategia che è finita al centro delle polemiche a fine gennaio, quando il futuro cancelliere è uscito allo scoperto e, prendendosi un grosso rischio politico, ha provato a giocare di sponda con l’ultradestra xenofoba per far approvare al Bundestag un disegno di legge che prevedeva una stretta sull’immigrazione irregolare. Quel tentativo è poi fallito per una manciata di voti, ma la mossa di Merz ha terremotato l’opinione pubblica tedesca provocando una massiccia mobilitazione di piazza, con partecipatissimi cortei di protesta contro il crollo del cosiddetto “cordone sanitario” (Brandmauer) e del consenso centrista a Berlino.
Il tracollo dei Socialdemocratici
Una vera e propria debacle attende invece ai Socialdemocratici dell’Spd (Sozialdemokratische Partei Deutschlands), che stanno andando incontro al peggior risultato in un’elezione nazionale dal secondo dopoguerra. Dopo essere arrivato primo (di poco) quattro anni fa con il 25,7 per cento, il partito del cancelliere uscente Olaf Scholz si attesta ora tra il 15 e il 16 per cento delle preferenze, che si tradurrà in un inglorioso terzo posto per la forza politica più antica di Germania.
I socialisti pagano l’esperienza tutt’altro che brillante della “coalizione semaforo” (composta dall’Spd, dai Verdi e dai liberali dell’Fdp) che ha governato il Paese dal 2021. I partiti che ne facevano parte hanno passato gran parte del tempo a litigare sui provvedimenti da adottare, principalmente a causa delle differenze di vedute tra i partner progressisti e i liberali, inibendo l’azione dell’esecutivo. Finché il banco è saltato quando, a inizio novembre, l’Fdp si è sfilata staccando di fatto la spina alla coalizione.
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L’Spd sta inoltre attraversando una profonda crisi di leadership. Scholz ha perso gran parte del capitale politico personale che aveva quando ha assunto l’incarico, e attualmente solo il 17 per cento degli elettori vorrebbe che rimanesse alla cancelleria (contro il 33 per cento che vorrebbe Merz e il 24 per cento che preferirebbe il candidato ambientalista Robert Habeck).
Per un breve periodo, sembrava aver preso quota l’opzione di sostituire Scholz con Boris Pistorius come candidato cancelliere. Il ministro uscente della Difesa è da tempo il politico col più alto gradimento personale in Germania (con un indice di apprezzamento stabilmente sopra il 50 per cento), ma ha fatto un passo di lato ritirandosi dalla corsa. Secondo gli analisti, la popolarità di Pistorius deriva almeno in parte dalle posizioni nette che ha preso in favore dell’Ucraina, mentre Scholz al contrario ha spesso tentennato sul sostegno da fornire a Kiev.
La volata dell’ultradestra
Al di là della performance dei due maggiori partiti del mainstream tedesco, tuttavia, il vero dato politico di questa tornata elettorale sarà la volata dell’ultradestra post-nazista di Alternative für Deutschland (AfD). Il partito guidato da Alice Weidel (nominata candidata cancelliera dai delegati a metà gennaio) e Tino Chrupalla è accreditato con un 20-21 per cento dei consensi: un record storico che lo porterebbe ad arrivare secondo per la prima volta da quando è stato fondato nel 2013.
La formazione ultranazionalista e filorussa è da tempo nel mirino dei servizi d’intelligence civile (Bfv) in quanto “sospetta organizzazione estremista di destra“. In caso di esito positivo delle indagini, andrebbe messa al bando in quanto anticostituzionale (anche se questo scenario è costellato da una serie di problemi sia legali sia politici).
Il principale cavallo di battaglia dell’AfD è il pugno duro sull’immigrazione (dai piani di “remigrazione” ai volantini che inneggiano alla deportazione dei clandestini), diventato un tema caldissimo nella campagna elettorale anche a seguito di una serie di attentati mortali nel Paese negli ultimi mesi (e l’ultimo giusto poche ore fa nella capitale). L’intransigenza in tema di accoglienza e di controllo ai confini ha del resto fatto breccia anche al centro dello spettro politico, risultando in un inasprimento generalizzato delle posizioni per tutti i partiti con l’unica eccezione della sinistra radicale.
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Recentemente, la formazione xenofoba e nativista sembra essere riuscita a scrollarsi di dosso l’immagine di “paria”, finendo per venire legittimata sia domesticamente che all’estero. Oltre alla già citata mossa di Merz, che ha aperto una breccia nel Brandmauer tramite cui si era esclusa per 80 anni l’ultradestra dal novero dei partiti con cui era accettabile cooperare al Bundestag (anche se a livello di governi regionali l’AfD collabora già con la Cdu in diversi Länder), Weidel & co. sono stati incensati da diverse figure della nuova amministrazione statunitense.
Il braccio destro di Donald Trump, il “tecno-oligarca” Elon Musk (esibitosi in un doppio saluto nazista all’inaugurazione del suo capo, appena un mese fa), ha pubblicamente dichiarato che “solo l’AfD può salvare la Germania” per poi fare capolino in videocollegamento ad un comizio elettorale del partito sostenendo tra le altre cose che in Germania “bisogna andare oltre” al senso di colpa per gli orrori della dittatura hitleriana. La settimana scorsa, il vicepresidente Usa James David Vance ha esortato i leader europei ad abbandonare la pratica dei cordoni sanitari (definita antidemocratica) prima di intrattenersi in un bilaterale con Weidel (rifiutando contestualmente di incontrare Scholz).
Ma anche in Europa l’AfD sta guadagnando credibilità. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha accolto Weidel a Budapest pochi giorni fa, dichiarando che la giovane donna incarna “il futuro della Germania“. E secondo alcune indiscrezioni la delegazione del partito all’Eurocamera potrebbe presto ricongiungersi con i Patrioti. L’ultima parola spetterà ai lepenisti del Rassemblement national, che avevano espulso i tedeschi dal precedente gruppo dell’estrema destra a Strasburgo, Identità e democrazia.
L’onda verde in risacca
Secondo le proiezioni, la medaglia di legno andrà ai Verdi (Bündnis 90/Die Grünen), il partner minore dell’attuale governo di minoranza di Scholz. Dopo aver incassato quasi il 15 per cento alle scorse legislative (un record storico nelle consultazioni federali), gli ecologisti viaggiano ora sul 13-14 per cento. A novembre il partito ha scelto come candidato al ruolo di capo dell’esecutivo il vicecancelliere uscente e ministro dell’Economia Robert Habeck, uno dei volti più noti dei Grünen insieme all’attuale titolare degli Esteri, Annalena Baerbock.
Lo Spitzenkandidat ambientalista è finito sulla graticola durante la sua permanenza al governo per quello che i critici denunciano come un approccio ideologico alla transizione climatica, negligente tanto dei costi sociali per le fasce più svantaggiate della popolazione quanto di quelli economici per il mondo imprenditoriale.
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Ma dopo l’exploit dei Verdi alle europee del 2019 (quando incassarono il 20,5 per cento), le loro proposte politiche sembrano ormai passate di moda. Complici anche una serie di shock esogeni, dall’invasione su larga scala dell’Ucraina all’aumento incontrollato dei prezzi energetici, dalla spirale inflazionistica alla recessione che da un paio d’anni attanaglia il Paese (anche a causa della crisi nera del suo settore automotive). E la pietra tombale sul Green deal made in Germany sembra destinato a mettercela proprio Merz.
La resurrezione della Sinistra?
Un altro trend interessante emerso nelle ultime settimane è l’apparente “resurrezione” di Die Linke. Il partito della sinistra radicale era dato per moribondo da tempo, tanto che molti sondaggisti non lo ritenevano in grado di superare lo sbarramento del 5 per cento. A pesare sul calo di popolarità c’era stata anche la fuoriuscita di Sahra Wagenknecht, uno dei volti più noti della formazione, nell’autunno del 2023.
Eppure, dopo una lunga traversata del deserto, la Linke è improvvisamente tornata al centro dell’attenzione grazie ad un’impennata nei tesseramenti e nel gradimento soprattutto tra l’elettorato più giovane. A guidare questa ripresa sono stati i due candidati di punta, Heidi Reichinnek e Jan van Aken. Reichinnek, che ha una presenza importante sui social, è la capogruppo al Bundestag e si è fatta notare al grande pubblico quando ha attaccato duramente Merz per il suo flirt con l’AfD.
Merz hat heute einen beispiellosen Tabubruch im Bundestag begangen und der AfD tatsächlich die Tür zur Macht geöffnet.
Alle Menschen im Land wissen nach dem heutigen Tag: auf die CDU ist kein Verlass, wenn es darum geht, die AfD von der Macht fernzuhalten.
Aber die Brandmauer… pic.twitter.com/5Vb9yI2fLB
— Die Linke im Bundestag (@dielinkebt) January 29, 2025
I due hanno dato nuova linfa vitale al partito attraverso la cosiddetta “operazione capelli d’argento“. Un messaggio politico rinvigorito – incentrato soprattutto sull’antifascismo, sulla lotta al cambiamento climatico, sull’aumento del costo della vita e sul pacifismo – ma senza “rottamazione” in stile renziano. Al contrario, in prima linea sono state riportate alcune delle figure storiche e più riconoscibili della Sinistra. L’esito di questa strategia (e della fine delle lotte intestine dopo l’abbandono di Wagenknecht) è stato un balzo nei consensi, dai dintorni del 4,5 per cento ad una forbice compresa tra il 6 e il 9 per cento.
A rischio esclusione
In zona retrocessione (almeno potenziale) troviamo infine due partiti minori. I liberal-conservatori dell’Fdp (Freie Demokratische Partei), il cui candidato è l’ex ministro delle Finanze Christian Lindner, sono in caduta libera a causa dell’esperienza tossica nella coalizione semaforo, implosa proprio per i dissapori in materia di bilancio tra i neoliberisti e i due partner di centro-sinistra.
Il partito di Lindner è uno storico alleato dell’imprenditoria tedesca, e in questa brevissima (e altrettanto tesa) campagna elettorale si è presentato come alternativa agli ex compagni di governo ecologisti. La piattaforma politica classica dell’Fdp è quella dello Stato minimo (meno tasse, meno burocrazia, libero mercato), ma pare che nemmeno il ritorno alle origini sbandierato da Lindner potrà riuscire a fargli superare lo sbarramento, visto che le proiezioni più lusinghiere lo danno al massimo al 4,5 per cento.
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Infine, all’estremo sinistro dello spettro politico c’è il partito personale creato da Sahra Wagenknecht come costola della Linke, il Bsw (Bündnis Sahra Wagenknecht). Fondata a settembre 2023 come movimento e istituzionalizzata in partito a gennaio 2024, questa formazione è in realtà da considerarsi rossobruna (o “conservatrice di sinistra”). Questo perché combina insieme alcune rivendicazioni della tradizione progressista con altri elementi tipici della destra radicale, come lo sciovinismo del welfare e la linea dura sull’immigrazione. Come l’AfD, inoltre, il Bsw è favorevole ad un riavvicinamento alla Russia di Vladimir Putin. Ma se i rossobruni vanno particolarmente forti nelle regioni orientali dell’ex-Ddr, su base nazionale viaggiano anche loro intorno al 4,5 per cento, giocandosi l’ingresso in Parlamento sul filo del rasoio.
Come funziona il voto (e qualche scenario)
Da un punto di vista tecnico, il sistema elettorale tedesco è relativamente complesso, anche se nel 2023 sono state introdotte alcune modifiche che lo semplificano parzialmente. Domenica, i seggi in palio al Bundestag saranno 630: questo tetto è stato fissato con la riforma di due anni fa per evitare che il numero di membri dell’assemblea, precedentemente variabile, aumentasse eccessivamente (nella legislatura uscente ci sono 736 deputati).
Ciascun elettore ha a disposizione due voti. Con il primo (Erststimme) esprime una preferenza per un candidato nella propria circoscrizione uninominale, una delle 299 in cui è suddiviso il Paese. Con il secondo (Zweitstimme) assegna una preferenza ad una lista bloccata di partito. In questo modo viene assicurata la rappresentanza proporzionale dei vari partiti, che ottengono un numero di seggi in Aula in base ai risultati in percentuale sull’intero territorio federale (principio proporzionale), ma viene anche garantito che ogni circoscrizione sia rappresentata (principio maggioritario). Sul totale dei deputati eletti, metà vengono determinati con l’Erststimme e metà con lo Zweitstimme.
Esiste poi una soglia di sbarramento al 5 per cento su base nazionale. Ci sono però due eccezioni a questa regola. Una riguarda le minoranze riconosciute legalmente (ad esempio quella danese), mentre l’altra si applica laddove un partito ottenga almeno tre mandati individuali (Direktmandaten) nelle circoscrizioni: se ciò accade, il partito ha diritto ad eleggere rappresentanti in base alla percentuale ottenuta con lo Zweitstimme senza considerare, appunto, lo sbarramento (è quanto successo nel 2021 con la Linke, che ha ottenuto 39 deputati pur essendosi fermata al 4,9 per cento a livello federale).
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Si tratta evidentemente di un sistema che incentiva la formazione di coalizioni post-elettorali per governare, che vengono tradizionalmente identificate in riferimento ai colori dei partiti. Così, ad esempio, la coalizione semaforo (la prima a tre nella storia tedesca) comprendeva l’Spd (rosso), l’Fdp (giallo) e i Verdi, ma le combinazioni sono diverse (e vengono talvolta chiamate col nome di bandiere straniere).
Numeri alla mano, l’Union non potrà governare da sola e avrà bisogno di un alleato. Le opzioni a disposizione di Merz per superare la maggioranza assoluta di 316 seggi coinvolgeranno dunque o l’Spd di Scholz nel formato della “grande coalizione” (Große Koalition) di merkeliana memoria oppure i Grünen di Habeck per un’alleanza nera-verde (il nero è il colore della Cdu). Almeno sulla carta, per il momento, Merz ha escluso di voler formare una coalizione con l’AfD (che pure offrirebbe una maggioranza più ampia). La sua abilità di manovra sarà poi tanto maggiore quanto peggiori saranno i risultati dei partiti attualmente in lotta per passare lo sbarramento (Fdp e Bsw).