Bruxelles – Una violazione dei principi democratici e del pluralismo politico, e un altro passo verso lo smantellamento del principio ‘un Paese, due sistemi’. Così l’Unione Europea ha definito l’esito, quasi unanime, delle elezioni di Hong Kong vinte ieri (8 maggio) dall’unico candidato per il ruolo di capo dell’esecutivo, John Lee Ka-chiu, con il 99,4 per cento dei voti. Si tratta della prima tornata elettorale dopo la stretta contro il movimento pro democrazia degli ultimi anni, culminata con la Legge sulla sicurezza nazionale in vigore dal primo luglio 2020, e dopo la riforma elettorale del 2021, con l’esplicito obiettivo di prevenire l’ingresso di ‘elementi antipatriottici’ – in un’ottica anti cinese – all’interno dell’amministrazione politica dell’ex colonia britannica.
A denunciare il risultato delle elezioni di Hong Kong è stato l’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che in un tweet ha ammonito la Cina e le autorità locali di “aderire agli impegni nazionali e internazionali”. Hong Kong gode dal 1997 dello status di regione amministrativa speciale, retta da una Legge fondamentale (Basic Law) che le garantisce una semiautonomia per un periodo di transizione – verso un ritorno alla Repubblica Popolare – di cinquant’anni, fino al 30 giugno 2047. Questa condizione viene sintetizzata dalla Cina come principio ‘un Paese, due sistemi’: Pechino è socialista, Hong Kong capitalista. Gode inoltre di una costituzione propria, la Basic Law, di un Parlamento locale, anche detto LegCo (Legislative council) e di tribunali indipendenti. La Basic Law (articoli 45 e 68) prevede anche un certo avanzamento del processo democratico: ha come “fine ultimo” l’elezione sia del capo dell’esecutivo che dei membri del LegCo tramite suffragio universale.
Ma il principio ‘un Paese, due sistemi’ è di fatto venuto meno – pur ancora in piedi, almeno su carta – con la legge del primo luglio 2020, che ha introdotto i reati di secessione, eversione, attività terroristiche e collusione un Paese straniero o elementi esterni per mettere in pericolo la sicurezza nazionale, per i quali sono previste pene fino all’ergastolo. La normativa ha introdotto un Ufficio per la tutela della sicurezza nazionale diretto da Pechino e prevede la possibilità che, dei reati più gravi, si occupino tribunali della Cina continentale. Da allora, i manifestanti del movimento pro democrazia dell’ex colonia (in piazza per le ultime proteste tra il 2019 e il 2020), gran parte dei leader dell’opposizione, tra cui dello sciolto Demosistō, i media locali e persino il cinema hanno subito una repressione ancora in atto.
“L’Unione Europea attribuisce una grande importanza alla difesa dell’alto grado di autonomia di Hong Kong, così come al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, tra cui la libertà dei media, i principi democratici e lo stato di diritto, in linea con la Basic Law e gli impegni internazionali”, prosegue il comunicato dell’alto rappresentante, che sottolinea anche il ruolo avuto dall’ultima riforma elettorale. “Prima della votazione, Lee è stato vagliato dalla Commissione di revisione per l’eleggibilità del candidato e nominato da 786 dei 1.461 membri della rinnovata Commissione elettorale”, ha scandito Borrell. La revisione elettorale ha eliminato il numero dei rappresentanti dei distretti locali all’interno della Commissione elettorale, “indebolendo i già limitati elementi democratici presenti nella governance di Hong Kong e contravvenendo agli impegni a una rappresentazione più ampia sanciti dalla Basic Law”.
Anche l’eurodeputato tedesco Reinhard Bütikofer (Verdi), a capo della Delegazione per le relazioni con la Repubblica Popolare cinese e sanzionato da Pechino lo scorso anno, ha condannato l’esito delle votazioni: Lee è stato a capo della sicurezza di Hong Kong e ha sedato le proteste democratiche del 2019. Secondo il parlamentare, “John Lee è stato determinante nell’introduzione e applicazione della Legge sulla sicurezza nazionale e ha perseguitato attivamente l’opposizione democratica e i media indipendenti di Hong Kong”. Insieme a una serie di eurodeputati tra cui Miriam Lexmann (PPE), parte del gruppo (non ufficiale) di sorveglianza su Hong Kong, ha incalzato: “L’elezione di Lee è in realtà una presa in giro per i processi democratici, perché le autorità del partito comunista cinese di Pechino hanno predeterminato il risultato”. Nel 2020 “gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni per ‘aver minato l’autonomia di Hong Kong’ e ‘limitato la libertà d’espressione e riunione dei suoi cittadini’. Azioni simili da parte dell’UE e degli Stati membri contro John Lee e altri responsabili della distruzione delle libertà fondamentali di Hong Kong e dello smantellamento dello stato di diritto sono attese da tempo”. Mentre l’Alleanza inter-parlamentare sulla Cina (IPAC), un gruppo internazionale di parlamentari delle diverse democrazie di cui sia Bütikofer che Lexmann sono membri, ha rilasciato un comunicato dove sostiene che “l’elezione farsa di Lee è un ulteriore insulto alla popolazione di Hong Kong” e che i piani del capo dell’esecutivo di “portare avanti la normativa sulla sicurezza nazionale sono fortemente preoccupanti”.
Non ha tardato la risposta di Pechino. L’Ufficio di rappresentanza cinese in Europa ha ribattuto alle reazioni delle istituzioni dell’UE sostenendo che l’elezione di Lee abbia ricevuto “un giudizio positivo e le vive congratulazioni” da parte di tutte le sfere della regione speciale e che queste accuse “diffamino e screditino apertamente” la tornata elettorale, “interferendo con gli affari interni della Cina e di Hong Kong”. Secondo il rappresentante cinese, il principio ‘un Paese, due sistemi’ sarebbe inoltre “entrato in una nuova fase”.
Subito prima delle elezioni a Hong Kong, tre membri della Lega dei democratici socialisti si sono riuniti davanti ai seggi con una richiesta: “Una persona, un voto”, cioè il suffragio universale. Nel 2014, il Movimento degli ombrelli occupò per 79 giorni consecutivi il centro della città con la stessa richiesta. John Lee entrerà in carica il primo luglio 2022, due anni dopo l’introduzione della Legge sulla sicurezza nazionale (1 luglio 2020) e 25 anni dopo il trasferimento di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina (1 luglio 1997).