Roma – Le sfide si affrontano imboccando la strada del “federalismo pragmatico, accompagnato da quello ideale, incardinato sui valori fondanti dell’Europa”. Mario Draghi apre la plenaria dell’Europarlamento di Strasburgo con un intervento molto politico e che assomiglia molto a una traccia programmatica. Tracia che sembra guardare oltre i prossimi mesi, e che deve riguardare quel “tutti insieme” perché “la crisi ucraina è la più grave della storia dell’Ue”. Un approccio che forse a qualcuno, tra i banchi dell’emiciclo, fa immaginare un ritorno dell’ex banchiere centrale nelle istituzioni europee con i panni da politico. Cominciare la corsa da ospite del Parlamento forse non è casuale.
È la guerra sferrata dalla Russia che pone l’Europa davanti alla sfida più impegnativa, la pace perduta su cui stata fondata e per cui bisogna lavorare per aiutare l’Ucraina, con una tregua che “darebbe anche nuovo slancio ai negoziati, che finora non hanno raggiunto i risultati sperati”. Senza fermarsi nel “sostenere il suo governo e il suo popolo” come il presidente Zelensky continua a chiedere di fare”.
E così, Draghi indica ancora l’embargo delle fonti energetiche russe non solo come disponibilità dell’Italia come è stato fatto finora “sostenendo con convinzione” le sanzioni. Un tema su cui nella replica è stato ancora più chiaro, spiegando “che bisogna fare qualcosa subito per diventare indipendenti dal gas”. Un sollecito forte per ribadire la richiesta di un tetto al prezzo del metano, la necessità di spezzare il legame con il mercato elettrico, il dito puntato su “chi ha fatto profitti incredibili”, le imprese che importano e distribuiscono il metano, l’attacco alla “Norvegia che ha guadagnato 150 miliardi di dollari, un Paese che ha cinque milioni di abitanti”.
Temi su cui la platea resta freddina: condivisione ma non troppo. Tuttavia il premier italiano insiste sul quel “federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso – dall’economia, all’energia, alla sicurezza”. Un approccio più ambizioso e “se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si affronti con coraggio e con fiducia”.
Disegnare la nuova Europa “più forte coesa capace di prendere il futuro nelle proprie mani”, e chissà se e causale anche la citazione di Angela Merkel, ma Draghi non tralascia nulla per dare scossoni pure sul delicato tema della governance, la necessità di abbandonare l’unanimità “cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati”, per la maggioranza qualificata: “Un’Europa capace di decidere in modo tempestivo, è un’Europa più credibile di fronte ai suoi cittadini e di fronte al mondo”. Passa da qui il grande dibattito sull’autonomia strategica, l’indipendenza energetica, per le produzioni cruciali dei microprocessori e ovviamente la prima pietra della difesa comune che “deve accompagnarsi a una politica estera unitaria”. Poi, la spesa per la sicurezza, argomento troppo spesso tabù che affronta senza timori: “tre volte quella della Russia ma con 146 sistemi diversi di difesa”, per la quale è imprescindibile una maggiore efficienza. Per questo dice che “è opportuno convocare una conferenza per razionalizzare e ottimizzare gli investimenti”.
Che l’intervento di Draghi abbia il vestito programmatico si capisce anche dagli sguardi lunghi verso il sud dell’Europa, e per una sensibilità e disponibilità diversa, con l’accelerazione nell’allargamento ai Balcani e naturalmente ad accogliere nella famiglia, l’Ucraina. Integrazione che “non è una minaccia per la tenuta del progetto europeo ma parte della sua realizzazione”. “Non possiamo guardare al Mediterraneo soltanto come un’area di confine, su cui ergere barriere” dove “si affacciano molti Paesi giovani, pronti a infondere il proprio entusiasmo nel rapporto con l’Europa”. Mediterraneo polo di pace e di opportunità, asse strategico in prospettiva di indipendenza energetica sostenibile fondata sulle rinnovabili.
Nella cornice disegnata da Mario Draghi c’è il futuro, senza tralasciare il presente e le scelte da adottare per affrontare la crisi che prima la pandemia e poi la guerra, sta mettendo a dura prova l’economia dell’Ue. Interventi d’emergenza sono necessari per imprese e famiglie, “L’Italia ha già speso 30 miliardi” per contrastare caro energia e inflazione con misure per sostenere le fasce più deboli, i cittadini più fragili. Interventi che pesano sui bilanci nazionali e Draghi propone un meccanismo di prestiti “come SURE che consentirebbe di evitare l’utilizzo di sovvenzioni a fondo perduto per pagare misure nazionali di spesa corrente”. Strumento che “in una fase di rialzo dei tassi d’interesse, fornirebbe agli Stati membri con le finanze pubbliche più fragili un’alternativa meno cara rispetto all’indebitamento sul mercato”.
Dopo la pandemia e la giusta reazione con il Next generation Eu, il premier spinge per adottare un modello analogo anche per gli investimenti di lungo periodo “come la difesa, l’energia, la sicurezza alimentare e industriale”. Tenendo sempre come riferimento le verifiche puntuali, il raggiungimento degli obiettivi per “un meccanismo virtuoso di controllo della qualità della spesa”. Draghi ci tiene a ricordare che “l’Italia ha presente questa responsabilità” perché spendere bene le risorse che ci vengono assegnate è fondamentale per la nostra credibilità davanti ai cittadini e ai partner europei”.
Sfide da affrontare e disegnare insieme, “questo significa federalismo pragmatico” spiega nuovamente nella replica, “per arrivare a riposte unite e avere successo, pur essendo profondamente diversi”. Non manca un ulteriore appello ai valori ideali che i padri dell’Europa ci hanno mostrato: “L’integrazione è l’alleato migliore che abbiamo per affrontare le sfide che la storia ci pone davanti. Il buon governo non è limitarsi a rispondere alle crisi del momento. È muoversi subito per anticipare quelle che verranno”.