Bruxelles – Potrebbe essere la fine di un’era trentennale per il Montenegro. Dopo le elezioni parlamentari di domenica 30 agosto 2020, il partito filo-europeista del presidente della Repubblica Milo Đukanović (Partito democratico dei socialisti) ha ottenuto il 35,06% dei voti, ma per la prima volta dal 1990 potrebbe non bastare per ottenere la maggioranza in Parlamento. Su 81 seggi potrebbe averne solo 30, e la ricerca di alleati che portino in dote i restanti 11 sarà più complessa che mai nella storia dei socialisti montenegrini.
Celebra invece la vittoria l’opposizione: “Il Muro di Berlino è caduto anche in Montenegro. La libertà è arrivata, dopo 30 anni di potere assoluto doveva accadere”, ha commentato il leader di ‘Per il futuro del Montenegro’, Zdravko Krivokapić. Ma anche per gli auto-dichiaratisi vincitori potrebbe rivelarsi più complicato del previsto formare un governo stabile. Anche la possibilità che il Montenegro si allontani dalla sua recente vocazione europeista non sembra ancora essere un’opzione credibile.
Vincitori senza certezze
A sfidare il Partito democratico dei socialisti – ininterrottamente al potere dal 1990 – si sono formati tre blocchi di opposizione: la coalizione filo-serba ‘Per il futuro del Montenegro’ (32,55%), la lista moderata ‘La pace è la nostra nazione’ (12,53%) e la piattaforma civica di ‘Nero su bianco’ (5,53%). Se dall’inizio della campagna elettorale i tre blocchi si sono promessi di trovare un’alleanza in caso di sconfitta dei socialisti di Đukanović, ora che la vittoria è quasi certa si rivelano tutte le divergenze politiche e strategiche.
L’opposizione più forte, ‘Per il futuro del Montenegro’, è dominata dal partito populista di destra Fronte Democratico. Guidato dal professore universitario Zdravko Krivokapić, Fronte Democratico si oppone con forza alla presenza del Montenegro nella Nato (dal 2017) ed è a favore di una più stretta alleanza con la Russia.
Al contrario, ‘La pace è la nostra nazione’ è composto dai Democratici del Montenegro, Demos e una serie di piccoli partiti e organizzazioni centriste (sia di centro-destra che di centro-sinistra). Moderati e filo-europeisti, difficilmente cambieranno traiettoria politica per assecondare un partito apertamente anti-europeista e filo-russo.
L’opposizione liberale ‘Nero su bianco’ è invece guidata dai verdi di Azione Riforma Unita (Ura), oltre che da attivisti civici e giornalisti indipendenti. La lista si è schierata a favore del processo di integrazione del Montenegro nell’Unione Europea e si oppone con forza alle divisioni etniche e identitarie nel Paese.
Viste le posizioni politiche, è chiaro che l’unico cemento che può reggere questo tipo di alleanza è l’opposizione al regime di Đukanović, considerato autocrate e corrotto dalle opposizioni e sotto osservazione da parte delle agenzie internazionali (nel 2020 un report dell’organizzazione non-governativa Freedom House ha declassato il Montenegro da democrazia a regime ibrido). L’unica soluzione praticabile potrebbe essere un “governo di esperti e tecnici”, come affermato dai tre blocchi durante la giornata elettorale, qualsiasi cosa – politicamente – voglia dire.
La prima sconfitta del presidente
Sette volte primo ministro e due volte presidente della Repubblica, Đukanović ha guidato la transizione del Montenegro prima durante il crollo dell’ex-Jugoslavia, poi nella separazione dalla Serbia e infine nella sua candidatura a Stato membro dell’Unione Europea: il 15 ottobre 2007 ha firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione e il 26 giugno 2012 il Consiglio dell’Unione europea ha approvato l’apertura dei negoziati di adesione.
La campagna elettorale del presidente Đukanović è stata tutta impostata sulla stabilizzazione del Montenegro in ottica europeista e sulla questione religiosa. Dal dicembre 2019 lo Stato può confiscare terreni, monasteri e chiese che non siano in grado di provare i loro diritti di proprietà: la cosiddetta “legge sulla libertà religiosa” mira a scalfire l’influenza politica della Chiesa ortodossa serba nel Paese. Proprio Đukanović ha accusato la Serbia e la Russia di “sfruttare la Chiesa e l’opposizione pro-serba per minare l’indipendenza del Montenegro e il suo orientamento occidentale”.
Nelle prime dichiarazioni che hanno seguito il voto, Đukanović ha poi affermato che con l’aiuto dei tradizionali alleati (in particolare le minoranze etniche albanesi e bosniache) il Partito democratico dei socialisti si potrà assicurare 40 seggi in Parlamento. Ne mancherebbe però ancora uno. Per questo motivo il presidente ha ammesso che il partito è senza maggioranza e che qualsiasi risultato definitivo sarà rispettato. In attesa delle elezioni presidenziali del 2023, questa tornata elettorale potrebbe essere la prima scheggia che scalfisce il potere quasi assoluto del presidente Đukanović.
L’unica speranza per il mantenimento del suo potere risiede in un 1,5% di schede non ancora spogliate. Se all’apparenza può sembrare ininfluente, in realtà c’è la possibilità che si riveli determinante per gli equilibri parlamentari: basterebbe lo spostamento di uno o due seggi per rilanciare perfino le speranze di governo del Partito democratico dei socialisti.
La commissione elettorale non ha ancora diffuso i risultati definitivi, che arriveranno nei prossimi giorni. Per il conferimento dell’incarico di formazione del governo è necessario attendere il quadro ufficiale dell’esito elettorale, prima di aprire le danze sulla ricerca di una qualsiasi delicata maggioranza parlamentare. Comunque difficilmente schierata su posizioni contrarie al processo di integrazione del Montenegro nell’Unione Europea.