Bruxelles – In Italia c’è ancora molto da fare sul fronte della giustizia. I dati della Commissione europea lo certificano una volta di più. Gli indici che permettono il giudizio e la la classificazione dei sistema giurisdizionale degli Stati membri conferma i mali cronici di cui soffre il Paese, che resta ai primi posti per lungaggini in ogni grado di giudizio.
In ambito civile e penale è un vero e proprio inferno. Oltre un anno per una sentenza di primo grado (500 giorni), più di due anni e mezzo per una in secondo grado (1.000 giorni), più di tre anni e mezzo per sentenze in terzo grado (oltre 1.400 giorni). I tempi di attesa sono questi, il che fa dell’Italia il secondo Paese più lento dell’Ue per pronunciamenti di prima e seconda istanza (dietro la Grecia), e primo per quelli di ultima istanza.
Dal 2014 al 2016 le cose sono cambiate, ma non in modo eclatante. Ci vuole un po’ meno tempo per avere decisioni di primo grado, ma nell’ordine di una decina di giorni. “Ci sono alcuni segnali di miglioramenti, sopratutto nell’efficienza della giustizia, ma certo i miglioramenti sono lenti”, sottolinea la commissaria per la Giustizia, Vera Jourova.
Quello della Commissione europea è un esercizio che si ripete ogni anno. La classifica della qualità dei sistemi di giustizia degli Stati membri è un appuntamento costante con cui “incoraggiamo e diamo esempi di buone riforme della giustizia”, ripete la commissaria. Di indicazioni, per l’Italia, ne arrivano diverse, e si aggiungono alle raccomandazioni specifiche per Paese già pubblicate la scorsa settimana in cui si chiede di ridurre i tempi dei processi. Un altro esempio di questo problema è rappresentato dai casi relativi al riciclaggio di denaro: per avere una decisione di prima istanza occorre attendere quasi due anni (poco più di 700 giorni). Solo la Lettonia ci mette di più.
“Il problema dei tempi della giustizia non riguarda solo l’Italia, dove comunque restano tra i più elevati”, continua Jourova, convinta che nella Penisola “c’è molto spazio per migliorare, in diversi ambiti”. Uno di questi è la fiducia, la quarta più bassa tra i cittadini e la terza più bassa d’Europa tra le imprese. Nel 2018 solo il 23% dei rappresentanti delle aziende è dell’idea che gli organismi giudicanti abbiano piena indipendenza (-8% rispetto al 2017), mentre solo tre italiani su dieci (32%) non vedono ingerente esterne (dato invariato rispetto al 2017). Non un buon segno, perché, ricorda Jourova, “non c’è Stato di diritto senza elevate norme in materia di indipendenza giudiziaria”.