Il ministro italiano per l’integrazione incontra al Parlamento europeo l’esponente del Carroccio
Lui attacca: “La sua nazione espelle i clandestini”, ma lei piccata: “La mia nazione è l’Italia”
A osservare le loro mosse fino ad un certo momento della giornata, sembrava davvero che le intenzioni fossero le migliori. Il ministro italiano per l’integrazione Cecile Kyenge arriva al Parlamento europeo, partecipa a un incontro sul futuro delle politiche di integrazione con il presidente del gruppo S&D, Hannes Swoboda e resta esclusivamente sul tema: allo scontro con l’eurodeputato leghista Mario Borghezio, nemmeno un accenno. “Sono problemi che non si pongono” si limita a rispondere quando glielo si chiede espressamente: “Sono aperta a qualsiasi confronto, purché nella sede giusta e nel rispetto della persona”.
E l’occasione per il confronto si presenta poco dopo. Il ministro è invitato a intervenire in Commissione Libertà civili, di cui fa parte anche l’esponente del Carroccio, espulso dal gruppo degli euroscettici (Efd), proprio dopo avere data a Kyenge della “faccia da casalinga”, e anche peggio. Giusto pochi minuti prima dell’inizio della riunione Borghezio si avvicina e le sussurra qualcosa all’orecchio. Un rapido scambio di battute e i due prendono posto tra i banchi. Il clima sembra disteso e Borghezio addirittura stupisce quando, durante un intervento che tutti immaginavano colorito come d’abitudine, riconosce al ministro “chiarezza, lealtà e cortesia che ha dimostrato anche nei confronti di chi l’ha attaccata”.
L’inizio era promettente. Peccato che poco dopo, tra le tre domande che il deputato rivolge al Kyenge in tema integrazione le dica anche: “Con questi clandestini, che facciamo, li espelliamo come fa giustamente il suo Paese?”. Basta una frase è la miccia è accesa. “Sono qui come ministro della Repubblica italiana, la domanda sulla repubblica democratica del Congo bisogna porla al ministro dell’integrazione del Congo”, risponde piccata Kyenge. Figurarsi se Borghezio le lascia l’ultima parola: “Lei ha doppia nazionalità” alza la voce interrompendola. “Io ho solo la nazionalità italiana”, ribatte lei. “Un Paese che proibisce la poligamia che lei esalta”, la rimbecca Borghezio. Kyenge evita la polemica e finge di non sentire e il siparietto finisce, per riprendere poi a dibattito concluso, quando si cerca di capire che si sono detti prima del dibattito.
Le versioni sono discordanti. Se lo si chiede a Borghezio, lui subito rimette i nuovi panni da corretto uomo delle istituzioni e assicura: “L’ho salutata e le ho dato il benvenuto perché ci sono stati precedenti imbarazzanti e le mie parole si erano prestate ad essere male interpretate: non volevo che pensasse che non ho il rispetto che si deve a una persona che rappresenta il nostro Paese”. Insomma tutto a posto? Kyenge non sembra dello stesso avviso: “Sono sopra le parti e parlo con chiunque” risponde, ma se si è scusato “io non l’ho sentito”.
Polemiche a parte Kyenge porta a Bruxelles la sua idea di integrazione, favorevole a uno “ius soli temperato”, tema su cui trova l’appoggio anche se “a titolo personale” del socialista Swoboda. Per arrivare a una vera integrazione, suggerisce il ministro, serve un lavoro complessivo, che passi da “politiche abitative che evitino di ghettizzare gli immigrati”, da un “grande lavoro su cultura e scuola perché le politiche di integrazione devono cominciare sui banchi” ma anche da “sanità, sociale, sport”. Serve però anche l’aiuto di Bruxelles: “Italia ed Europa devono lavorare insieme: ciascuno deve fare un passo avanti. Ma anche l’Italia deve rivedere alcuni punti prima di potere chiedere aiuto”.
A ispirare la sua azione, assicura il ministro, anche il discorso di Papa Francesco durante il suo viaggio a Lampedusa. “Mi metto di fronte alle parole del Papa per tradurle in progetto politico” ha promesso, replicando all’europarlamentare del Pdl, Licia Ronzulli che, durante il dibattito aveva parlato di “strumentalizzazioni a fini ideologici” della parole pronunciate” dal Santo Padre.
“Un amministratore, un politico, qualcuno che siede nelle istituzioni – ha aggiunto – dovrebbe essere in grado di ascoltare quello che viene dalla società civile, le parole che vengono dalle diverse parti”. Per questo, secondo il ministro, “non si può parlare di strumentalizzazioni, bisogna parlare di modello di fare politica”.
Letizia Pascale