Bruxelles – Niente test psicologico obbligatorio per i richiedenti asilo che dicono di essere perseguitati nel loro Paese di origine a causa del loro orientamento sessuale. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue, specificando che accertare l’omosessualità dell’immigrato con un test, corrisponderebbe ad “un’ingerenza sproporzionata nella vita privata del richiedente”.
La sentenza riguarda il caso di un nigeriano che nell’aprile del 2015 aveva presentato alle autorità ungheresi richiesta d’asilo in quanto perseguitato nel suo Paese perché omosessuale. Il tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged in Ungheria dispose una perizia psicologica che non confermò l’orientamento sessuale dichiarato dall’immigrato. Il richiedente asilo, sostenendo che il test psicologico a cui era stato fatto sottoporre avesse violato i suoi diritti fondamentali, ha presentato ricorso contro la decisione del tribunale ungherese. Le autorità ungheresi, si sono rivolti alla Corte di giustizia europea per sapere se sia consentito sottoporre ad un test psicologico un richiedente asilo che dice di essere perseguitato in patria perché non eterosessuale.
Il tribunale di Lussemburgo ha stabilito che un test psicologico può essere disposto dalle autorità che devono valutare la richiesta d’asilo, ma la perizia deve avvenire nel rispetto assoluto della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea.
Non si può tuttavia escludere che, durante la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo relative al suo orientamento sessuale, un test possa rivelarsi utile per l’esame dei fatti e delle circostanze presentati nella domanda e si possa utilizzare tale tipo di perizia senza compromettere i diritti fondamentali del richiedente. La Corte di giustizia sottolinea però che, le autorità e i giudici nazionali non possono basare la propria decisione unicamente sulle conclusioni di una relazione di un perito.