Bruxelles – Nel frattempo saranno già medici affermati e rinomati, ma alla fine i sacrifici potranno essere ripagati, nel vero senso del termine. Dopo 35 anni le specializzazioni saranno retribuite come si conviene, come cioè stabilisce l’Europa dal lontano 1982. Meglio tardi che mai. Merito della Corte di giustia dell’Ue, che chiarisce i termini di applicazione di norme comunitarie che l’Italia ha faticato a garantire sul territorio nazionale. Nove anni di ritardo per recepire la direttiva in materia di remunerazione di medici specializzandi, dieci anni per avviare una causa, altrettanti, anzi di più, per mettere la parole fine a una situazione che ha del paradossale. Corsi di specializzazione medica tenuti tra il 1982 e il 1990 da pagare come volevano le norme Ue, ma con assegni da staccare adesso.
L’Europa è andata avanti, l’Italia è rimasta indietro. Quando l’Ue aveva solo dieci Stati membri venne stabilito che i medici specializzandi dovessero essere “adeguatamente remunerati”. C’era tempo fino al 31 dicembre 1982 per mettersi in regola, l’Italia l’ha fatto solo nel 1991. Ma l’obbligo di giusta paga “sorge immediatamente con la direttiva, a prescindere dal suo recepimento nel diritto nazionale”, precisa la Corte di giustizia dell’Ue. Saranno contenti i medici che tra il 2001 e il 2003 hanno chiesto al Tribunale di Palermo la condanna dell’università della città per remunerazione inappropriata per i loro corsi specialistici seguiti nel fino al 1990, quando l’Italia non aveva ancora recepito le normative comunitarie. Trentacinque anni dopo si deve sanare la situazione. Va messo mano al portafogli e risarcire. Lo chiede l’Europa, nel rispetto di quelle sue regole che anche l’Italia ha sottoscritto e (non) applicato a modo proprio.