La BBC Radio 4 ha recentemente lanciato un nuovo ciclo di trasmissioni dal titolo “The invention of Italy” in cui studiosi inglesi e italiani esaminano il processo della costruzione nazionale italiana dal 1400 ai nostri giorni. La cosa che colpisce di più ad ascoltare la prima puntata andata in onda il 14 ottobre sono proprio gli studiosi coinvolti nella trasmissione. Nomi di storici mai sentiti nei circuiti radiotelevisivi italiani e nei vari festival della cultura dominante nostrana.
Ad esempio, il professor Filippo De Vivo, che insegna alla Birkbeck University di Londra, ed è improbabile che lo vedremo mai a “Porta a porta”. Tutti perfetti locutori di inglese e con un’esperienza internazionale di insegnamento e di studio. Non c’è nulla nella loro analisi del sempre incombente patriottismo stantio che inquina il ragionamento di chiunque in Italia si occupi di queste tematiche. Forse un segno che gli italiani che guardano l’Italia da fuori, la vedono con occhi diversi e si sentono meno vincolati dall’obbligo culturale di considerare necessariamente un bene la nostra unificazione politica. La conclusione provvisoria della prima puntata del ciclo è che l‘Italia non l’hanno fatta, né voluta gli italiani ma le grandi potenze dell’epoca con le loro guerre di influenza e che la sua forzata unificazione ha scatenato una guerra civile di decenni.
L’avevamo mai vista in questi termini la nostra storia e la questione meridionale? Forse vale la pena di pensarci. “The invention of Italy” è la terza trasmissione di una serie che comprende anche “The invention of Germany” e “The invention of Spain”, tutte ugualmente spregiudicate nel mettere in evidenza l’artificio di ogni patria. Un ciclo con cui forse la BBC vuole sottolineare quanto tutte le nostre costruzioni nazionali siano appunto costruzioni. Ognuna di esse solo una fra le tante possibili, scaturite da giochi di forza e equilibri di potere talvolta molto lontani dai popoli interessati. È significativo che una simile riflessione parta da un paese che, seppur diviso in tre, gode nel mondo di un’immagine di grande coesione e resta molto scettico all’idea di una patria europea. Forse un segno di maturità di una società che con l’imminente referendum per l’indipendenza della Scozia, intravvede i limiti della propria costruzione nazionale e senza pregiudizi esplora la via di nuove lealtà. Noi invece ci struggiamo in patriottici rimpianti, ci sbracciamo a proclamare unito un paese sempre più diverso, sempre più diviso e continuiamo a trascurare la questione federalista lasciando che Lega ci sguazzi e ci costruisca sopra il suo oscuro potere.
Diego Marani