Roma – Lo spreco alimentare potrebbe essere ben maggiore rispetto a quello stimato dalla Fao, che parla di un terzo della produzione di cibo mondiale. Una ricerca pubblicata ieri da Ispra cita studi che stimano cifre fino all’85%, ampliando la definizione di spreco.
Per questo, secondo Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, “nella sfida di produrre il 70% di più” di alimenti “per sfamare i 9 miliardi di persone che la Fao stima ci saranno nel 2050 – usando per altro meno risorse – la lotta allo spreco è la priorità assoluta”. Per passare all’azione, l’organizzazione che fa capo a Confindustria si è fatta promotrice del progetto “Life – Food.Waste.StandUp”, avviato a inizio anno per affrontare il problema con un approccio sistemico, che coinvolga l’industria, la distribuzione e i consumatori. Appuntamenti e seminari che il rappresentante degli industriali giudica positivamente, perché hanno diffuso anche tra le piccole e medie imprese le buone pratiche e la consapevolezza che sprecare meno convenga. Risultati migliori si potrebbero però ottenere eliminando lo “strabismo” normativo europeo che l’imprenditore denuncia in questa intervista.
Presidente Scordamaglia, la vostra idea è creare una sorta di catena del recupero. Bisogna coinvolgere tutta la filiera alimentare?
Credo assolutamente di sì. Non serve a niente che singole basi si impegnino, se poi non c’è tutta la filiera dietro a fare un’unica policy. L’industria ha un ruolo fondamentale – nonostante pesi poco sulle eccedenze dell’intera filiera, il 3% – nel fare da raccordo tra la produzione agricola, la distribuzione e soprattutto il consumo.
Produzione, distribuzione e comportamenti alimentari sono in effetti i principali responsabili degli sprechi. In che modo si può intervenire nelle varie fasi?
Gli elementi strategici sono due: innovazione tecnologica costante, e poi educazione e formazione. L’innovazione tecnologica comincia dall’agricoltura: georeferenziazione, agricoltura satellitare, agricoltura di precisione consentono di capire per ogni singolo metro quadro di terra ciò che serve per esprimerne tutta la potenzialità senza sprecare fertilizzanti, fitofarmaci, acqua. Abbiamo esperienze dirette qui in Italia che vanno oltre il 30% di risparmio. Poi c’è l’industria, che ha un ruolo fondamentale perché riesce a condizionare l’approvvigionamento agricolo, quindi a evitare che i propri fornitori generino o adottino comportamenti di spreco. Ha poi un ruolo verso il consumatore finale, perché può produrre imballaggi sempre più tecnologici, che interagendo col prodotto ne aumentino la ‘shell life’ (durata di conservazione, ndr) riducendo lo spreco nella fase del consumo.
Come interviene l’altro elemento che citava, l’educazione e formazione?
L’educazione si fa con una formazione come quella del progetto Life, ma anche nella vita quotidiana. Ad esempio, mettendo in etichetta indicazioni di conservazione e di preparazione precise, con informazioni sugli errori da non fare. Anche così si può allungare la vita del prodotto. Allo stesso modo, con dei ri-porzionamenti, magari monoporzione per alcuni prodotti, si consente un uso più flessibile e quindi una riduzione di sprechi per il consumatore.
Il progetto Life è partito a inizio anno, che bilancio può trarre?
È un bilancio positivo. Attraverso la diffusione di buone pratiche, videoclip informativi, la formazione di addetti l’industria alimentare ha assunto maggiore consapevolezza. Le aziende più grosse erano già ‘sul pezzo’, ma grazie a questa iniziativa si è riusciti a condividere anche con quelle più piccole le pratiche migliori e gli strumenti di formazione che prima erano sfruttati solo dai più grandi. E poi si è diffusa la coscienza che essere sostenibile non è solo una questione di coscienza etica. È una scelta che migliora anche il conto economico. Questo è un elemento che fa del progetto Life un progetto efficace.
Come ha influito sull’aspetto della convenienza la legge approvata in Italia contro lo spreco?
Ha sburocratizzato e semplificato le procedure per chi vuole donare invece che sprecare. Prima era talmente complicato usare alimenti vicini al termine minimo di conservazione oppure organizzare sistemi di raccolta, che la reazione normale era: se devo passare per questi processi che fanno perdere tempo e soldi, preferisco sprecare. Con la legge si è semplificato e si incentivato il comportamento virtuoso, creando i presupposti perché le amministrazioni locali la utilizzino per degli sgravi fiscali importanti che arriveranno sempre più nelle fasi successive.
Quando si pensa alla lotta agli sprechi alimentari, la prima idea va ai prodotti vicini alla scadenza destinati a iniziative di contrasto alla povertà. Tuttavia, in Italia stanno assumendo dimensioni importanti il riciclaggio e l’uso energetico degli eccessi.
Sono due fronti complementari. L’utilizzo dei prodotti vicini alla scadenza e le raccolte a scopo benefico sono importanti, ma non si può pensare di ridurre gli sprechi senza intervenire sui sottoprodotti o i prodotti secondari della lavorazione. In un ciclo industriale sano, l’obbiettivo deve essere di avere rifiuti zero, non ci deve essere uno scarto. Una cosa che non è idonea al consumo umano lo può essere per il consumo animale, una cosa non idonea al cibo per animali può essere idonea come fertilizzante, una cosa che non è idonea neanche a questo può diventare biomassa per produrre energia. Oggi non deve esistere più il concetto di rifiuto ma di prodotto di diversa destinazione che deve poter essere riutilizzato.
Va in questo senso il pacchetto legislativo dell’Ue sull’economia circolare. L’Ue è anche finanziatrice del progetto Life. Le istituzioni europee fanno la loro parte o c’è qualcos’altro che potrebbero fare?
Credo possano fare di più, perché a volte in Europa c’è un certo strabismo. C’è una piena consapevolezza di quanto gli sprechi vadano evitati, c’è una serie di norme che ne favoriscono la riduzione, poi però, sui singoli settori tecnici c’è ancora troppa regolamentazione burocratica che rende complicato l’utilizzo di un prodotto per una finalità diversa da quella per cui è nato. Bisogna fare uno sforzo di calare i principi della normativa anti spreco nei singoli settori che ancora non sono stati impattati da un alleggerimento normativo in questo senso.