Roma – “Esiste un asse franco-tedesco, è vero, ma allo stesso tempo vi dico che non si fa la Difesa europea senza l’Italia”. Roberta Pinotti, ministra titolare del dossier, rassicura così i deputati che l’ascoltano in audizione sul Fondo europeo per la difesa e sul programma per lo sviluppo industriale del settore. “Abbiamo eccellenze con cui giocarci la partita”, garantisce ancora l’esponente del governo riferendosi alle imprese italiane in grado di partecipare ai progetti comuni. Tuttavia, avverte “siamo più deboli sul tema delle risorse”.
Quando verranno avviati i primi programmi, spiega Pinotti, “se la Francia mette 100, la Germania mette 100 e l’Italia mette 10,5, non dipende dall’eccellenza dell’industria” o da altro, la capacità di contare nella partita. Viste le attuali difficoltà economiche, la ministra non chiede di aumentare le risorse nell’immediato, ma “il rischio di essere tagliati fuori è un problema che ci dovremo porre nei prossimi anni”, ammonisce, e per evitarlo “andranno incrementate le risorse”.
Insieme con la viceministra per lo sviluppo economico, Teresa Bellanova, Pinotti illustra ai parlamentari i punti su cui l’esecutivo sta “ponendo delle attenzioni particolari” nella discussione con i partner europei. Perché la normativa in discussione, “che pure parte da idee comprensibili, non diventi invece un impedimento pratico” allo sviluppo di un’industria militare comune, indica la titolare della Difesa.
In primo luogo c’è “la questione dell’identità europea delle imprese” che possono partecipare ai programmi comuni. La proposta di riservare questa possibilità solo ad aziende possedute o controllate con più del 50% da soggetti europei “è stata criticata perché impraticabile e inadeguata”, sottolinea Bellanova. L’esecutivo teme che in questo modo vengano escluse imprese operanti nel nostro Paese ma la cui proprietà e il controllo ricadono fuori dal perimetro Ue. Così preme per “salvaguardare lo sviluppo di realtà industriali importanti per l’Italia, e analogamente per gli altri Paesi europei, pur non essendo di proprietà o sotto il controllo di soggetti europei, ma essendo comunque ascrivibili al controllo di Paesi Nato”. Per la vice di Carlo Calenda, “si potrebbe ipotizzare una sorta di riconoscimento da parte dello Stato membro” interessato “per le società che si trovano in questa posizione di confine”. In questo modo verrebbero ammesse, ad esempio, aziende statunitensi e, in ottica Brexit, anche quelle del Regno unito.
L’altra modifica che l’Italia vorrebbe apportare alle proposte in discussione riguarda il numero minimo di Stati membri coinvolti nei progetti. “La imitazione a due soli Paesi non consente di superare l’esperienza dei programmi bilaterali”, che per la viceministra “ha caratterizzato la poca collaborazione europea negli ultimi decenni”. Su questo punto c’è il malcelato timore che Francia e Germania da sole possano spadroneggiare nei progetti che verranno avviati. Con l’altrettanto malcelata convinzione che l’Italia sia il primo partner cui Parigi e Berlino si rivolgerebbero per allargare il cerchio, Bellanova sostiene che “dovrebbe essere fissato a 3 il numero minimo di Paesi partecipanti”.
Poi c’è l’aspetto della governance del programma. Su questo, gli interventi delle due esponenti del governo sembrano quasi scritti dalla stessa mano, che chiede “una struttura adeguata e una direzione politica, istituzionale e operativa ben definita”. La soluzione, suggerisce Pinotti, “potrebbe essere quella di concentrare tutte le attività in un’unica struttura, accentrando le competenze attualmente divise in più uffici”.
Nelle idee del governo, il rafforzamento dell’industria militare e della sicurezza europea passa anche per la valorizzazione delle piccole e medie imprese. Nasce da qui la proposta “di favorire maggiori opportunità per loro incentivando le grandi imprese ad aprire la loro catena di subfornitura, attraverso una competizione europea aperta e trasparente, nonché riservando ai progetti di piccola portata una quota dei fondi”, che Pinotti quantifica nel 10%.
Fondo per la difesa, programma per l’industria del settore e la cooperazione strutturata permanente, secondo la ministra devono essere affiancate da azioni in seno al Consiglio, dove bisogna “attribuire maggiori funzioni e formalità alle riunioni dei ministri della Difesa”, e al Parlamento europeo, dove “sarebbe senz’altro utile poter contare su una commissione propriamente dedicata alla Difesa”, al posto della sub-commissione che c’è oggi.