Colonna sonora: Sandy Marton – People from Ibiza
Soggiornare ad Ibiza senza visitare Playa d’en Bossa è come andare a Roma e non passare almeno davanti al Colosseo. I commenti su Trip Advisor sono abbastanza esplicativi: “un casino mostruoso, sembra di stare in discoteca sotto al sole, ci sono ragazzi che vomitano sotto le palme, è uno schifo” e anche le risposte tipo “quello è il nostro posto, lasciateci esprimere e andate nelle spiagge per vecchi!”. È chiaro che è una tappa obbligata.Le attese non vengono tradite: albergoni sulla spiaggia, musica a palla dalla mattina alla sera, un carnaio di giovani sudati, un trionfo di seni perizomi tatuaggi e pettorali rasati, un mare di lattine e bottiglie vuote, gente svenuta e – forse visto l’orario abbastanza mattutino – un solo ballerino. Un ragazzo in costumino fluo che balla una coreografia molto trendy, con veemenza, quasi rabbia, grondando sali minerali sotto al sole cocente, contornato dai cadaveri degli amici. Lo guardiamo altezzosi ridendo di questa scenetta ai limiti del ridicolo e passiamo oltre. Oltre nel senso che per raggiungere la civiltà canonica camminiamo circa 45 minuti, fino alla fine di Figueretas, dove cerchiamo una trattoria che abbia anche un televisore col derby Roma-Lazio (che di lì a qualche ora andremo a vincere con classe, ma questo è irrilevante ai fini del reportage).
Mario è di Bergamo e da 12 anni ha aperto un ottimo ristorante italospagnolo (spaghetti alle vongole, paella, cotoletta alla milanese, pulpo a la callega…) sul lungomare. In bassa stagione torna in Italia e quando chiedo come sia l’isola in inverno, mentre continua a portare cocktails alla figlia 21enne in visita, che fuma una sigaretta dopo l’altra, risponde “gli isolani in inverno spendono quello che hanno guadagnato d’estate, sono molto sportivi, si riuniscono in gruppi, si incontrano in famiglia, vanno in discoteca, fanno i barbecu (sic.) e solo dalle 13 alle 15 puoi vedere queste belle signore olandesi in topless… tesoro aspetta che ti faccio un altro Bloody Mary… dunque gli isolani d’inverno fanno molto sport, si riuniscono in famiglia, vanno in discoteca, fanno dei gruppi con i barbecu (sic.) e solo verso l’ora di pranzo si trovano delle belle olandesi in topless, fino a verso le 15…” La nostra esultanza per il rigore di Ljajić forse gli impedisce di ribadire il concetto per la terza volta.
Due a zero, caffè e amaro.
L’idea di uichènd a Ibiza non ha senso, si esce e si va a ballare 7 giorni su 7, e lo dico con invidia nei confronti di chi ce la fa. Nel nostro piccolo ci eravamo ripromessi di farci almeno due serate, ovviamente per scopi squisitamente culturali e antropologici.
Arrivando al porto la sera si ha l’impressione di stare nella classica cittadina turistica con i vicoletti pieni di ristoranti con dehors, i negozi di souvenirs aperti fino a tardi, le coppie abbronzate che mangiano il gelato. Ci aspettavamo una bolgia infernale e invece è anche facile trovare un tavolino libero e sorseggiare un Americano, per 10 euri. Tutto sta nel trovare la strada giusta: svoltando ad un angolo dal quale proviene una musica sempre più incalzante ci ritroviamo in una sorta di Gran Bazaar di localetti gonfi di gente che si prepara alla bisboccia notturna. Ad ogni passo sono in agguato i “buttadentro”, incarnati in ragazze, ragazzi o ibridi, pronti ad estenuarti in tutte le lingue del mondo per tentare di farti fermare, bere, comprare biglietti, ubriacare, insomma consumare, che sembra di stare al mercatino di via Sannio (o nei Souk di Marrakech, per essere più esotici). Tra l’altro gli ingressi sono nascosti da un’impenetrabile barriera di persone beventi e fumanti, appese su sgabelli e alti tavolini senza possibilità di movimento, per non parlare dei micidiali mix di musiche, tutte diverse tra loro, da un locale all’altro. Osserviamo con occhio sociologico e cerchiamo un posto più tranquillo.
Siamo in lista per l’unica festa del venerdi a ingresso gratuito, il Matinée, ma la cameriera della mojiteria ce la sconsiglia e proprio mentre ci sta spiegando che la musica è di bassa lega, passa il gruppo di PR composto da tre trans, due travestiti e un culturista nero in perizoma leopardato, a farci intuire l’orientamento della serata. Non che non sia mai stato ad una festa ghei (mangiare Barilla non mi ha contagiato) ma la musica è fondamentale. Il venerdi quindi passa tra un drink e l’altro, osservando l’eterogeneo viavai della strada con le minorenni sexy, gli adulti irriducibili, le comitive ubriache, le famigliole tranquille, le canottiere da uomo aperte ai lati a mostrare i capezzoli (unica nota negativa dell’isola, che meriterebbe forse anche un intervento a livello europeo), i vestiti fluorescenti, gli occhiali da sole di notte… Un’allegra passerella più interessante di tanti programmi televisivi.
L’ultimo mojito lo prendiamo nel bar di una coppia di fricchettoni vintage, il cui totale sale quindi a tre (vedi scorsa puntata), lei è una piacevole signora franco tedesca rugosa e scapigliata con un bellissimo sorriso, lui è John Lennon, né più né meno. Sono gentili e ci offrono anche un giro di chiupitos, mentre mi chiedo se ci sia un’epidemia di dissenteria a Ibiza visto l’andirivieni dal bagno degli altri avventori. Appena uno esce va al tavolo, passa di soppiatto quello che suppongo sia un astringente in bustina all’amico che a sua volta si reca al bagno e ripete l’operazione, finché il farmaco finisce, tutti si sono curati e possono andare a ballare tranquilli, anche se parecchio su di giri e tirando su col naso. Forse gira anche il raffreddore.
Sabato abbiamo deciso di andare all’Ants, una festa soft dal pomeriggio a mezzanotte, in un albergo. Memore dei roof party di Barcellona pensavo ad una festicciola con ottimi dj e tipo duecento persone in pista. Il cortile dell’hotel è sconfinato, non so in quante migliaia siamo a cercare un minimo di spazio vitale per ballare, a fare la fila per il bar e quella infinita per i bagni, dove la dissenteria continua a mietere vittime. La musica purtroppo è house commerciale antica ma per studiare la situazione decidiamo comunque di spostarci sottocassa, davanti al gigantesco palco con ballerine, spruzzi di coriandoli, pericolosissime fiammate e sbuffi di fumo artificiale. La fauna va dal 16enne a torso nudo e infradito alla 50enne scollata in latex, il clima è allegro e c’è pure una sorta di animazione che ci costringe ad un certo punto ad accucciarci tutti (ho paura ci siano cecchini appostati, non voglio rischiare) per poi saltare in piedi festosi e urlanti quando ricomincia la base e sarebbe quasi divertente se non fosse per il getto di fumo ghiacciato che mi investe in piena faccia facendomi perdere la percezione spaziotemporale per un buon minuto. Mezzanotte arriva presto e possiamo finalmente far riposare le stanche membra.
Tornando verso l’appartamento mi fermo a leggere la targa su un edificio perennemente pattugliato da una volante: Ministerio de Fomento. Nessuno di noi parla spagnolo ma iniziamo a fantasticare su questa istituzione che si occupa del livello di divertimento alle feste, controllando chi è troppo o poco fomentato, facendo multe a chi esagera o assistendo quelli che ballano poco (lo so, è una cazzata, ma in quel momento sembrava la cosa più divertente del mondo).
Per la domenica abbiamo la fortuna di essere in lista a metà prezzo per la discoteca storica di Ibiza, il Pacha, dove suonerà Solomun, uno dei pochi nomi in cartellone che conosco e apprezzo. Il club è molto bello, quasi elegante, con la consolle al centro, le cubiste in shorts e t-shirts (‘nu jeans e ‘na magliett’) le balconate ai lati e una terrazza fumatori con bar e tavolini. Non è grandissimo ma anche se è pieno di gente ci si può muovere liberamente, salvo l’intralcio degli sporadici personaggi fermi: se hai tutt’intorno persone che ballano, come puoi restartene lì impalato a disturbare passi e figure? Ecco un caso in cui servirebbe un agente del Ministerio de Fomento che li costringa a mostrare un po’ più di entusiasmo e partecipazione (va bene, la smetto).
La dissenteria è ancora in circolo e molti ragazzi sciolgono l’astringente nelle bottigliette d’acqua (8 euri!) per continuare a ballare senza dover andare in bagno, mentre quelli col raffreddore prendono delle piccole pastiglie colorate di anti influenzale, perché la salute va sempre messa al primo posto. La musica è ritmata e melodica al punto giusto, Solomun è coinvolgente e c’è un’empatica atmosfera di serenità nell’aria che alla fine ti ritrovi perso nei battiti, senza pensieri, circondato da gente che ti sorride complice e non ha alcun senso domandarti se siano felici o stupefatti, l’importante è stare bene. Il calore del sottocassa.
L’alba arriva in un soffio e il meritato applauso finale pone fine alla splendida serata. Non tutti sono riusciti a prendere il biglietto per l’after party e studiano strategie alternative. Fuori l’aria è fresca, il sole si sta affacciando sull’ultimo lunedi di vacanza ed è in questa cornice che appare il quarto ed ultimo original freak del viaggio: capelli bianchi lunghi a metà schiena raccolti in dread naturali, massicci baffoni grigi, fascia rossa in fronte, decine di collanine, vestito beige da apache e piedi scalzi. Al polso ha mille braccialetti di tutte le feste di Ibiza e dietro di lui ci sono tre giovani fanciulle dalle pupille visibilmente dilatate che lo seguono nel taxi e spariscono verso chissà quale psichedelica avventura.
Mentre tutti si allontanano a piedi o in macchina o in taxi o in bici o in motorino e noi optiamo saggiamente per una colazione prima di coricarci, notiamo un ragazzo nervoso, rimasto da solo:
“Non sapevo l’ora, ero preso bene e ho preso una pasta e dopo dieci minuti la musica è finita, cioè mi sta salendo adesso… non ho soldi per gli after, gli altri sono in albergo ma io non posso dormire, non posso mangiare, non posso rilassarmi… devo solo ballare capito?!”
In quel momento comprendo appieno il dramma del ballerino solitario di Playa d’en Bossa e mi sento in colpa per averlo deriso. Indico paternalisticamente la strada al giovane agitato e gli assicuro che laggiù starà bene, potrà sfogarsi e trovare altri come lui; mi guarda un po’ stranito e si incammina a passo veloce.
La settimana ricomincia piano in questa fine estate, aprono i bar e i tabaccai, i traghetti per Formentera fischiano, chi fa jogging sulla ciclabile, chi accompagna il cane scodinzolante, una coppia anziana siede su un panchina a guardare il primo sole sul mare calmo.
Ibiza è un’isola strana, la si capisce vivendola per un po’, è per tutti ma non per tutti. Varrebbe la pena tornarci e studiarla più a fondo, se solo riuscissi a convincere un editore a pagarmi un viaggio per un altro reportage.
Buon uichènd a chi sottocassa ci lascia sempre il cuore.
Francesco Cardarelli