Bruxelles – I tirocini sono importanti. Complessivamente tra il 60% e il 70% dei tirocinanti trova un impiego al termine dell’apprendistato. Usa questi dati la Commissione europea per presentare la nuova strategia in materia. Stimolare più e meglio la formazione professionale è qualcosa che servirebbe, ma resta prerogativa degli Stati. Il risultato è un sistema variegato di regole e leggi nazionali, tutte diverse tra loro, nella migliore delle ipotesi simili ma non proprio identiche. Per questo l’esecutivo comunitario produce una raccomandazione agli Stati, documento non legislativo e non vincolante per cercare di ottenere passi avanti. “Non si tratta di un’armonizzazione delle regole”, sottolinea il commissario per l’Occupazione e gli affari sociali, Marianne Thyssen. Non c’è armonizzazione perché la Commissione non lo può fare di sua iniziativa. Solo se gli Stati saranno d’accordo l’esecutivo comunitario potrà rimettere mano al tema delle politiche a sostegno dell’occupazione. Bruxelles propone dunque non tanto ciò che sarà, ma ciò che dovrebbe essere, e lo fa inchiodando i governi alla proprie responsabilità.
Sono 14 i criteri secondo cui l’apprendistato dovrebbe essere garantito in Europa. Quattordici caratteristiche “fondamentali” a cui gli Stati membri e le parti interessate dovrebbero attenersi per sviluppare apprendistati efficaci e qualitativamente validi. Colpisce che al primo punto si legga “contratto scritto”. Vuol dire che c’è qualcuno che in Europa usa gli aspiranti lavoratori in modo non chiaro. Non avere forme di tirocinio messe nere su bianco rischia di voler dire una deregulation che può dar vita a scappatoie per pratiche irregolari, sfruttamento, lavoro nero. E poi, scorrendo ciò che chiede la Commissione, si legge che c’è bisogno di garantire sempre “retribuzione e/o compenso”, sintomo che qualcuno in Europa giochi ‘sporco’. Prendiamo l’Italia: la legge 92/2012 (legge Fornero) promuove “l’apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”, ma si tende a sostituirlo con lo stage. Anche se vengono considerati sinonimi, i due tipi di formazione hanno una differenza sostanziale: l’apprendistato è una modalità di lavoro ‘a causa mista’, e cioè ha sia finalità formative che finalità lavorative. La legislazione nazionale vieta stage gratuiti, ma a quanto pare così non è. E neppure in Europa le cose sembrano andare diversamente.
Si legge ancora la strategia dell’Ue, e si vede la gravità del problema. “La Commissione promuove l’applicazione di tali criteri tramite opportuni finanziamenti dell’Ue”. Si paga per far cessare il lato oscuro degli stage. Quanto? “Il Fondo sociale europeo attribuisce da solo all’istruzione e alla formazione fino a 27 miliardi di euro”. Ventisette miliardi ai governi per far cessare pratiche non chiare, a volte di mero sfruttamento. Col rischio che in nome della promozione dei giovani, si sprechino soldi comune, come avvenuto con la Garanzia giovani, il programma per creazione di opportunità lavorative per gli under 25 (under 30, in Italia), ma che ha visto i tirocini essere pagati in ritardo o addirittura non essere pagati affatto. Ma ci sono limiti nell’azione della Commissione, lo ricorda una volta di più il commissario per l’Euro e il dialogo sociale, Valdis Dombrovskis. “Pur rispettando le specificità dei sistemi di istruzione e di formazione degli Stati membri, il nostro obiettivo finale è facilitare l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro”. L’auspicio è che gli Stati remino nella stessa direzione.