Bruxelles – “Non stiamo proponendo un prolungamento di controlli alla frontiere interne”, “deve essere solo l’ultima risorsa”, “dovrà essere l’eccezione”. Il commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulis, usa tutte le espressioni possibili per cercare di mascherare la rimessa in discussione di uno dei fondamenti dell’Ue, la libera circolazione delle persone. Ma la proposta approvata dal Collegio dei commissari sullo spazio Schengen di fatto rende possibile congelarla fino a un periodo di tre anni e riscrive il concetto di ‘libera circolazione’, sacrificandolo sull’altare della sicurezza.
Il trattato di Schengen stabilisce proprio questo, che l’Europa offra uno spazio libero da controlli. Il codice che disciplina l’area di libera circolazione riguarda 22 Stati Ue su 28 (non partecipano Regno Unito, Irlanda, mentre Romania, Bulgaria, Cipro e Croazia vi entreranno a breve) più i quattro Paesi non-Ue dell’area economica europea (Islanda, Lichtenstein, Norvegia e Svizzera). Gli accordi di Schengen stabiliscono che, in caso di situazioni tali da mettere a serio rischio la sicurezza interna, gli Stati partecipanti abbiano il diritto di reintrodurre controlli alle proprie frontiere, e “la durata totale del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne non è superiore a sei mesi”. Ora la Commissione propone di modificare l’ultima parte, portando da sei mesi a un anno il periodo di reintroduzione dei controlli.
Sempre in base alle regole attuali, il periodo di controlli eccezionali alle frontiere può essere prolungato, e il principio resta fermo. Lo Stato membro potrà richiedere alla Commissione di continuare a tenere chiuse le frontiere anche scaduto il periodo di un anno, e si potranno accordare fino a quattro prolungamenti di sei mesi ciascuno, per un totale di altre due anni di controlli alle frontiere. Dunque nello scenario peggiore, Schengen è sospeso per tre anni. Sarà il Consiglio Ue a prendere la decisione, sulla base di opinioni formulate dalla Commissione europea. Lo Stato membro dovrà fornire all’esecutivo comunitario una propria valutazione del rischio, condotta dal governo nazionale, per poter chiedere di mantenere i controlli oltre il periodo di un anno. La Commissione Ue farà le analisi del caso, e sulla base di tale valutazione pubblicherà un’opinione. Saranno gli Stati membri riuniti in Consiglio ad avere l’ultima parola.
Avramopoulos in conferenza stampa di sforza di ripetere che non è il tramonto dell’era della libera circolazione, e per cercare di avvalorare la propria tesi insiste sulla necessità di allargare finalmente l’area Schengen anche a romeni e bulgari. “Solo un quadro Schengen coordinato e unito, che includa anche la Bulgaria e la Romania, permetterà di conseguire l’obiettivo di mantenere il giusto equilibrio tra la libera circolazione e la mobilità, da un lato, e la sicurezza, dall’altro”. Il completamento dell’area Schengen con l’ingresso degli altri due Paesi Ue dunque è sinonimo della vitalità dell’Europa, secondo Avramopoulos, che intima a evitare allarmismi. “Ogni messaggio sulla morte di Schengen è l’inizio della fine dell’Unione europea”, avverte. Ma a conti fatti se non siamo già al canto funebre del regolamento, poco ci manca.
Le modifiche proposte si spiegano, come sempre avviene per le decisioni più controverse, in nome della sicurezza. Immigrazione ma soprattutto terrorismo sono alla base della revisione dei fondamenti del progetto comunitario. E’ vero che l’assenza di controlli interni costituisce “l’essenza” di Schengen, “ma in un’area comune senza frontiere, sono comuni pure le preoccupazioni per la sicurezza”, sottolinea il commissario per l’Immigrazione e gli affari interni. La sicurezza val bene l’essenza europea, in sostanza. E in Consiglio non è facile immaginare che al netto del dibattito politico, che non mancherà, potranno essere più le delegazioni a favore che quelle contrarie ad una proposta di modifica delle regole che tutto sommato va incontro alle istanze degli Stati membri. In nome della sicurezza si sono già arroccati su sé stessi 14 Paesi Ue (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria), soprattutto per ragioni legate al tema immigrazione. Schengen non è morto, è solo trasformato. Per dirla come la dice Avramopoulos, “cambia il regime dei controlli”.