Bruxelles – In Spagna si infiamma il conflitto tra il governo centrale del premier Mariano Rajoy e quello della regione della Catalogna di Carles Puigdemont, che nella mattinata di oggi ha assistito all’arresto di 14 funzionari del governo locale, tra cui Josep Maria Jové, braccio destro del vice presidente dell’esecutivo catalano e responsabile dell’organizzazione del referendum per l’indipendenza fissato al prossimo primo ottobre.
Eletto a presidente della Catalogna nel 2015 pur se i partiti indipendentisti non raggiunsero la maggioranza dei voti, Puigdemont aveva da subito rilanciato la battaglia per l’indipendenza della regione: “Entriamo in un periodo eccezionale”, aveva dichiarato il presidente catalano non appena eletto: un periodo che si colloca tra “post-autonomia e pre-indipendenza”. Ex sindaco di Girona, la città più indipendentista della Catalogna, Puigdemont si era sin da subito rivolto a Madrid con toni di sfida: “Non sono tempi per i codardi” aveva avvisato il presidente. E così è stato.
Secondo i sondaggi, tuttavia, la fermezza mostrata dal Presidente non sarebbe condivisa dall’intera regione che appare piuttosto divisa sulla questione dell’indipendenza. A dare l’idea di ciò è anche la rappresentanza di cui godono le forze politiche indipendentiste all’interno degli organi parlamentari in Spagna.
All’interno del Parlamento catalano che ha permesso a Puigdemont di diventare premier, il fronte pro-indipendenza è composto dal partito di estrema sinistra, Candidatura di unità popolare (Cup), e dalla coalizione Junts pel sì (Insieme per il sì), composta da quattro partiti di diversa estrazione politica che, tuttavia, condividono l’obiettivo di staccarsi dal governo di Madrid. Le due forze, insieme, contano 72 deputati eletti (10 del Cup e 62 di Junts pel Sì), raggiungendo sì la maggioranza dei 135 seggi totali, ma non quella assoluta, e rimanendo fermi al 47,6% delle preferenze.
Lo schieramento opposto invece, che conta 63 seggi in totale, è formato dal Partito popolare (Pp), di cui è esponente il primo ministro Rajoy (11 deputati), da Ciudadanos (25 deputati), dal Partito socialista operaio spagnolo (16 deputati) e da Iniziativa per la Catalogna verdi e sinistra unita e alternativa (11 seggi).
E la forza dei partiti indipendentisti risulta ancora più debole se si guarda alla composizione del Parlamento spagnolo dove, gli unici due ad ottenere seggi sono il Partito Democratico Europeo Catalano (ex Convergenza Democratica di Catalogna) e Sinistra Repubblicana di Catalogna che, insieme, arrivano a contare 17 seggi al Congresso dei deputati e 12 al Senato. A primeggiare qui, di fatto, sono i gruppi che invece risultano più deboli, o addirittura assenti, nei banchi dell’opposizione in Catalogna: il Partito popolare (137 seggi al Congresso e 130 al Senato), il Partito socialista operaio spagnolo (85 seggi al Congresso e 43 al Senato) e Podemos, che è contro l’indipendenza ma favorevole al referendum catalano, (71 seggi al Congresso e 16 al Senato).
Altra questione poi, è quella relativa alle percentuali di catalani che si dichiarano a favore del referendum. Secondo i sondaggi il 70% dei cittadini è a favore del voto, tuttavia, una parte di questi non chiederebbe di poter votare per procedere verso l’indipendenza ma, piuttosto, per mettere un punto risolutivo alla questione.