Bruxelles – La Turchia va avanti per la sua strada, e l’Europa può fare solo finta di opporre resistenza con una pressione che non è forte e neppure troppo convinta. Il dialogo politico di alto livello ospitato a Bruxelles evidenzia due parti vicine a parole, ma neppure troppo, e lontanissime nei fatti. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, fa quello che può. E questa Unione europea le permette di fare non tantissimo. Spinge per il dialogo, per il confronto. “Preferiamo parlare tra noi piuttosto che parlare di noi a mezzo stampa”. Linea pragmatica, come quella dei turchi che sanno di godere di una posizione di forza, e sulla base di questo rivendicano e pretendono. L’accordo per la gestione dei migranti “ha ridotto del 99% gli ingressi irregolari” in Grecia, sottolinea il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu. Un modo per dire, come poi spiega prontamente, che “la Turchia sta facendo la propria parte, mentre da parte dell’Ue non avviene tutto quello che dovrebbe, ci sono carenze e abbiamo discusso come colmare queste carenze”.
I rappresentanti delle due parti in conferenza stampa offrono la rappresentazione delle distanze del momento. La Turchia vuole un’accelerazione del processo di adesione. Cavusoglu e il collega e Omer Celik, ministro per gli Affari europei e capo negoziatore di Ankara, pretendono l’apertura dei capitoli 23 (Magistratura e diritti fondamentali) e 24 (Giustizia, libertà e sicurezza). “Non è solo la questione di Cipro che rende difficile immaginare l’apertura di altri capitoli in questo momento”, la risposta pubblica di Mogherini. La Turchia ha fretta. Conferma di volere continuare a investire sull’Europa, di volere mantenere rapporti diretti e procedere con i negoziati, segno che c’è un problema di consenso interno da soddisfare e qualcosa da portare alla popolazione. Non a caso il negoziatore di Ankara propone di aprire i capitoli e poi si vedrà. “Se ci sono progressi si chiudono, se non ci sono restano aperti ma intanto sono aperti”. L’Ue fa muro, per ora. Anche perché questo è l’unico ambito in cui può fare resistenza vera.
Sul cammino tutto turco lungo la via dello stato di diritto, il Paese non aggiusta per nulla il tiro. A parole i ministri a Bruxelles riconoscono che Amnesty International è un’organizzazione “autorevole”, ma nella pratica il responsabile della sezione turca è stato imprigionato. A parole si ricorda che da quando ci sono Recepp Tayyip Erdogan il suo partito al potere, il Paese ha varato politiche che hanno avvicinato sempre di più la Turchia all’Unione europea per quanto riguarda gli standard. Nella pratica però si procede con purghe e arresti, soppressione del dissenso e dell’opposizione. “Il fatto di essere democraticamente eletto in Parlamento non significa poter sostenere organizzazione terroristiche e rifornirle di armi”, sostiene il ministro degli Esteri Cavusoglu. Riferimento ai parlamentari curdi, fatti arrestare con l’accusa di aiutare il Pkk, il partito curdo dei lavoratori, iscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche. Lo stesso vale per il giornalisti. “Il fatto di svolgere questa professione non ti autorizza a dare sostegno a gruppi o organizzazioni terroristiche”. Le libertà ci sono, ma sono di facciata. E l’Europa può fare poco. Ci si limita a chiedere di rispettare diritti umani e le libertà che i Paesi candidati all’adesione devono garantire, e nulla di più.
La Turchia fa voce grossa. Viene nella capitale dell’Ue a far capire che non intende cedere di un millimetro. Il Parlamento europeo vorrebbe il congelamento del processo di adesione, ad Ankara sanno che non succederà. “Sarebbe controproducente per entrambe le parti, una formula lose-lose”, e Cavusoglu lo sbandiera davanti a tutti, pubblicamente, sotto il naso di Mogherini, a casa sua, in Commissione europea. Lei non batte ciglio. “Questa discussione dimostra che l’incontro di oggi è stato vero, sincero”. Come dire: ci sono differenze di posizioni, è normale. Tende la mano e continua con il lavoro diplomatico e di mediazione che con tanta dedizione porta avanti fin dal primo giorno. Ricorda che la Turchia “non è solo un partner strategico ma un Paese candidato” ma senza per questo cedere capitoli negoziali, dimostrando che neppure l’Ue è disposta a regali alcun genere. L’Alto rappresentante sta in sostanza al gioco, almeno finché può. La Turchia si mostra arrogante ed esigente. Bisogna capire come si evolveranno gli atteggiamenti del partner e del blocco dei Ventotto. Saranno i leader a fare la differenza.