di Enrico Grazzini
Qualche insegnamento dalla crisi bancaria della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca:
1. Il governo italiano, la Banca d’Italia e la Regione Veneto (a guida leghista) si sono dimostrati clamorosamente incapaci prima di vigilare e di prevedere tempestivamente la crisi, e poi di gestirla. Hanno perso tempo molto prezioso. Il risultato è che la crisi delle due banche è peggiorata rapidamente, che le due banche sono state costrette a chiudere, che lo Stato ha sborsato e sborserà molti miliardi in più di quanto previsto, usando ovviamente i soldi dei contribuenti. Alla fine le banche venete sono fallite e le loro attività – quelle buone – sono state cedute (regalate?) per un euro a un’altra banca privata, Banca Intesa. Mentre lo Stato si è sobbarcato tutte le attività negative e deteriorate. È difficile che potesse andare peggio di così.
2. Occorreva nazionalizzare prontamente le banche venete e gestirle come banche pubbliche di sviluppo per rilanciare l’economia nazionale e i territori. Il governo invece ha gettato le perdite sulle spalle dei contribuenti per lasciare tutti i vantaggi e i profitti a Banca Intesa. Il solo aspetto positivo del disastro provocato dal ministro Pier Carlo Padoan e dal suo governo subalterno alle direttive ondivaghe e contraddittorie dell’Unione europea e della Vigilanza della BCE è che Banca Intesa – la vera beneficiaria dell’operazione – è l’unica grande banca ancora saldamente italiana, mentre le altre maggiori banche cosiddette nazionali (come Unicredit, UBI, ecc.) sono invece ormai in larga parte proprietà di operatori finanziari esteri. Ma questo premio di consolazione è davvero magro.
3. Tutto il peso della crisi è stato gettato sulle spalle dei contribuenti italiani: lo Stato si impegna per circa 17 miliardi, una cifra enorme, pari a una finanziaria. Con questa cifra potrebbe rilanciare gli investimenti pubblici e creare milioni di posti di lavoro. Grazie al rilancio dell’economia si poteva anche sanare il sistema bancario italiano oberato da circa 350 miliardi di crediti deteriorati. Così invece non è assolutamente detto che i focolai di crisi del sistema bancario siano spenti
4. L’unione bancaria europea, già nata male, è ormai moribonda. Il bail-in non funziona e l’Unione europea e la Vigilanza della Banca centrale europea hanno provocato ritardi e disastri con comportamenti confusi e contrastanti. La Germania e gli Stati del nord non accetteranno mai di mettere i loro soldi in un fondo unico europeo per salvare le banche e i risparmiatori degli altri paesi. L’unione bancaria si dimostra un pericolo, un bluff e un’illusione. Eppure doveva essere la colonna portante dell’integrazione europea.
5. Infine una considerazione strategica: bisogna limitare il potere delle banche private di creare denaro dal nulla. Le banche private possono produrre moneta dal nulla (sotto forma di prestiti) e utilizzarla magari per favorire gli amici e per rischiose avventure finanziare, senza avere l’obbligo di investire nell’economia reale. Creando facilmente denaro dal nulla, le banche possono speculare, gettare soldi, e poi farsi salvare con il denaro dei contribuenti. Occorre una nuova e stringente regolamentazione bancaria per proteggere i risparmiatori e fare ripartire l’economia.
Approfondiamo questi punti:
1. Nonostante il credo liberista e quello anti-statalista ad oltranza, quando una banca fallisce o sta per fallire in tutto il mondo e in tutti i tempi è sempre lo Stato che è dovuto e deve intervenire. Chi protesta sempre – e senza se e senza ma – contro l’intervento pubblico o mente sapendo di mentire, o ignora la storia e non capisce la realtà. Sono proprio i governi più liberisti che intervengono per salvare le “loro” banche. In Germania lo Stato è intervenuto con 250 miliardi di euro, negli USA con 850 miliardi di dollari (programma TARP), in UK lo stato ha salvato giganti come Lloyds, HBSC, Royal Bank of Scotland, Northern Rock con decine di miliardi di sterline, ecc.
2. Ma c’è modo e modo di nazionalizzare. Una vera nazionalizzazione comporta che lo Stato acquisti la quota principale del capitale della banca in crisi, diventi l’azionista di riferimento, mandi via i dirigenti incapaci e/o corrotti, e gestisca la banca a beneficio delle attività nazionali, e non del profitto privato.
3. Una falsa nazionalizzazione al contrario si basa su tutt’altri presupposti: lo Stato mette i soldi dei contribuenti per salvare i privati a beneficio esclusivo dei privati stessi (cioè anche di quelli che magari hanno provocato il fallimento della banca). Questa è la famosa socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti. Questo è quanto il governo italiano ha fatto facendo comprare le due banche venete a Intesa per un euro e accollandosi tutti gli oneri e il peso dei non-performing loans (crediti deteriorati)
4. A questo proposito, nel caso della cessione delle due banche venete a Intesa, vale il commento di Walter Galbiati su Repubblica:
Di solito per rafforzare i ratio patrimoniali le banche (vedi Unicredit) lanciano gli aumenti di capitale. In questo caso Banca Intesa, in cambio dello sforzo di assorbire la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ha preteso che il capitale glielo rafforzasse lo Stato coi soldi dei contribuenti. Ma allora perché non sono state emesse azioni di Banca Intesa a favore dello Stato? Con 5 miliardi, il Tesoro sarebbe diventato azionista col 10% di Banca Intesa, come sarebbe diventato azionista delle venete con la ricapitalizzazione precauzionale. E sarebbe rimasto azionista solo per il tempo necessario per ripagarsi l’investimento. Negli USA, durante la crisi scatenata da Lehman Brothers, lo Stato è entrato nelle banche per rafforzarne il capitale e ne è uscito poco dopo con laute plusvalenze. Al di qua dell’Oceano, invece, non si è voluto aprire il capitale allo Stato, ma si è chiesto solo di socializzare le perdite.[1]
5. La crisi delle due banche venete, e di MPS, è dovuta principalmente alla cattiva gestione – su cui sta indagando la magistratura – dei manager-azionisti. Occorre però sottolineare una grande verità: in generale la crisi delle banche italiane non nasce dalla folle speculazione sui derivati, come è successo in molti altri paesi europei, come in Germania e UK. La crisi italiana dell’economia nasce invece in generale dall’austerità che ci è stata imposta dall’Unione europea, dai mercati finanziari, in ultima analisi dalle grandi banche d’affari internazionali che controllano circa un terzo del nostro debito pubblico. Senza la folle e suicida politica di austerità della UE non ci sarebbero 360 miliardi di crediti deteriorati legati alla risi delle piccole e medie imprese e delle famiglie, e non ci sarebbe la conseguente crisi del settore bancario – a parte i singoli casi criminosi in corso di accertamento da parte della magistratura. Quindi la politica economica della UE e dell’eurozona è la maggiore responsabile del disastro dell’economia nazionale (-10% del PIL rispetto al 2007) e in particolare di quello bancario.
6. Le politiche e le istituzioni europee hanno peggiorato enormemente la crisi in corso delle banche italiane. La gestione della crisi delle due banche venete da parte della Vigilanza della BCE e da parte della Commissione UE è stata rovinosa e fallimentare: prima le due banche sono state dichiarate di importanza sistemica, poi no; prima sono state dichiarate solventi ma in crisi di liquidità, poi invece insolventi e in pratica fallite; prima è stato proibito l’aiuto di Stato e invocato l’apporto dei privati, poi no, ecc. In pratica la gestione della crisi da parte della BCE e della UE è stata arbitraria e fuori dalle regole. E ha aggravato enormemente il dissesto delle due banche, spingendole a fallire.
7. Le norme del bail-in e quelle analoghe (burden sharing) decise in sede europea nell’ambito del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi, si sono dimostrate semplicemente inapplicabili. I governi italiani e la Banca d’Italia non avrebbero mai dovuto accettare le regole europee del bail-in. Il salvataggio interno di una banca (in inglese bail-in) prevede che una crisi bancaria sia affrontata e risolta tramite il diretto coinvolgimento “interno” dei suoi azionisti, obbligazionisti, correntisti: sono loro che devono pagare per la crisi di una banca. Il problema è che però la crisi è invece provocata nella totalità dei casi da dirigenti e manager corrotti e/o incapaci. A causa del bail-in lo Stato può intervenire per salvare una banca fallita solo dopo che i privati (compresi i piccoli obbligazionisti innocenti e i correntisti con più di 100mila euro in deposito) hanno perso i loro denari. Questo con il pretesto di non penalizzare i contribuenti che, in ultima analisi, finanziano gli interventi pubblici di salvataggio. Ma il problema è che il bail-in si pone in completa antitesi con la tutela del risparmio dei cittadini. E che lo Stato è l’unica istituzione che ha sufficienti risorse per salvare una banca. Alla fine i contribuenti pagano comunque il conto, insieme ai risparmiatori beffati.
8. L’unione bancaria è fallita di fronte alla crisi delle due banche venete. Non solo è fallito il sistema di Vigilanza che fa capo alla BCE (primo pilastro dell’unione bancaria), non solo le norme sul bail-in si sono dimostrate inapplicabili, e quindi il Meccanismo unico di risoluzione non ha funzionato (secondo pilastro), ma il fondo comune europeo di assicurazione dei depositi molto difficilmente verrà accettato dai tedeschi e dalle nazioni del nord Europa, perché questi sarebbero costretti a finanziare i fallimenti delle banche italiane e dei paesi mediterranei. Così anche il terzo pilastro dell’unione bancaria molto difficilmente verrà innalzato. Ma senza il fondo unico, l’unione bancaria resta non solo incompleta ma diventa un insieme di regole e di norme controproducenti, sbagliate e inapplicabili. Le norme europee peggiorano la gestione delle crisi bancarie invece di affrontarle e risolverle.
9. Insomma: la partecipazione italiana all’eurozona si dimostra ancora una volta pesantemente negativa. L’euro e le regole dell’eurozona non ci aiutano ma ci opprimono e ostacolano la nostra economia. Le banche italiane in crisi e il risparmio nazionale diventano facile preda degli investitori istituzionali stranieri e dei fondi speculativi (come Vanguard, Norges Bank e BlackRock) e delle banche estere concorrenti.
10. Una considerazione più generale di carattere strategico: occorre una nuova direzione di marcia per limitare il potere delle banche di creare denaro dal nulla e di speculare mettendo a rischio il risparmio dei depositanti. Le banche creano moneta concedendo prestiti. Grazie al meccanismo della riserva frazionaria, le banche non intermediano il risparmio ma creano moneta prestando denaro: per ogni nuovo prestito di una certa somma registrano in bilancio questa somma al passivo e la stessa cifra all’attivo. Poi il denaro così creato ex novo va magari agli amici e nelle speculazioni immobiliari e finanziarie. Occorre regolamentare e limitare fortemente l’attività bancaria (narrow banking) separando innanzitutto l’attività di intermediazione del risparmio da quella speculativa.[2] Le banche devono servire innanzitutto l’economia reale e lo sviluppo, e non perseguire obiettivi di massimo profitto grazie alla speculazione finanziaria, mettendo a rischio i soldi degli altri, il denaro dei risparmiatori. Lo Stato deve intervenire e, se necessario, emettere anche una sua moneta, come la moneta fiscale.[3] Altrimenti nuove crisi sono inevitabili.
Pubblicato su MicroMega online il 4 luglio 2017.
Note
1) Repubblica, “Banca Intesa, lo Stato ricapitalizza, ma non diventa socio” di Walter Galbiati, 27 giugno 2017.
2) Vedi per esempio l’editorialista del Financial Times Martin Wolf, “Strip private banks of their power to create money”, Financial Times, 2014.
3) Vedi e-book edito da MicroMega: Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro, a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino scaricabile gratis sul sito di MicroMega.