La vicenda di Domenico Quirico, il giornalista della Stampa rapito in Siria e liberato dopo cinque mesi di prigionia, fa riflettere sulla professione del giornalista, sui suoi rischi e meriti, ma soprattutto ci ributta in faccia la delicata questione dell’informazione nella società moderna. È tutta informazione quella che passano i nostri giornali e telegiornali? Esiste un’etica dell’informazione che preveda anche il tacere, il tralasciare? Cosa definisce una notizia e come si misura la necessità di riportarla? Più semplicemente, viene da chiedersi se si può chiamare giornalista chi rincorre Enrico Letta con un microfono chiedendogli “Signor Presidente, è vero che la crisi fa male all’Italia?”
Anche qui è un eccesso di mercato che ha completamente stravolto la percezione dell’informazione. Così oggi non è più notizia quel che aggiunge un elemento alla nostra comprensione di una situazione ma quel che attira pubblico davanti agli schermi e quindi ricompensa gli sponsor televisivi dei loro investimenti in pubblicità. Il giornalismo e l’informazione sono totalmente succubi di questo sistema. Soprattutto i telegiornali sono ormai diventati semplici megafoni di chiacchiere e litigi, di polemiche e baruffe. Una quotidiana diretta da un’assemblea di condominio che non informa ma stordisce e che finisce per dare di ogni cosa un’immagine falsa. Una sbagliata gerarchia di fatti ed avvenimenti che finisce per disorientare la società. Rivendichiamo fra le nostre fondamentali libertà quella dell’informazione, ma in realtà non ne godiamo più ormai da decenni. Non veniamo informati ma storditi di fandonie come nella peggiore dittatura. E ancor più pateticamente, è chi si azzarda a criticare questo giornalismo circense a venire tacciato di tirannide.
Questa degenerazione dell’informazione non riguarda solo noi ma è un fenomeno globale. Recentemente sul New York Review of Books Nathaniel Rich ha pubblicato una recensione del memoriale di Amanda Knox cominciando proprio dalla questione dell’informazione. I giornalisti internazionali che seguivano il caso da Perugia erano pronti alle più infami menzogne pur di riuscire a vendere il loro articolo. Così i minimi sospetti diventavano appurate verità e gocce di Luminol laghi di sangue. Vendere il giornale bisogna, e poco importa se quel che c’è scritto sopra è vero.
La disinformazione dunque dilaga anche sulla stampa di paesi che vantano una tradizione di nobile giornalismo. Ma in ogni grande democrazia un filone di informazione affidabile rimane e resta il punto di riferimento di quella parte della società che conta e che compie le scelte decisive nella vita di un paese. Tranne che in Italia, ovunque in Europa e in America esistono due tipi di informazione, quello del fumoso chiacchiericcio dato in pasto alle casalinghe e quello autorevole, che pur seguendo i leitmotiv del momento, comunque mantiene la rotta del buon senso. In questi mesi, mentre le nostre prime pagine erano infestate da disquisizioni bizantine sulle presunte ricadute politiche della condanna di Berlusconi e il nostro giornalismo si arrampicava sugli specchi di dietrologie infinite, il resto del mondo civilizzato leggeva invece di quel che sta accadendo in Siria e ne capiva le pericolose conseguenze. Noi lo abbiamo capito solo quando è ritornato Domenico Quirico e la notizia della sua liberazione è riuscita a forzare la cortina fumogena del nostro sistema di informazione. Ma solo brevemente, giusto il tempo di compatirlo per la sua sofferenza e immaginarlo chiuso nella sua prigione come un partecipante all’Isola dei famosi. Da domani si torna alle giunte, ai decadimenti, alle pregiudiziali, alle immunità, ai pontieri e ai riservisti.
Diego Marani