Bruxelles – Che ne sarà del commercio tra il Regno Unito e l’Unione europea quando avverrà il divorzio? E’ una delle tante domande che ci si è posti fin da subito, quando il referendum del 23 giugno 2016 ha decretato l’uscita di Londra dall’Ue. Una domanda ancora senza risposta, ma a cui ha provato di fornire chiarimenti il Parlamento europeo nell’analisi sulle conseguenze della Brexit per l’unione doganale e il mercato interno dei beni. L’analisi si concentra su tre possibili scenari, nessuno dei quali privo di incertezze né rischi. Il primo è un commercio Ue-Uk in regime di Wto, che però può nuocere agli equilibri nord-irlandesi e non esclude una guerra anti-dumping con Bruxelles. Si ipotizza poi una relazione stile Norvegia o Svizzera, che però espone Londra a un secondo negoziato con i Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (Efta). Infine un classico accordo di libero scambio, ma nel quale i meccanismi di risoluzione delle controversie non possono essere innescati da attori privati.
1) WTO
Il Regno Unito considera l’Organizzazione mondiale del commercio la via maestra. Questo perché offre una soluzione già in parte pronta. In parte. Prima di fare accordi Londra dovrà innanzitutto diventare di nuovo membro a pieno titolo del Wto. Questo significa che quando Londra lascerà l’Unione europea dovrà rivedere tutte le tariffe, le quote e i sussidi perché quelli attuali sono stati discussi nell’ambito del mercato unico comunitario, di cui non farà più parte. Nel lasciare l’Ue, il Regno Unito dovrà ritirare i propri programmi commerciali dall’Ue, e le nuove politiche commerciali, incluse quelle tariffarie, saranno soggetti all’approvazione da parte di tutti i membri dell’Organizzazione mondiale del commercio. Un procedimento che richiederà del tempo, anche perché la modifica dei programmi passa per due vie: la rettifica e la modifica. La prima è possibile per “riassetti che non alterano la portata di una concessione e altre rettifiche di carattere puramente formale”, mentre la seconda implica una modifica sostanziale di una concessione. Anche in questo caso, quindi, potrebbe essere necessario modificare una buona parte delle politiche commerciali.
Tasse, niente mercato unico e Corte di giustizia Ue esclusa
Da un punto di vista pratico la differenza principale con la legislazione dell’Ue è che la giurisprudenza del Wto si concentra sull’individuazione di casi di discriminazione nei confronti dei prodotti importati e non tenta di cogliere divergenze normative. Vuol dire che il Wto non mira ad armonizzare i regolamenti nazionali e non si occupa dell’integrazione del mercato. Se un accordo tra le parti non dovesse trovarsi, Londra potrebbe giocarsi politicamente questo risultato come la volontà di mantenere una autonomia propria dall’Ue che si è deciso di abbandonare in nome dell’assenza di indipendenza.
Da un punto di vista giuridico un accordo in regime di Wto vorrebbe dire escludere il ruolo della Corte di giustizia dell’Ue dai contenziosi, per la cui risoluzione è responsabile l’organismo apposito dell’Organizzazione mondiale per il commercio.
Inevitabile la frontiera con l’Irlanda
Da un punto di vista doganale, però, avere accordi in regime di Wto vuol dire istituire un confine doganale pieno tra l’Ue e il Regno Unito, e quindi anche tra l’Irlanda del Nord e la repubblica d’Irlanda. E’ questo il tipo di ‘hard border’ che appare inevitabile. In una situazione commerciale del genere controlli doganali si renderanno indispensabili anche per merci che attraversano la Manica e negli aeroporti.
Rischi di guerra commerciale
Il commercio nel rispetto dei termini Wto significa che gli strumenti di difesa commerciale dell’Ue possono essere impiegati contro le importazioni dal Regno Unito. Non sarebbero esclusi, dunque, casi anti-dumping e anti-sovvenzioni. In assenza di discipline di aiuti di Stato che si estendono al Regno Unito, si può supporre che in particolare lo strumento anti-sovvenzioni possa essere usato per rispondere ad eventuali aiuti da parte di Londra, che falserebbero il commercio con l’Ue.
Incertezze
Il commercio tra l’Ue e il Regno Unito sarebbe soggetto a dazi doganali. Questi ultimi variano a seconda dei settori e dei prodotti. Sono generalmente più bassi per i prodotti industriali e più elevati per i prodotti agricoli. I contingenti tariffari sollevano domande perché richiedono un accordo tra l’Ue e il Regno Unito su come dividere e come applicarli nel commercio reciproco. Inoltre, le tariffe sul commercio dei prodotti industriali, anche se inferiori, interferiranno enormemente con le catene di distribuzione e rischiano di creare effetti cumulativi sul prezzo dei prodotti finiti.
2) AREA ECONOMICA EUROPEA (EEA)
E’ la situazione teoricamente più vantaggiosa per il Regno Unito, dato che consentirebbe di fare parte del mercato unico dell’Ue senza esserne membro, ma secondo l’analisi parlamentare è anche l’opzione “più improbabile per il momento”. Si tratta di accettare il principio delle quattro libertà (persone, merci, servizi e capitali), che finora Londra non ha mai voluto sposare. Il punto è che non si possono fare concessioni: per far parte dell’Eea occorre rispettare tutto l’acquis comunitario sul mercato unico, ossia tutti i diritti e i doveri dell’Ue del ‘single market’. Niente ‘opt-out’ né deroghe, dunque.
Mercato unico, pochi dazi e niente Corte Ue
Una simile appartenenza all’Eea continuerebbe a Londra di sottrarsi dal controllo della Corte di giustizia dell’Ue, dato che in caso di contenziosi commerciali, questi vengono affrontati e risolti dalla Corte dell’Efta. Non solo. Come detto dall’Eea si accede al mercato unico Ue, il che vuol dire nessuna tariffa commerciale si applica per import ed export, ad eccezione dei prodotti agricoli ed ittici.
Soft border con l’Irlanda
E’ una delle questioni più spinose. L’Unione europea sottolinea l’esigenza di evitare la costruzione di un “confine fortificato” tra Ulster ed Eire. In tal senso l’Eea permetterebbe una soluzione di compromesso. L’area economica europea di per sé non è un’unione doganale, e dunque c’è un confine tra l’Ue e gli Stati non-Ue. Tuttavia esiste un protocollo sulla cooperazione doganale e la semplificazione commerciale, il cui obiettivo è ridurre controlli e formalità alle frontiere.
Doppio giro di negoziati
Per entrare all’interno dell’Area economica europea, occorre però divenire membri dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), di cui fanno parte Islanda, Lichtenstein, Norvegia e Svizzera. Prima Londra deve negoziare con loro la membership, e solo dopo si può entrare nel mercato unico dell’Ue. Vuol dire aprire un altro tavolo negoziale. L’opportunità però è di quelle teoricamente vantaggiorese: l’Efta non è un’unione doganale, e permette dunque la stipula di accordi commerciali bilaterali con paesi terzi. Londra in questo modo avrebbe pieno controllo della sua politica commerciale. Ciò nonostante, questa opzione non sembra al momento percorribile.
3) ACCORDI COMMERCIALI STILE UE-CANADA O UE-UCRAINA
Altra possibilità che può seguire alla Brexit è la definizione di un accordo di libero scambio, da ipotizzare sul modello di quelli sottoscritti con Canada (Ceta) o Ucraina (Dcfta). Il primo è un accordo di libero scambio, il secondo un accordo di associazione in una vasta gamma di settori. Entrambi gli accordi si rifanno ai principi del Wto. Mentre però il Ceta non prevede particolari meccanismo di armonizzazione, il Dcfta include disposizioni relative ad un accordo sulla valutazione della conformità e l’accettazione dei prodotti industriali (articolo 57) e sull’equivalenza (articolo 66) per quanto riguarda le misure fitosanitarie.
Niente mercato unico, zero dazi in due settori
A dispetto dell’Area economica europea, gli accordi di libero scambio e di associazione non estendono i principi del mercato interno a chi li sottoscrive. Vuol dire che se il Regno Unito firmasse accordi di questo tipo, ci sarebbe un regime commerciale non tariffario per prodotti agricoli e industriali, più qualche altra eccezione limitata. Inoltre gli accordi di libero scambio e di associazione consentono di mantenere la dimensione esterna del commercio, vale a dire la possibilità di stipulare tutti gli accordi bilaterali che si vuole.
Niente Corte Ue, ma i privati non attivano contenziosi
Neppure in questo caso è previsto un ruolo della Corte di giustizia dell’Ue. In caso di controversie, non ci saranno meccanismi di risoluzione diversi da quelli stabiliti dalla legislazione dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Un problema, dato che questi meccanismi sono limitati nella loro capacità e non possono essere innescati da attori privati.
Soft border con l’Irlanda
Vale lo stesso discorso fatto per lo scenario di accordi commerciali sottoscritti come membro Efta. Gli accordi Ceta e Dcfta non costituiscono un’unione doganale. Entrambi prevedono tuttavia disposizioni di cooperazione doganale e semplificazione commerciale, al fine di ridurre controlli e formalità alle frontiere.