Roma – Il traballante accordo a 4 sulla riforma elettorale, stretto tra Pd, M5S, Fi e Lega è definitivamente saltato con il rinvio del testo in commissione, deciso dopo che in Aula, in mattinata, una sessantina di franchi tiratori insieme con il resto delle opposizioni e con il gruppo 5 stelle, hanno fatto passare un emendamento non previsto dall’intesa. In Transatlantico, al di là delle reciproche accuse tra pentastellati e dem sulle responsabilità di aver mandato all’aria l’accordo, le letture si dividono tra chi vede una accelerazione verso il voto anticipato – si continua a indicare la data del 24 settembre, in concomitanza con le elezioni tedesche – e chi ritiene definitivamente tramontata questa ipotesi.
Se nel Palazzo si brancola nel buio, i mercati sembrano avere invece un’interpretazione più chiara, con la Borsa di Milano che fa segnare un +1% e il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi in calo di oltre dieci punti base. Segno che gli investitori vedono allontanarsi la prospettiva di un voto anticipato dopo la battuta d’arresto segnata dalla riforma elettorale.
Matteo Renzi ha convocato la segreteria del partito e ha affidato al portavoce Matteo Richetti il compito di annunciare che la decisione su come procedere verrà presa la prossima settimana, dopo aver valutato il risultato delle amministrative di domenica. Tuttavia, le indiscrezioni continuano a descrivere un segretario dem intenzionato a forzare la mano per una chiusura anticipata della legislatura. Indiscrezioni corroborate dalla retorica di Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera, che si chiede “come una maggioranza di governo ora possa stare insieme, con Mdp che vota il 40% delle volte contro il governo, e Ap con cui il rapporto non è più idilliaco. Penso alla legge sullo ‘ius soli’, al testamento biologico, ma anche alla legge di bilancio”, aggiunge Rosato.
L’ipotesi è che si faccia un decreto per armonizzare i sistemi elettorali di Camera e Senato, verosimilmente adattando a entrambi i rami del Parlamento l’Italicum corretto dalla Consulta, e che lo si converta in tempo per votare a settembre o al massimo nella prima metà di ottobre. Tuttavia, lo stesso Rosato riconosce che “la strada del decreto è percorribile teoricamente, ma politicamente” è un altro discorso, perché poi “dovrebbe essere convertito in Parlamento”. Ed è proprio in Parlamento – per di più a Montecitorio, nella Camera con i numeri più solidi – che non si è riusciti “a fare una legge elettorale partendo da un testo passato con l’80% dei voti in commissione”. Segno evidente che, tanto tra le fila dei democratici quanto tra quelle dei pentastellati, ovvero i principali contraenti del patto saltato oggi, un problema di tenuta c’è e il rischio che si ripresenti è alto.
Le carte che fino a un paio di giorni fa sembravano stabilmente definite, dunque, si sono improvvisamente rimescolate. La prossima mano, a questo punto, verrà distribuita la prossima settimana, quando ripartirà la discussione sulla legge elettorale e si capirà se ci sono margini per una nuova intesa, magari con protagonisti diversi, dal momento che quasi tutti, a partire dal relatore Emanuele Fiano, considerano “morta” la riforma disegnata con il patto a quattro.