Roma – “Oggi lo scenario pone l’Europa davanti a delle responsabilità e per questo Trump rappresenta un’opportunità per tornare ad essere protagonisti nel mondo e sulla questione dei cambiamenti climatici”, dichiarava Silvia Francescon, direttrice della sede romana dell’European Council on Foreign Relations, intervistata alla tre giorni tenutasi a Trevi lo scorso 18 maggio dal titolo “Energia tra fatti, comunicazione e comunità”.
Stakeholder, politici e giornalisti riuniti alle tavole rotonde dell’evento concordavano sulle aspettative da riporre nel G7 di Taormina: dialogo difficile, certo, ma all’Europa sarebbe spettato il compito di fare da ponte per il dialogo con gli Stati Uniti d’America. Che non ci si aspettava sarebbe stato interrotto così bruscamente.
Il primo giugno Trump ha ufficialmente annunciato il ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi: “L’accordo negoziato da Obama impone target non realistici per gli Stati Uniti nella riduzione delle emissioni – sostiene – siamo pronti a rinegoziare un accordo che sia giusto. Se ci riusciremo benissimo, altrimenti pazienza”.
Così le sole 6 pagine di dichiarazione finale dei lavori a Taormina, e il perentorio annuncio del Tycoon sullo sfondo del Rose Garden della Casa Bianca, sanciscono che il dialogo su clima e ambiente tra Europa e Usa è, almeno per il momento, in stallo.
“Il mondo può continuare a contare sull’Europa per la leadership globale nella lotta contro il cambiamento climatico” sostiene il Commissario europeo al Clima, Miguel Arias Canete. “L’Ue rafforzerà le sue partnership esistenti e cercherà nuove alleanze dalle economie più grandi del mondo alle isole più vulnerabili”.
Fare di necessità virtù e, soprattutto, volgersi ad oriente. A promettere di attuare comunque il patto e di continuare la transizione verso economie di crescita più pulite sono infatti Canada, India e Cina. Proprio i cinesi sono nel pieno di una conversione green delle loro industrie, attualmente le più inquinanti, oltre ad aver installato sul proprio territorio quasi metà dell’impianto fotovoltaico mondiale.
L’Ue s’impegnerà a finanziare questo passaggio alle rinnovabili cinesi, al fine di innestare una reazione a catena globale. Come scritto nella bozza della dichiarazione congiunta dei leader Ue e cinesi: “il cambiamento climatico e la riforma dei nostri sistemi energetici sono fattori significativi per la creazione di posti di lavoro, di opportunità di investimento e di crescita economica”.
Un asse interessante quello tra Bruxelles e Pechino, considerata la possibilità di allargare la propria influenza sull’economie in via di sviluppo e terzomondiste (forte è la presa del soft power cinese in Africa). Una cooperazione che potrebbe estendersi oltre il discorso climatico, come già successo per alcune missioni anti-pirateria in Africa, potenzialmente solo l’inizio di una trattativa per il peacekeeping, essendo Pechino membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e con un ruolo fondamentale nelle trattative di pace in Afghanistan, Libia e Siria.
Sepastiana Gjoni, Salvatore Tancovi