Bruxelles – Dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue “non ci sarà alcun accesso ‘à la carte’ al mercato unico”. Lo hanno detto e ridetto un po’ tutti, in Europa, dopo il referendum che ha decretato l’abbandono dell’Unione europea da parte di Londra. Al di là delle dichiarazioni politiche e delle strategie negoziali, è però un problema per il Regno Unito come Paese e, soprattutto, per le sue Nazioni costitutive. Del mercato unico finora hanno beneficiato tutti, oltre Manica, ma ognuno in modo diverso. E’ per questo che si vorrebbe, a seconda del territorio, un accordo possibilmente differenziato a seconda delle diverse esigenze. Lo ha chiesto a gran voce la Scozia, ma anche gli altri hanno invitato il governo centrale a tutelare quanto più possibile i rispetti delle periferie. Basta dare un’occhiata ai flussi commerciali, per capire il perché di tutto questo e la portata del problema Brexit.
Galles e Irlanda del Nord sono quelli che più hanno bisogno del mercato unico per vendere le proprie merci, mentre Inghilterra e Irlanda del Nord sono quelli che più di tutti hanno bisogno delle merci che il mercato unito ha da offrire per rispondere alle rispettive domande interne. Tra import ed export l’Irlanda del Nord è la nazione costitutiva che ha più da perdere: è dipendente economicamente dai mercati della Repubblica d’Irlanda. L’Eire rappresenta circa la metà delle importazioni di Belfast, il cui export verso l’Ue corrisponde all’incirca a un terzo del volume totale di merci vendute all’esterno. Appare invece in una posizione ‘privilegiata’ Gibilterra: le sue esportazioni sono quasi esclusivamente nel settore dei servizi, e dirette in modo massiccio verso il Regno Unito.
Le preoccupazioni però non mancano per le economie di Galles, Scozia e Irlanda del Nord, in relazione alle possibili ripercussioni per l’abbandono del mercato unico e dell’unione doganale. Ciò è particolarmente rilevante nel settore primario. L’agricoltura di per sé non rappresenta una larga fetta dell’economia britannica, ma è piuttosto significativa in Galles e Irlanda del Nord. E’ qui che si hanno maggiori persone occupate, ed è sempre qui che gli operatori del settore beneficiano maggiormente delle risorse comunitarie erogate con la Politica agricola comune (Pac). Anche in questo caso Gibilterra vive meno preoccupazioni, non avendo un comparto agricolo ed essendo fuori dalla Pac.
Scozia
La Scozia esplora la possibilità di un accordo separato di Brexit, al fine di poter continuare a far parte del mercato unico, anche se Inghilterra e Galles dovessero uscirne come per il momento sembra. E’ per ora la sola ad aver chiesto un accordo differenziato post-brexit, cosa non fatta dal Galles né dall’Irlanda del Nord. Si tratta di garantire la partecipazione all’area economica europea (la stessa di cui fanno parte Svizzera, Norvegia e Lichtenstein, Paesi non Ue). Questa proposta sebbene sia tecnicamente e giuridicamente possibile, pone comunque dei problemi. Uscendo dall’Unione doganale il Regno Unito trascina via con sé anche la Scozia, che resterebbe però all’interno dell’unione doganale britannica. Far parte dell’unione doganale britannica facendo parte di un mercato unico con i Paesi Ue potrebbe essere complesso, innanzitutto perché non vi è alcun precedente e tutto dovrebbe essere definito a partire da zero. Per gli scozzesi far parte dell’unione doganale britannica vorrebbe dire evitare di ripristinare controlli fisici sui beni scambiati con gli inglesi, ma ci sarebbe bisogno di governare e gestire i beni in entrata in Inghilterra dall’Ue. Per i servizi si rischia una sorta di confine virtuale variabile a seconda di come Ue e Regno Unito sapranno o non sapranno mettersi d’accordo nel corso dei negoziati post-Brexit. In uno scenario di Scozia nel mercato unico e nell’unione doganale britannica, questo vorrebbe dire doppi standard e doppio regime di norme per essere in regola con entrambe i mercati dei servizi.
C’è poi la questione della libertà di circolazione dei lavoratori. Qui le autorità scozzesi dovranno introdurre controlli per assicurare che lavoratori comunitari non giungano in Scozia per attraversare il confine e andare a lavorare in Inghilterra o Galles. Non sembra un problema insormontabile, dato che un meccanismo di controllo di questo tipo già esiste nell’area Schengen per cittadini extra-comunitari con diritto di lavoro in uno Stato membro ma non in un altro diverso da quello in cui si ha diritto.
La Scozia, però, per poter continuare a rispettare i regolamenti del Mercato unico avrà bisogno di nuove competenze in tutta una serie di materie attualmente riservate a Westminster, e non è chiaro se un’ulteriore decentramento sarà accordato da Londra.
Gibilterra
Qui le preoccupazioni sono due: il confine con la Spagna e la libera circolazione dei servizi. Si vuole evitare una chiusura delle frontiere. I settori primario e secondario sono pressochè inesistenti, e questo vuol dire che prodotti alimentari e industriali devono essere importati, principalmente attraverso l’unico confine di terra. Non solo: il 40% della forza lavoro di Gibilterra entra ed esce dal confine con la Spagna. Si tratta di cittadini spagnoli, per lo più. Anche il settore turistico dipende dalle frontiere: se queste sono aperte, c’è flusso di turisti. Nel 2015 sono arrivati 9,6 milioni di turisti, il 93% dei quali via terra. La questione del confine pone il problema della libertà di circolazione, su cui l’Ue non intende fare sconti: o il Regno Unito le accetta tutte e quattro (persone, merci, capitali e servizi) o niente.
Il mercato dei servizi è attualmente regolato dalle normative comunitarie, e se il Regno Unito abbandona il mercato unico gli accordi riguardanti Gibilterra dovranno essere rinegoziati. Gibilterra rischia di perdere il 20% dei suoi commerci in servizi con l’Ue a 27. E’ stato istituito il comitato ministeriale congiunto Regno Unito-Gibilterra allo scopo di permettere a Londra di raccogliere e negoziare le priorità di Gibilterra, senza però alcuna garanzia di successo. Anche perché su Gibilterra pesa il veto spagnolo.