Come noto, la Commissione, la Presidenza del Consiglio Europeo e la Banca Centrale Europea (quella che abbiamo chiamato nel nostro ultimo blog “l’Europa degli uffici”) hanno presentato lo scorso dicembre, per la prima volta, piani di medio e lungo termine per raddrizzare l’Unione Monetaria. Quest’ultima, costruita su principi neoliberisti con il Patto di Stabilità, si basava su un’assunzione di fondo, e cioè che le differenze di competitività tra diverse economie nazionali si sarebbero appianate con il passare del tempo. Ma ormai è chiaro a tutti che questa assunzione si è rivelata falsa. Le differenze in competitività tra Paesi sono aumentate e non diminuite. Non solo. Esse continueranno ad aumentare fino a quando i singoli Stati prenderanno decisioni di politica economica in totale autonomia, senza tener conto delle conseguenze sugli altri Stati.
Per onestà, bisogna riconoscere che sia la Commissione che la Presidenza del Consiglio Europeo propongono rimedi che vanno nella giusta direzione: uno, la necessità di procedere verso l’istituzione di un Tesoro Europeo, con il diritto di imporre autonomamente tasse, finanziarsi con debito (e, io aggiungerei, se necessario con moneta) per avere la possibilità di generare risorse da utilizzare per raddrizzare le disuguaglianze attraverso investimenti mirati. Viene proposta anche una modica mutualizzazione dei debiti degli Stati. Naturalmente, tutto questo presuppone che la redistribuzione tra Stati con problemi diversi venga accettata da tutti gli Stati. Ma tutto questo non è possibile se non si passa da un’Unione Monetaria a un’Unione Politica. Ma questo, almeno credo, non è possibile se si stiracchia fino al limite massimo il Trattato di Lisbona, che consente un trasferimento di competenze dal livello nazionale a quello europeo con il contagocce. Inoltre, la democratizzazione di tutto il processo democratico delle istituzione europee, sia nel documento della Commissione che in quello della Presidenza dell’Unione Europea, viene vista come elemento residuale. Come ha detto Jürgen Habermas, il più grande filosofo tedesco, in un discorso fatto a Leuven il 26 aprile 2003, «la democratizzazione è presentata come una promessa, la luce alla fine del tunnel». Ma questo non può bastare. È un processo pericoloso. Se la soddisfazione dei mercati, soprattutto quelli finanziari, s’incontra con la flessibilità della tecnoburocrazia, è probabile che il problema della mancanza democratica venga rinviato alle calende greche. Come nel passato, per accontentare i mercati si spingerà il pedale sempre più verso politiche neoliberiste. Una tecnocrazia senza radici democratiche non si curerà minimamente di tener conto delle domande dei cittadini europei, soprattutto di quelli che vorrebbero mettere al primo posto la redistribuzione del reddito e la solidarietà tra Paesi con diverso livello di competitività. I tecnocrati si accontenterebbero probabilmente di quella che sempre Habermas chiama “market-conforming democracy”.
Insomma, come agire per far progredire l’Europa verso una genuina democrazia sopranazionale? Come si può arrivare a un’Unione Politica che vada oltre l’Unione Monetaria e si costituisca come un vero e proprio governo comune della politica economica?
Sembra ormai evidente che per poter fare questo passo bisogna convocare una Convenzione che abbia il compito di riscrivere i Trattati esistenti. Ma chi potrebbe convocare questa Convenzione? Non c’è dubbio che oggi l’unico organo che può farlo è il Consiglio Europeo, cioè l’Istituzione che sulla carta avrebbe il minore interesse a effettuare questa transizione. E che all’interno del Consiglio Europeo, l’unico Paese che ha la forza politica di prendere questa decisione è la Germania, con il consenso della Francia.
Nel libro che ho scritto insieme a Gianni Pittella, Breve Storia del Futuro degli Stati Uniti d’Europa, abbiamo fatto una scommessa. Innanzitutto, che quello che la Merkel ha detto il 7 febbraio 2012, anniversario dei primi vent’anni del trattato di Maastricht che ha istituito la moneta unica, non sia una mossa tattica ma debba essere preso seriamente. Riporto un passo particolarmente importante di quel discorso:
«La Commissione Europea, con competenze trasferite dai paesi dell’Unione, dovrebbe diventare il braccio esecutivo, cioè il governo degli Stati Uniti d’Europa, un governo che dovrebbe riportare a un forte Parlamento, che diventerebbe così la vera agorà europea. Il Consiglio Europeo dei capi di governo dovrebbe funzionare come se fosse una seconda Camera del Parlamento, la Corte di Giustizia dovrebbe essere la più alta autorità del potere giudiziario».
In secondo luogo, che Angela Merkel vincerà anche le prossime elezioni politiche in Germania e che subito dopo potrebbe prendere un’iniziativa del genere. C’è già chi immagina che il prossimo passo della Signora Merkel sia quello di puntare direttamente alla Presidenza della nuova Europa attraverso libere elezioni. Per fare un passo simile, la Merkel deve mettere al primo posto gli interessi di tutta l’Europa e non solo quelli tedeschi. Se dovesse tener conto unicamente dei suoi interessi nazionali tale mossa sarebbe improbabile. Oggi, la Germania è il Paese che beneficia più degli altri della comune moneta, l’Euro. Poiché per la Germania come singolo Paese l’Euro è sottovalutato, essa è riuscita ad aumentare le sue esportazioni, e a causa del surplus della parte corrente della sua Bilancia dei Pagamenti, contribuisce all’aggravarsi delle disuguaglianze in Europa. Come se non bastasse, la Germania sta approfittando della crisi finanziaria ed economica poiché l’aumento dei tassi d’interesse nei Paesi più colpiti dalla crisi si accompagna a una diminuzione dei tassi d’interesse sui bond del debito pubblico tedesco.
Insomma, la Germania deve decidere definitivamente di rinunciare alla fantasia di un’Europa tedesca per sposare l’idea di una Germania all’interno di un’Unione Politica europea, e per far questo deve prendere sul serio l’idea che la solidarietà è un atto politico, non un atto morale o etico, un atto simile a quello che venne fatto dopo la seconda guerra mondiale, quando vennero costruiti i sistemi di welfare europei.
Ma se la Germania, come io ritengo abbastanza probabile, prenderà una simile decisione – cioè di convocare una Convenzione per la revisione dei Trattati – è anche abbastanza probabile che le forze avverse al completamento dell’Europa democratica, forze nascoste soprattutto all’interno di una certa finanza internazionale, faranno di tutto per impedire che questo avvenga. E, purtroppo per noi, hanno già individuato l’Italia come il fronte principale ove iniziare la guerra contro l’Unione Politica dell’Europa a iniziativa tedesca. Nel nostro Paese sono già schierati potenti eserciti pronti alla battaglia. Possono già far leva sul più potente movimento antieuropeo del Continente, il Movimento 5 Stelle, che prende il suo nome dal fondatore, che preferisce frequentare solo alberghi della stessa categoria. Il cofondatore del Movimento già prevede azioni di guerra in autunno. Poi ci sono case editrici che appoggiano questo movimento (non solo Chiarelettere, del potente gruppo editoriale Mauri-Spagnol, fiancheggiatrice ufficiale del Movimento), ma anche piccoli editori in difficoltà come Aliberti e Castelvecchi, che sperano che cavalcando l’umore antieuropeo potranno guadagnare due euro, giornali sia di presunta sinistra («Il Fatto Quotidiano», sempre gruppo Mauri-Spagnol attraverso Chiarelettere) che di destra («Il Giornale» e «Libero») e altre forze già al lavoro nell’oscurità.
Sarà un autunno caldo. Molto caldo.
Elido Fazi