di Gustavo Piga
È difficile crederlo, ma sta crescendo il partito di coloro che negano l’esistenza dell’austerità in Italia. Un partito diverso da coloro che ne cantano le virtù. Il secondo, inizialmente guidato da Alberto Alesina e da coloro che sostenevano che meno spesa pubblica accompagnata da meno tasse faccia crescere l’economia, è stato più volte demolito dai fatti (Alberto Alesina sul Corriere è ora ben più cauto di allora) e dalla dura ironia di premi Nobel come Stiglitz o Krugman.
Più di recente tuttavia, sul proscenio italico, economisti di prestigio negano l’esistenza dell’austerità, non i suoi danni. Lo fanno non a caso in un momento chiave della storia della politica fiscale italiana: a pochi mesi dalla discussione sulla Legge di Stabilità che, secondo le prescrizioni del fiscal compact inserite da Gentiloni e Padoan nel DEF, richiede un mega manovrone da 20 miliardi di euro.
Se tale manovra non comportasse austerità, sarebbe credibile sottoscrivere le stime di crescita pressoché immutate all’1% per il 2018 inserite dal governo appunto nel DEF. Ma se invece fosse austerità? Se questa manovra da più di 1% di PIL generasse una riduzione, con un moltiplicatore pari ad un cauto 1, dell’1% del PIL, portando l’economia italiana nuovamente allo 0 della stagnazione? Che avverrebbe? Beh, certamente crollerebbero le entrate e dunque il deficit salterebbe alle stelle, contrariamente a quanto promesso all’Europa. Ed il rapporto debito sul PIL? Salirebbe nuovamente, spinto dal crollo del denominatore del rapporto.
Importante dunque capire se hanno ragione, per esempio, Roberto Perotti o Lorenzo Bini Smaghi. Il primo, intervistato, ha sostenuto, “la spesa pubblica al netto degli interessi ha continuato a salire dal 2014, i numeri dello stesso DEF sono chiari”.
Ammettendo dunque che prima del 2014 l’austerità c’è stata, ma che a suo avviso non c’è più da quell’anno (tralasceremo per oggi che nel 2016 è scesa dal 2015 da 830.135 mld. a 829.311 (fonte Eurostat) e che quella che conta per il PIL (senza pensioni ed interessi che sono trasferimenti e non domanda all’economia) dal 2014 ha visto gli investimenti pubblici calare del 10% circa in valore monetario, gli stipendi calare in valore reale e la sola spesa corrente rimanere stabile).
Lorenzo Bini Smaghi nel suo libro La tentazione di andarsene (discusso qualche giorno fa con l’autore) sostiene (come Perotti) che «di austerità non ce n’è stata di più nemmeno in Italia rispetto agli altri paesi europei, soprattutto dopo il 2013».
Come possono due economisti di questa leva dire ciò e farla franca? Credo di avere individuato il perché. Per spiegarmi farò riferimento a qualche grafico. Ma prima di tutto, definizioni.
Secondo Bini Smaghi, «la valutazione (dell’austerità)… non deve essere fatta sul (deficit) ma sulla (variazione del deficit) da un anno all’altro»: se il deficit (la spesa) diminuisce nel tempo c’è austerità, se i due aumentano c’è il contrario dell’austerità.
Una definizione confermata dalla Commissione europea, ma non dal Fondo monetario internazionale, che chiama austerità la presenza di un surplus e l’assenza di questa la presenza di un deficit.
Dettagli? Mica tanto.
Prendete due paesi, uno in blu, uno in rosso. Ecco il primo, il blu, che a un certo punto diminuisce spesa (da 200 a 150) e deficit (da 100 a 200).
Secondo la definizione di Bini Smaghi questo paese è dunque austero. Da notare che gli Stati Uniti, dopo un iniziale aumento del deficit dopo il 2009, hanno cominciato a ridurlo. Stati Uniti dunque austeri? A dopo per l’ardua risposta.
Ecco sotto un altro paese, il rosso, che fa scelte diametralmente opposte, aumentando la spesa da 50 a 100, riducendo il suo surplus (equivalente a aumentare il deficit) da 100 a 50. Un paese un po’ come l’Italia di Bini Smaghi e Perotti, secondo i quali dal 2014 l’Italia ha smesso di tagliare spesa e deficit. Italia dunque non austera? A dopo per l’ardua risposta.
Ora mettiamo questi due paesi uno accanto all’altro. È un esercizio utile, perché fa emergere come la situazione sia un po’ più complessa di quanto non apparisse dal guardare ai grafici dei singoli paesi. In effetti, sembrerebbe che l’apporto della spesa pubblica all’economia sia più ampio nel paese blu che non nel paese rosso. Più sostegno dunque nel paese blu da parte della politica economica?
Non sarebbe corretto tuttavia trarre questa conclusione: il supporto all’economia nel dopo crisi va valutato in funzione di quanta spesa ci fosse prima della crisi nell’economia stessa. E dunque val la pena leggere il grafico qui sotto, dove supponiamo che ambedue i paesi provenissero da una spesa pubblica sempre pari a 125 fino all’arrivo della crisi.
Visto così, il grafico mette le cose in una prospettiva diversa. Il paese blu appare come un paese che ha reagito all’arrivo della crisi con una politica fiscale molto espansiva (il contrario di una austera!) con spesa a 200 da 125 e che in un secondo tempo ha sì ridotto la spesa ed il deficit, ma mantenendoli sempre ben al di sopra di quanto fatto prima della crisi (150>125), rimanendo dunque espansivo, anche se meno di prima, altro che austero. Certamente questo paese ricorda gli Stati Uniti, che reagirono inizialmente con un deficit altissimo attorno al 10% e che lo hanno pian piano ridotto, ma mantenendolo sempre ad un livello tale da aiutare l’economia a riprendersi.
Visto così, il grafico mette le cose in una prospettiva diversa anche per il paese rosso, che appare ora come un paese che ha reagito all’arrivo della crisi con una politica fiscale molto austera con spesa a 50 (da 125) e che in un secondo tempo ha sì aumentato la spesa ed il deficit, ma mantenendoli sempre ben al di sotto di quanto fatto prima della crisi (100<125), rimanendo dunque austero, anche se meno di prima. Certamente questo paese ricorda l’Italia che reagì inizialmente con una politica molto austera e che ha pian piano ridotto l’austerità, ma mantenendola sempre ad un livello tale da non aiutare l’economia a riprendersi e con essa il debito pubblico sul PIL a scendere.
E perché mai è avvenuto questo? Perché spesa e deficit in Italia non salgono invece a 150 come negli USA che oggi crescono? Semplice, a causa del fiscal compact che impedisce la fine dell’austerità quando questa non è utile ma malsana, capace di generare in Italia un’avversità contro l’Europa che ha fatto crescere drammaticamente il peso di coloro che ora hanno la tentazione di andarsene, distruggendo per sempre il progetto europeo.
Ecco perché è importante dire che l’austerità c’è stata, ma anche che c’è ancora per lo stato dell’economia italiana. E che bisogna bloccare la Legge di Stabilità così come prevista per l’autunno dal DEF. Ma bloccare la legge di bilancio folle prevista dal DEF significa dire “no” per sempre all’inserimento del fiscal compact nei trattati a fine anno.
Pubblicato sul blog dell’autore il 28 maggio 2017.