Sono passati dieci anni dalla crisi finanziaria del 2007-2008.
Dieci anni andati persi e sprecati. Dieci anni di buio, al pari di un’era glaciale dove le speranze e le aspirazioni dei lavoratori sono state congelate.
Una crisi bancaria che ha portato a una crisi del debito sovrano. Una crisi economica che ha portato a una crisi politica. La medicina dell’austerità scelta erroneamente dall’UE e dagli Stati membri ha creato una disillusione diffusa e alimentato sentimenti antieuropeisti. Il senso di crisi è stato acuito dai violenti conflitti nelle regioni limitrofe, da un numero senza precedenti di rifugiati che fuggono in Europa per cercare sicurezza, e dal terrorismo alle porte di casa.
Stiamo osservando adesso i primi segnali di una primavera europea?
Chiaramente l’Europa ha preso la via della crescita, seppure lenta, e un graduale arretramento della disoccupazione di massa. Ma una recessione seguita da una ripresa incerta non è un motivo per festeggiare. Come si puo’ infatti parlare di piena ripresa e di fine della crisi quando in alcuni paesi, come l’Italia, il tasso di disoccupazione supera abbondantemente il 10%, mentre per i giovani si attesta al 35%?
Piuttosto, sono incoraggiamenti i segnali di un’inversione di tendenza nell’ascesa delle forze anti-europeiste e anti-immigrazione, l’emergere di un dibattito politico che guarda a politiche più favorevoli ai lavoratori, all’aumento dei salari e alla riduzione delle disuguaglianze. L’equità e le esigenze dei lavoratori sono di nuovo all’ordine del giorno delle agende politiche.
Lo shock per le ripercussioni politiche in seguito alla crisi economica ha generato, nell’ultimo anno, molte riflessioni sul futuro dell’Europa, della globalizzazione. I politici “tradizionali”, della destra e della sinistra, sanno di rischiare l’estinzione a meno che non inizino a interessarsi ai lavoratori. Forse hanno capito.
Le istituzioni europee stanno liberando fondi per investimenti, promuovendo aumenti salariali e persino aumentando la spesa pubblica. La Commissione europea ha imposto un dibattito sul pilastro europeo dei diritti sociali, sulla dimensione sociale dell’UE e su una globalizzazione più equa. Nel 60° anniversario dei Trattati di Roma, i governi nazionali si sono impegnati ad adoperarsi per un’Europa sociale che favorisca il progresso economico e sociale. Riguardo alla Brexit, gli Stati membri dell’UE sembrano essere d’accordo all’unanimità.
Dopo la Brexit e Trump, gli elettori hanno rifiutato i candidati dell’estrema destra per le presidenziali in Austria e Francia, e tenuto lontano dal governo dei Paesi Bassi il partito di estrema destra. Il populismo nelle sue molteplici sfaccettature – specie dopo esser stato messo alla prova nel governo locale di grandi realtà – sta iniziando a segnare alcune battute d’arresto.
Non lasciamoci trascinare dall’entusiasmo.
L’austerità non è ancora finita. Il Patto di stabilità e crescita dell’UE è una costrizione che impedisce a molti paesi di investire in servizi pubblici migliori, nell’occupazione e nella crescita. Ma alcuni leader europei spingono per una maggiore flessibilità, per porre un termine all’austerità, per dare più spazio a politiche economiche favorevoli alla crescita e per alleggerire la pressione sui lavoratori che hanno sopportato l’impatto della crisi.
L’instaurazione di nuove politiche è lontana dall’essere realizzata, come il nuovo consenso. Il Pilastro europeo dei diritti sociali è atteso da tempo, potrebbe essere più ambizioso, ma potrebbe persino essere affossato da governi e datori di lavoro ostili.
E il mondo non si ferma dopo la crisi. Ci aspettano molte sfide impegnative. La Brexit non è stata la scelta della CES o dei sindacati inglesi; dobbiamo continuare a insistere sul fatto che i diritti dei lavoratori e dei cittadini debbano essere tenuti nella massima considerazione. La crescita del falso lavoro autonomo, del lavoro temporaneo o a tempo parziale e di altri lavori precari rappresenta il lato oscuro dell’attuale disoccupazione, che si riduce lentamente, e deve essere affrontata dalle organizzazioni sindacali, e in definitiva grazie a nuove leggi. La digitalizzazione e le politiche ambientali devono essere integrate da una strategia intelligente per una transizione equa che permetta ai lavoratori e alle regioni industrializzate di adattarsi e creare nuovi posti di lavoro.
La crisi dei rifugiati per motivi umanitari non è risolta. I rifugiati sono bloccati in Turchia, in Libia e nei Balcani. I sindacati devono raddoppiare gli sforzi chiedendo una redistribuzione equa dei rifugiati in Europa e collaborando con i datori di lavoro per integrare queste persone nel luogo di lavoro. Le recenti dichiarazioni del neo Presidente francese Macron, durante l’incontro con il Premier Gentiloni, ripongono al centro del dibattito europeo l’assoluta necessità di cooperazione e solidarietà tra tutti i paesi membri per la gestione condivisa dei flussi migratori. Gli appelli lanciati ripetutamente dalle autorità italiane non possono rimanere inascoltati, , come ha riconosciuto il Presidente della Commissione Juncker, quando ha ammesso che con i suoi sforzi umanitari nel Mediterraneo l’Italia “ha salvato l’onore dell’Europa”.
Vedo un’opportunità. Vi sono alcuni segnali di movimento che vanno nella giusta direzione e tutti i progressisti devono fornire il loro impulso, forte. Ora è il momento (non di dichiarare un’altra battuta d’arresto ma) di spingersi ancora oltre per ottenere quello di cui i lavoratori hanno disperatamente bisogno: aumento di investimenti e servizi pubblici, affrontare le disuguaglianze con un sistema di previdenza sociale dignitoso, una tassazione equa, salari equi e buone condizioni di lavoro in tutti gli Stati membri dell’UE.
Per i sindacati è anche il momento di essere più attivi che mai nello sforzo teso a gestire la digitalizzazione e la sfida per il clima, al fine di garantire che i lavoratori non vengano lasciati nel dimenticatoio, a gestire la globalizzazione e a ridurre le persistenti disuguaglianze di genere e regionali. I sindacati devono mobilizzare l’intero movimento e chiedere interventi in grado di affrontare quese sfide, con i datori di lavoro e i governi, a ogni livello, da quello locale a quello comunitario. La sfida per piu diritti, migliori salari, ed il rafforzamento della negoziazione collettiva è lanciata. Il sindacato europeo, cosi come quello italiano, farà la sua parte.
Cogliamo questa opportunità : è la più promettente da dieci anni a questa parte. Teniamo alte le ambizioni, la nostra azione sia efficace ed adeguata, creiamo alleanze con coloro che vogliono costruire un’Europa sociale per i lavoratori.
Luca Visentini è segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati