di Domenico Moro*
Il Consiglio Affari esteri e Difesa dell’Unione europea (UE), nelle Conclusioni della sua riunione del 18 maggio scorso, facendo riferimento a quanto deliberato in quelle del 6 marzo 2017 e del 14 novembre 2016, ha confermato che “attende con interesse l’effettiva istituzione, come obiettivo a breve termine, in seno allo Stato maggiore dell’UE a Bruxelles, della capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC). Con una decisione del Consiglio e l’approvazione del mandato riveduto dello Stato maggiore dell’UE, l’MPCC sarà responsabile della pianificazione e della condotta operative a livello strategico delle missioni militari senza compiti esecutivi dell’UE, agendo sotto il controllo politico e la direzione strategica del comitato politico e di sicurezza”.
Le missioni cui fa riferimento il Consiglio sono quelle condotte in Mali, Repubblica Centroafricana e Somalia. Le prime due sono missioni condotte da Eurocorps. In precedenza, Eurocorps era stato utilizzato in Bosnia, Kossovo e due volte in Afghanistan. Lo Stato maggiore UE che verrà istituito, nonostante le resistenze britanniche, andrà ad integrare lo Stato maggiore, con sede a Strasburgo, a livello divisionale, quindi più operativo, di cui è dotato Eurocorps. Questi precedenti stanno a dimostrare che esiste un consenso minimo su una politica estera europea, quanto meno con riferimento a particolari aree geografiche. Nelle stesse Conclusioni viene ripetuto che “il Consiglio accoglie con favore i progressi compiuti nell’ulteriore sviluppo di una cooperazione strutturata permanente (PESCO – PErmanent Structured COoperation) nel 2017, sulla base degli apporti forniti dagli Stati membri. Il Consiglio ribadisce che la PESCO dovrebbe essere aperta a tutti gli Stati membri che intendono sottoscrivere i necessari impegni vincolanti e che rispondono ai criteri, ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 6, e dell’articolo 46 del TUE, nonché del protocollo 10 allegato ai trattati”. Non sembra dunque azzardato sostenere che, negli ultimi mesi, le discussioni, e le decisioni, sull’avvio di una politica europea di difesa hanno conosciuto un’accelerazione che non ha precedenti, salvo risalire al dibattito sull’istituzione della Comunità europea di difesa.
Il meccanismo iniziò a mettersi in moto quando il Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015 chiese all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza di presentare un rapporto sulla strategia globale dell’UE. Poco prima che Federica Mogherini lo presentasse (giugno 2016), i ministri degli esteri di Francia e di Germania, Jean Marc Ayrault e Frank-Walter Steinmeier, in un documento congiunto proposero una cooperazione strutturata permanente, aperta ad altri paesi. Successivamente, nel corso della riunione informale del Consiglio dei ministri degli esteri a Bratislava, il 2-3 settembre 2016, l’Alto rappresentante ha presentato le sue proposte su come attuare il Defence Action Plan – poi ufficializzato in una Comunicazione della Commissione l’11 novembre 2016 –, incluso l’invito agli Stati membri di ricorrere a quanto previsto dai trattati esistenti sulla cooperazione strutturata permanente. L’11 settembre, a seguito della riunione del Consiglio, i ministri della difesa di Francia e Germania, Jean-Yves Le Drian e Ursula von der Leyden, hanno inviato a Federica Mogherini un nuovo documento congiunto, insistendo sul ricorso alla cooperazione strutturata permanente. Il 22 novembre scorso il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione sull’Unione europea della difesa nella quale, più volte, si esortano gli Stati membri a procedere ad una cooperazione strutturata permanente, finanziata con il “fondo iniziale” di cui all’art. 41.3 del Trattato sull’Unione europea, oppure con il bilancio europeo. Infine, il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 si conclude invitando l’Alto Rappresentante a presentare proposte per “[…] l’istituzione di una capacità permanente di pianificazione operativa e condotta a livello strategico, il rafforzamento della pertinenza, utilizzabilità operativa e schierabilità degli strumenti di reazione rapida dell’UE” e, soprattutto, “elementi e opzioni per una cooperazione strutturata permanente inclusiva”.
Nel frattempo, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, il 30 novembre 2016, proponendo l’istituzione di un Fondo europeo per la difesa, aveva assunto un’iniziativa che, fino ad ora, sembrava preclusa alle istituzioni europee: finanziare direttamente, tramite il bilancio europeo e l’intervento della BEI, le spese militari, nel campo della R&S e delle collaborazioni industriali sovranazionali. L’ostacolo che doveva superare Juncker non era tanto la dimensione degli stanziamenti (molto contenuti nei primi anni), quanto affermare un principio nuovo. Va inoltre ricordato che l’istituzione di un Fondo europeo per la difesa è stato anche uno dei punti fondamentali del programma elettorale del nuovo presidente francese Emmanuel Macron.
Oggi è dunque possibile compiere un passo verso una difesa comune, valorizzando, con lo strumento della cooperazione strutturata permanente, le collaborazioni sovranazionali già esistenti nel settore militare. Nel 2004, quattro dei paesi fondatori – Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo – e la Spagna, hanno sottoscritto il trattato istitutivo dell’Eurocorps, entrato in vigore nel febbraio 2009, il quale prevede che i paesi partecipanti mobilitino fino a 60.000 uomini. Grecia, Italia, Polonia, Romania e Turchia ne fanno parte, ma solo con lo status di “nazioni associate”. Per fare un confronto con il precedente della CED, le forze complessivamente disponibili per la difesa europea sarebbero allora ammontate a 39.700 unità in tempo di pace ed a 46.900 in caso di conflitto bellico, vale a dire cifre inferiori a quelle previste dall’Eurocorps. La forza militare di cui è attualmente dotato quest’ultimo, nel 2002 ha ricevuto l’omologazione NATO quale forza di intervento rapido. Eurocorps, inoltre, all’inizio del 2016, ha firmato una lettera d’intenti con il Servizio esterno dell’UE al fine di rafforzare i legami tra le due organizzazioni, poiché Eurocorps – come indicato dall’Alto Rappresentante in risposta a una interrogazione da parte di un parlamentare europeo – “aspira a divenire, in futuro, il punto di forza militare privilegiato dell’UE”. Esso è quindi destinato a diventare anche la prima struttura operativa dei “battle groups”.
Come si è già detto, Francia e Germania hanno posto il problema di sfruttare le possibilità offerte dal Trattato di Lisbona, in particolare per quanto riguarda l’avvio di una cooperazione permanente nel settore della difesa. Francia e Germania, inoltre, attraverso la brigata franco-tedesca, forniscono la struttura operativa di Eurocorps. Affinché si compia un passo decisivo verso una difesa federale europea, una grande responsabilità pesa sull’Italia. Quest’ultima dovrebbe quanto prima decidere di aderire a Eurocorps nella qualità di “nazione-quadro” (framework-nation) e chiedere, nel contempo, che esso sia il fondamento di una cooperazione strutturata permanente. In questo modo, Eurocorps sarebbe inserito nei trattati europei e, quindi, risponderebbe del suo operato alle istituzioni europee, e in particolare al Parlamento europeo. Una soluzione che risponde, in gran parte, ai contenuti del documento italiano “La visione italiana per una difesa europea più forte”, diffuso a fine settembre 2016 e presentato al Parlamento europeo il successivo 11 ottobre.Adesione alla forza militare multinazionale europea e avvio della PESCO costituiscono il minimo politico-istituzionale verso una difesa federale europea.
*Domenico Moro è Membro dell’Unione Europea dei Federalisti e coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del CSF.
Pubblicato sul sito del Centro Studi sul Federalismo il 25 maggio 2017.