di Rossana Rossanda
I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali a Parigi sono stati un poco lugubri: al secondo turno accanto a Emmanuel Macron è uscita Marine Le Pen, con sette milioni e mezzo di voti, più del doppio di quanti ne avesse fatti suo padre nello scontro con Chirac nel 2002. Il risultato finale non è affatto sicuro.
Le cose sono andate finora così: il Partito Socialista aveva indetto le primarie per scegliere il candidato. Ma quando è uscito Benoît Hamon – uno dei leader della sinistra, l’altro era Montebourg – il Partito Socialista (PS) non è stato contento, a cominciare da Hollande. Credo sia stato Hollande medesimo a introdurre al governo Emmanuel Macron, giovane brillante economista, allievo della banca Rothschild. Senonché Macron, a un anno delle elezioni presidenziali, ha deciso per conto suo di presentarsi, contando sul fatto che il PS non si sarebbe mobilitato per Hamon.
E infatti è andata cosi: nell’aprile 2016, Macron ha fatto sapere che avrebbe concorso alle elezioni. Hollande non lo ha appoggiato, ma lui si è presentato ugualmente nel novembre 2016, lanciando a proprio sostegno non un partito ma un “movimento”, En Marche. La sua fortuna è stata fulminea, dovuta anche al fiasco del partito di destra classico, Les Républicains, il cui candidato François Fillon, già premier di Sarkozy, ha rappresentato la destra classica, ma è sprofondato in una sordida storia di compensi per moglie e figli come assistenti parlamentari. Quando questo pasticcio è uscito, ha rifiutato di ritirarsi: risultato, è rimasto escluso dal secondo turno della competizione elettorale. Emmanuel Macron puoi vantarsi di aver liquidato i due interlocutori classici delle elezioni post-gollista, Partito Socialista e Les Républicains.
Analizzando il voto del primo turno, la Francia appare divisa in due, socialmente e geograficamente. Socialmente, Marine Le Pen è stata votata soprattutto da povera gente: con meno di 3.000 euro di reddito l’anno, e priva di istruzione medio-alta. Macron ha raccolto i voti della classe media (comprendendo anche gli operai) decisa di abbandonare la sinistra e di quelli che avevano un diploma medio-superiore. Nella competizione si è inserito anche un uomo di sinistra, Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise), che non ha voluto unire i suoi voti a quelli di Hamon (considerando il PS più o meno un traditore della classe operaia) ed è risultato quarto al primo turno. Ecco i risultati principali:
Emmanuel Macron: 8.657.326 voti (24,01 %); Marine Le Pen: 7.679.493 voti (21,30%); François Fillon (primo escluso): 7.213.797 voti (20,01%), cioè 450.000 voti meno di Marine Le Pen; Jean-Luc Mélenchon (secondo escluso): 7.060.885 voti (19,58%); Benoît Hamon (quinto ma con molto distacco): 2.291.565 voti (6,36%).
Geograficamente, la Francia appare divisa fra Nord-Est e Sud-Ovest, il primo tutto in preda al Front National, salvo Parigi e Lille, e il Sud-Ovest, in gran maggioranza su posizioni anti-Le Pen, con un paio di dipartimenti a sinistra e qualche altro al Fronte Nazionale. I due candidati operai, di tendenza trotzkista, molto simpatici in televisione, sono usciti quasi ultimi, Nathalie Arthaud 0,64% e Philippe Poutou 1,09%. Tutti, salvo Jean-Luc Mélenchon, hanno dato la parola d’ordine “votare contro il Front National di Marine Le Pen” (Mélenchon si [è riservato] di interpellare prima i suoi iscritti e di far sapere la decisione venerdì prossimo).
Oltre alla differenza sociale (occupazione e cultura), c’è una ulteriore differenza fra i votanti dei due candidati. Marine Le Pen è la candidata che ha avuto più voti nella maggioranza dei comuni, che in Francia sono molto frammentati, mentre Macron prevale nelle città. Non si può essere certi – quali che siano gli appelli delle altre forze politiche – che essa sia sconfitta fin da oggi.
Nella campagna elettorale, Marine Le Pen ha mantenuto qualche differenza da suo padre (ha smentito gli attacchi di lui agli ebrei; ha però considerato responsabili del più grande rastrellamento
anti-ebraico a Parigi nel 1942 – al Vel d’Hiv – le forze di occupazione tedesche, rendendone innocente la Francia), la sua parola d’ordine è stata “Je suis le Parti du peuple”, indicando i nemici del popolo nell’Unione europea e nella finanza, nonché impegnandosi contro i migranti, sospettati di introdurre di fatto i simpatizzanti dell’ISIS (di qui la sua richiesta di finirla con l’accogliere i migranti e di espellere tutti quelli fra di loro che sono indicati come potenzialmente pericolosi, quelli con “schede S”). In generale la sua campagna è stata realmente protezionista e populista; purtroppo abbastanza vicina a quella di Jean-Luc Mélenchon, sul quale cadono oggi i fulmini di tutti i “democratici per bene”.
Il primo turno delle presidenziali indica realmente un crollo dei partiti democratici tradizionali e in particolare dei socialisti; e ugualmente una reale affermazione del Front National che è una prima assoluta nella storia della Repubblica. La mancanza di coesione fra gli altri partiti, e sostanzialmente l’isolamento di un debole Partito Socialista, rendono possibile, almeno in via di principio, la vittoria di Marine Le Pen come presidente. Le conseguenze politiche per la Francia e quelle per l’Europa sono evidenti.
Una risorgenza della sinistra è tutta da inventare. Non sembra che essa possa nascere dal PS e l’estrema sinistra è troppo debole. Non ci sono che poche manifestazioni antifasciste […] ma non è un partito particolare a indirla.
Naturalmente un esito vittorioso di Le Pen creerebbe non pochi problemi per la successiva scadenza elettorale, le elezioni legislative si terranno l’11 e 18 giugno. In realtà non sembra che siano verosimili né una maggioranza di governo, né una di opposizione. In conclusione, in Francia tira la stessa cattiva aria che nel resto d’Europa. Non sembra che l’opinione pubblica se l’attendesse. Emmanuel Macron, da parte sua, non sembra rappresentare un incrollabile baluardo contro l’estrema destra, al contrario.
Pubblicato su Sbilanciamoci! il 27 aprile 2017.