Bruxelles – Le linee guida negoziali non sono cambiate e difficilmente cambieranno, ma il Vertice di capi di Stato e di governo dell’Ue di domani, il primo di natura formale a 27 sulla Brexit, aggiunge un capitolo tutto nuovo al processo. Si prende in considerazione l’ipotesi di un’Irlanda unita, con l’Ulster ricongiunto all’Eire. “Posso confermare che ci aspettiamo che il premier irlandese chieda di inserire una dichiarazione su questo nelle linee guida”, confermano addetti ai lavori. Il Consiglio ufficialmente sostiene l’accordo del Venerdì santo, che di fatto ha risolto la questione irlandese concedendo autonomia all’Irlanda del Nord, e l’unica cosa che chiede è di non costruire una frontiera fortificata. L’iniziativa del primo ministro irlandese, Enda Kenny, guarda avanti. Nel caso in cui un domani si dovesse avere un’Irlanda unita (come già era scritto nell’accordo del Venerdì santo), si dovrebbe applicare la stessa politica di adesione concessa all’allora Germania est, che entrò automaticamente nell’Ue in quanto unita alla Germania ovest già membro. E’ questo l’unico vero cambiamento, che pone però sul piatto, anche se è definita solo “una puntualizzazione”, un elemento che potrebbe avere risvolti pesanti sul negoziato, di un Vertice destinato a non produrre nulla di più di un arrivederci a giugno. E’ per il Consiglio del 22 e 23 giugno, cioè dopo le elezioni generali nel Regno unito, che si intende avere pronti tutti gli strumenti per poter negoziare, incluse le modalità per il trasferimento di Eba ed Ema da Londra.
I presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, intendono discutere il processo di spostamento dell’Autorità bancaria europea e dell’Agenzia europea per il farmaco immediatamente, per essere certi che gli organismi Ue continueranno a stare su suolo Ue anche una volta che il Regno Unito non farà più parte dell’Unione europea. Grandi novità non sono previste: resta fermo il principip per cui “niente è deciso finché non è deciso” e l’approcio “per fasi” dell’Ue. Vuol dire che finché non ci saranno progressi “significativi” e sufficienti nelle principali aree negoziali per l’uscita di Londra, non si inizierà a parlare di relazioni bilaterali future. E’ ribadito nella lettera di invito che il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha inviato ai leader come sempre avviene alla vigilia dei summit. “Non è solo una questione di tattica, è il solo approccio possibile data la limitata disponibilità di tempo”. Due anni possono sembrare tanti, ma non lo sono. E per metà 2019 si vuole Londra fuori dall’Ue.
I nodi principali restano i diritti dei cittadini (quelli Ue nel Regno Unito e quelli britannici nell’Ue), il pagamento dei contributi di bilancio (anche post-2020, visto che alcuni progetti, specie quelli nel campo della ricerca, hanno finanziamenti che vanno oltre l’attuale budget settennale), e poi la questione irlandese. Non si vuole un confine fortificato tra Ulster ed Eire, per un tema che, ammettono a Bruxelles, “richiederà flessibilità e immaginazione”. Sempre che l’evocazione di una sola Irlanda non finiscano con indispettire Londra. Tusk, nella lettera ai leader è chiaro: risultati su cittadini, soldi e Irlanda “devono avere la priorità”.
Si vuole un accordo, e anche questo è un altro punto fermo dei leader dei 27 che domani si vedranno a Bruxelles. Si è consapevoli delle difficoltà e della posta in gioco, tanto che con realismo si riconosce che “uno scenario di non-accordo non va escluso”, anche se l’obiettivo è scongiurare una simile ipotesi. L’Unione europea appare determinata, come dimostra il fatto che le elezioni britanniche indette per l’8 giugno non modificano il calendario di lavoro negoziale. Da domani in poi, il negoziatore capo della Commissione, Michel Barnier, sarà regolarmente invitato alle riunioni su Brexit. Per due motivi: per tenere aggiornati i leader e agevolare il dibattito tra di loro, e per sottolineare la fiducia nella persona che rappresenterà i 27 nel momento in cui i negoziati con Londra entreranno nel vivo. Il calendario per quel momento si annuncia serrato. Praticamente ci sarà una seduta negoziale al giorno, ammettono fonti comunitarie.
Michel Barnier ha già previsto sei riunioni a settimana con il suo grupo di lavoro, cui si aggiungeranno riunioni regolari con il gruppo Articolo 50, costituito dai rappresentanti degli Stati membri. Si prevedono una paio di riunioni a settimana del Coreper, l’insieme degli ambasciatori dei Ventisette, solo per discutere di Brexit. Ogni mese, poi in occasione del consiglio Affari generali, il dossier sarà oggetto di discussione dei ministri. Questo nel caso in cui tutto vada bene. Perchè nello scenario che tutti voglioni scongiurare, quello di zero accordi dopo due anni, si dovrebbe procedere a colpi di accordi provvisori per permettere l’uscita di Londra e la definizione di nuove relazioni.
Per quanto riguarda il futuro quadro finanziario dopo il 2020, sono attualmente in corso calcoli e simulazioni per valutare gli effetti sui vari bilanci, e ovviamente anche su quello italiano, dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. “Da una prima valutazione – spiega una fonte del Consiglio Ue – , gli impatti dovrebbero essere marginali, limitati, sia nel caso in cui il buco di bilancio lasciato dal Regno Unito venisse rimpinguato dai contributi dei rimanenti 27 Stati membri, sia nel caso di una riduzione del bilancio comunitario tout court”.
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