Autore: Federico Maria Ferrara
Traduzione: Veronica Langiu
Il contesto
Nell’ultimo decennio, l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF) è stato un tema ricorrente nel dibattito politico europeo. Proposta per la prima volta nel 1978 dall’economista americano James Tobin, la TFF – detta appunto anche “Tobin Tax” – è stata concepita per contrastare la precarietà dei mercati finanziari ed evitare crisi finanziarie. Tuttavia, prima dell’inizio della Grande Recessione e della crisi dell’Eurozona, il progetto di una TTF europea non è mai decollato. Già all’inizio del 2000, infatti, il Parlamento Europeo ha rifiutato una risoluzione che avrebbe chiesto alla Commissione di studiare l’attuabilità di tale provvedimento. Successivamente, la questione è stata riportata all’attenzione dalla Presidenza belga nel corso dell’ECOFIN del 22 settembre 2001 a Liegi, ma, anche in quel caso, la discussione è stata presto interrotta.
È soltanto dopo il 2008, che l’idea di una TTF è stata presa in considerazione seriamente. Dopo una richiesta emersa nel corso del vertice del G20 del settembre 2009, il Fondo monetario internazionale ha iniziato a esaminare una tassa sulle transazioni finanziarie come un possibile strumento per salvare istituzioni finanziarie in condizione di default e rimuovere l’onere del debito dalle spalle dei contribuenti. Contestualmente, i leader dell’UE hanno rinnovato il loro interesse per l’iniziativa e la Commissione europea ha incalzato il processo. La prima proposta concreta di TFF risale al 28 settembre 2011 e ha l’obiettivo di armonizzare la base imponibile e le aliquote minime stabilite relativamente a tutte le transazioni sui mercati finanziari secondari. Tuttavia, già nella prima metà del 2012, in occasione dell’Ecofin i Ministri europei delle Finanze si sono resi conto che non sarebbe stato possibile ottenere velocemente un consenso per una TTF su scala europea.
Una seconda proposta, presentata il 14 febbraio 2013, ha integrato la proposta originaria della TTF, con un rafforzamento delle regolamentazioni anti-delocalizzazione e anti-abuso. In questa occasione i termini dell’iniziativa sono stati delineati in maniera chiara e la Commissione è stata in grado di stimare un introito annuo pari a 30-35 miliardi di euro. In seguito a questa seconda iniziativa, il Consiglio ha preso in mano il dossier coinvolgendo una vasta gamma di attori. Tuttavia, nonostante gli sforzi della Commissione per promuovere il processo, e malgrado i significativi passi avanti, nel corso degli ultimi anni, l’iniziativa sembra avere perso rilievo politico a causa delle divergenze tra gli interessi degli Stati membri dell’Ue.
Le fratture politiche
L’iniziativa intergovernativa sulla TTF si è intensificata nella primavera del 2012, quando i ministri delle finanze di nove paesi (Francia, Germania, Italia, Spagna, Belgio, Austria, Portogallo, Finlandia e Grecia) hanno chiesto alla Presidenza danese di prendere in considerazione progetti alternativi ad una TTF pan europea. Nonostante il “fallimento”, l’iniziativa ha permesso di delineare una coalizione di Stati Membri a sostegno della TTF. Infatti, la coalizione si è presto consolidata includendo anche Slovacchia ed Estonia, al fine di creare il cosiddetto “gruppo degli undici”. In occasione dell’ECOFIN del 22 gennaio 2013, è stato quindi dato il via a una procedura di stretta cooperazione (prima di allora tale procedura era stata attivata solo due volte). Ulteriori progressi nella definizione dei termini della TTF sono stati annunciati successivamente dal ministro delle finanze italiano, Pier Carlo Padoan, alla fine del 2014, durante il semestre di presidenza italiano.
Il progresso dell’iniziativa tra il 2012 e il 2014 può essere letto come il risultato naturale della convergenza franco-tedesco sulla necessità di una Tobin Tax a livello europeo. Da un lato, la Francia ha sempre dimostrato un sostegno incondizionato al progetto, sia durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, sia durante quella di François Hollande. Dall’altro, anche in Germania, sia la CDU (centro-destra), che la SPD (centro-sinistra), hanno sempre visto di buon occhio la TTF. A testimonianza dell’importanza dell’asse franco-tedesco va ricordata una lettera congiunta datata 2010, firmata dai Ministri delle Finanze di Francia e Germania, Christine Lagarde e Wolfgang Schäuble, e inviata alla Presidenza belga dell’UE.
Preoccupata dell’impatto di una TTF sulla città di Londra, la Gran Bretagna invece non ha mai nascosto la il proprio scetticismo nei confronti di una misura che non avesse portata globale. Nel mezzo delle trattative del 2013, l’ex cancelliere britannico, George Osborne ha contestato il piano dell’UE in materia facendo riferimento a elementi quali “scarsa progettazione, pessimo tempismo ed extraterritorialità illegittima”. Lo stesso ex-Primo ministro britannico, David Cameron, ha posto il veto all’iniziati va, precisando, allo stesso tempo, che Francia e Germania erano libere di andare avanti per la loro strada . All’opposizione britannica ha fatto anche eco il ministro delle Finanze svedese Anders Borg, che ha motivato la sua contrarietà con riferimento alla turbolenta esperienza economica seguita all’introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie nel 1980. Inoltre, Borg ha sottolineato che una TFF avrebbe potuto danneggiare società di investimento svedesi, partner importanti di imprese come Volvo ed Eriksson.
Tuttavia, dato che il contesto istituzionale dell’Unione europea consente ai paesi riluttanti di dissociarsi, rimane l’interrogativo: perché il Gruppo degli Undici non è ancora stato in grado di trasformare in realtà la TTF? La prima ragione è economica e ruota attorno ai potenziali svantaggi dell’applicazione di una tassa sulle transazioni finanziarie in un sottogruppo di Stati membri dell’UE. Infatti, la misura potrebbe comportare una deviazione del capitale finanziario dai paesi con la TTF verso altri Stati membri, determinando effetti negativi di crescita, senza però generare un significativo gettito fiscale. La seconda ragione, più politica, è da attribuire alle divergenze sostanziali riguardo ai termini di attuazione della TTF all’interno del “gruppo degli undici”. In particolare, l’inclusione dei titoli di Stato tra gli strumenti finanziari soggetti a tassazione, ha rappresentato uno degli elementi più critici. Il rappresentante permanente dell’Italia a Bruxelles, Ferdinando Nelli Feroci, ha parlato dell’esclusione dei titoli di Stato dalla TTF come una linea rossa che l’Italia non è disposta a varcare. Una complicazione non da poco, visto che l’inclusione, o meno, di titoli di Stato tra gli strumenti finanziari soggetti a tassazione, altera in maniera significativa le previsioni di gettito derivanti dalla TFF. Ed è proprio a questa complicazione che va ricondotto lo slittamento di un accordo.
Anche le istituzioni sovrannazionali hanno avuto un ruolo importante nel determinare il destino della tassa sulle transazioni finanziarie. In primo luogo, nel mese di aprile 2013 il Regno Unito ha presentato un reclamo formale in merito alla TTF dinnanzi alla Corte di giustizia dell’unione europea. Un anno dopo, la Corte di giustizia ha però respinto il ricorso da parte della Gran Bretagna sostenendo che, venuta meno l’adozione della proposta, il Regno Unito era autorizzato a procedere legalmente solo verso il “gruppo degli undici”, guidato da Francia e Germania. La Corte di giustizia europea ha quindi giocato un ruolo chiave nel far sì che la proposta non fosse del tutto respinta. Analogamente, il Parlamento Europeo, e in particolare, i deputati del Gruppo dei Verdi e dei Sociailsti & Demcoratici, hanno spesso espresso entusiasmo nei confronti della proposta, anche se il loro ruolo nel determinarne l’avanzamento è stato marginale. Una posizione più cauta sull’attuabilità e sulla convenienza della TTF è stata invece presa dalla Banca Centrale Europea. Sia l’ex presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, nonché il Governatore in carica, Mario Draghi, si sono detti preoccupati riguardo al possibile impatto sul livello degli investimenti, dovuto all’adozione della TTF.
E adesso?
Dopo il 2014, i progressi sulla TTF sono entrati in una fase di stallo, senza sviluppi significativi a livello intergovernativo. Tuttavia, il risultato del Referendum britannico sull’UE del 23 giugno 2016 potrebbe avere un forte impatto sul raggiungimento di un compromesso politico nel corso dei prossimi mesi. Come sostiene il professor Simon Hix della London School of Economics, l’assenza del Regno Unito dal Consiglio dell’UE e dal Parlamento potrebbe tradursi in una maggioranza più forte a favore della TTF. Lo scenario delineato da Hix, assume un rilievo particolare soltanto nel caso di un’esclusione del Regno Unito dal Mercato Unico. Tale prospettiva renderebbe infatti più difficile spostare facilmente capitali dal resto dell’Europa verso paradisi fiscali, attraverso Londra.
Inoltre, i termini dell’accordo della Brexit definiranno anche se ci sarà un’eventuale ri-localizzazione dei servizi finanziari dal Regno Unito verso il Continente. Secondo quanto emerso da una recente intervista a Eva Sas, eurodeputata del Gruppo dei Verdi, gli interessi dei singoli Stati membri dell’Unione europea potrebbero cambiare radicalmente se la City dovesse perdere il suo ruolo di centro finanziario. Infatti, sia Francoforte che Parigi cercheranno di sfruttare al meglio la Brexit al fine di spodestare Londra dal suo ruolo di hub finanziario dell’UE. Dovessero riuscirci, i nuovi interessi finanziari interni ai due Stati potrebbero entrare in conflitto con l’annosa ambizione franco-tedesca di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo.