Le scritte contro Don Ciotti e ora anche quell’altra inneggiante alle Brigate Rosse apparsa a Palermo stanno suscitando allarme e indignazione di autorità e mass-media come se quattro scarabocchi su un muro fossero i prodromi di una nuova strategia del terrore, di un’imminente insurrezione malavitosa. Ma la malavita non ha bisogno di proteste per prosperare, anzi preferisce la calma e gli antagonisti più che imbrattare spaccano. Sembra quindi che come al solito sia la stampa che ingigantisce fatti di poco rilievo procurando insperata visibilità al gesto isolato di un paio di idioti.
Ma è anche vero che l’Italia intera ha perso dimestichezza con i graffiti e si è ormai dimenticata il nostro glorioso passato di polemica murale. Da troppo tempo i tanti graffiti che deturpano il nostro paesaggio urbano non hanno contenuto, non dicono nulla, servono solo a saziare l’egotismo di qualche esibizionista. Niente più parole fatali e profonde che avrebbero meritato il marmo e che in un certo qual modo proseguivano la nostra antica tradizione epigrafica. Oggi nient’altro che schizzi autocelebrativi che non hanno nulla da dire ma vogliono solo sporcare.
Dove sono finite le grandi disfide spray degli anni Settanta e Ottanta quando a partire da una scritta su un muro si scatenavano raffiche di repliche in rosso e in nero? E accanto ai classici slogan si infilava spesso anche qualche burlone che ravvivava lo slancio poetico dello scambio. Come quell’intervento critico che apparve un’estate su un muro di Ferrara sotto una scritta inneggiante al noto esponente di Ordine Nuovo: VIVA FREDA diceva e qualcuno una notte corresse, sopra e sotto: VIVA LA BIRA FREDA GIAZÀDA (Viva la birra fredda ghiacciata). Oppure quell’altra in tono risorgimentale che già rivendicava un federalismo emiliano e su un muro di Bologna diceva: FRIGNANO LIBERO E PAVULLO CAPITALE. Chiara testimonianza della forte presenza in città di studenti di Pavullo nel Frignano, irredento comune modenese. Oppure quella del nichilista che su un portone dell’Università di Bologna proclamava: DIO È MORTO e si firmava NIETZSCHE subito corretta con un NIETZSCHE È MORTO, firmato DIO.
O ancora le scritte postmoderne degli anni del riflusso, quando già cambiavano i colori e si smorzava il contenuto? Come quella che prendeva tutta la facciata di una palazzina di marmo dei Parioli a Roma e in un verde corsivo diceva: NESSUNO POTRÀ MAI NEGARE CHE IL MARE NON ASSOMIGLI UN POCO A TE, corretta in rosso stampatello con: QUANNO PISCI! Di questi fieri scambi oggi non resta niente. I graffitari dei tempi moderni sono cupi individualisti, ripiegati su se stessi, incapaci di parlare al mondo. Dove un tempo torreggiava l’universale VIVA LA FIGA, oggi palpita melenso l’ombelichista SCRICCIOLO TI AMO, dove ammoniva coraggioso il motto UNA RISATA VI SEPPELLIRÀ ora blatera telegrafico un pedante NO TAV.
E anche le porte dei cessi pubblici che un tempo erano bacheche di invettiva, protesta, sfogo erotico e lamenti d’amore oggi sono di plastica, la biro non ci scrive e poi nessuno la usa più. Così inconsapevoli nuove generazioni si impressionano al primo debuttante che spruzza su un intonaco una falce e martello alla rovescia e inneggia alle Brigate Rosse senza essere neppure capace di disegnare una stella a cinque punte.