Alla fine è andata meglio del previsto. La Dichiarazione di Roma non è il “documenticchio di Bratislava“, si vede che sono passati sei mesi da quella frettolosa riunione che doveva aprire la strada alla nuova Unione europea a Ventisette, dopo la Brexit.
Il governo italiano ci teneva, e alcuni fattori hanno aiutato ad arrivare ad un documento politico impegnativo, che ha dei contenuti piuttosto chiari. Non è ancora “l’Europa di domani”, ma ci sono impegni precisi e obiettivi chiari. La Dichiarazione di Roma è un documento di intenti, non una nuova organizzazione dell’Europa, non doveva esserlo e in questa chiave va letto. Ci sono dentro molte cose ma non troppe, ed ora sta ai capi di governo mantenere gli ambiziosi impegni presi e impegnarsi in quel senso.
Ci sono, nel breve testo, alcune parole chiave, come “unità”, “insieme”, “cittadini”, “trasparenza”. Non sono parole messe solo per retorica. Riaffermare l’unità è il minimo necessario, è vero, ma il documento indica anche su quali politiche questa unità va dimostrata. Non sarà facile, ovviamente, ma l’aver insistito così tanto sugli aspetti sociali, in una convergenza tra le idee del popolare Jean-Claude Juncker e l’esponente della sinistra Alexis Tsipras, l’aver scritto un paragrafo lungo, dettagliato sulla dimensione sociale non è banale. E’ un impegno preso in maniera solenne, che rinnova, aggiorna il contenuto politico dei testi approvati 60 anni fa.
Si poteva fare di più, certamente. Si sarebbero potute indicare nel dettaglio le politiche a favore dei giovani, o per l’Unione monetaria, fiscale, per la difesa comune.
In realtà però questo documento, se sarà rispettato, perché lì è la chiave ovviamente, è impegnativo per tutti, per i polacchi che di fatto accettano la doppia velocità e l’enfasi sul valore dello stato di diritto, ma vedono garanzie per i propri lavoratori nell’Unione, come per i Greci, che vedono riconosciuta la diversità dei sistemi di protezione sociale e i diritti dei lavoratori, ma accetta di fare le riforme che l’Unione ritiene necessarie.
Il testo parla di esigenza di sicurezza, dritti di tutti i cittadini, giovani, piccole e medie aziende, di lasciare a livello nazionale quelle politiche che lì meglio possono essere realizzate, evitando imposizioni “dall’Europa”. Ci sono, a nostro giudizio, risposte alle richieste che vengono dalla società, c’è un tentativo di riportare i cittadini a sentirsi parte dell’Unione.
E c’è questa volta qualcosa che sessanta anni fa non poteva esserci: il Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini dell’Unione. Non dobbiamo farci illusioni retoriche sul ruolo che i deputati europei possono giocare, spesso i loro legami con i governi nazionali sono forti, ma, come ha detto il presidente Antonio Tajani, il Parlamento europeo “vigilerà” sull’implementazione di questi impegni. Ecco, il ruolo del Parlamento, se Tajani e gli altri deputati lo faranno rispettare, potrà essere decisivo in questa “fase costituente” come l’ha definita il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E anche i cittadini dovranno fare la loro parte, il loro voto peserà a livello europeo, e questo documento apre al controllo democratico e alla partecipazione. Toccherà anche a noi fare in modo che l’impegno preso dai capi di Stato e di governo venga rispettato.