Roma – Tutto è andato come previsto. Nessuno sgambetto al governo nell’Aula di Palazzo Madama. La mozione di sfiducia contro il ministro dello Sport, Luca Lotti, è stata bocciata da 161 senatori che hanno espresso parere contrario. A votare a favore il gruppo M5S, che aveva presentato la mozione contro il braccio destro del segretario uscente del Pd, Matteo Renzi, in seguito all’indagine su Lotti per una fuga di notizie nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Consip, vicenda in cui è conivolto anche Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio.
A togliere la fiducia al ministro, dunque, non è bastato il contributo della Lega Nord e di Sinistra italiana, che hanno sostenuto l’iniziativa pentastellata. Neppure gli ex dem, che hanno formato il Movimento democratico e progressista con altri fuoriusciti da Sinistra italiana, hanno accolto la mozione. Mdp ha preferito non partecipare al voto, e chiede non la sfiducia ma la revoca delle deleghe affidate a Lotti, con una mozione di censura che verrà presentata nel caso il ministro non si dimetta di propria iniziativa, cosa che non ha nessuna intenzione di fare dal momento che considera “calunnie” le accuse a suo carico. Un modo, quello individuato da Mdp, per continuare ad attaccare l’arci-nemico Renzi, senza tuttavia mettere a rischio l’esecutivo.
Anche Forza Italia ha optato per assentarsi dall’Aula, come il gruppo dei Conservatori e riformisti. Una decisione garantista, sostengono i senatori forzisti, che con la loro scelta hanno scongiurato di fatto ogni possibilità che la sfiducia a Lotti passasse. Una mossa che sembra dare ragione a chi sostiene che il patto del Nazareno, stipulato tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi nel 2014, viva di alti e bassi, ma non sia mai stato definitivamente sepolto.
L’esecutivo, pur essendo riuscito a spuntarla con una maggioranza attestata a quota 161, e cioè con il minimo indispensabile, non sembra dunque a rischio, perché tanto l’assenza di Forza Italia quanto quella di Mdp indica che entrambe le formazioni sono disposte a forme di sostegno necessarie a disinnescare i pericoli di elezioni anticipate.