Quando si parla di politica estera, pochi considerano le posizioni politiche e ideologiche, come se le scelte di politica internazionale siano determinate da interessi nazionali, tradizioni, storia, piuttosto che dalle alternanze di governo. Naturalmente, in molti casi le politiche estere nazionali vengono effettuate in continuità indipendentemente dal colore del governo. E a volte nascono amicizie inaspettate o alleanze che attraversano il divario destra-sinistra, come ad esempio gli anni dell’intesa Bush-Blair.
A volte gli orientamenti politici del governo sono una questione non approfondita dagli osservatori di politica estera. Questo elemento non è stato veramente esaminato in questo affascinante dibattito sul ruolo della Germania in Europa, che da un paio di anni ha catturato l’attenzione degli analisti di politica estera. I termini generalmente concordano sulla lamentata incapacità della Germania a pensare ‘strategicamente’ il suo ruolo internazionale e l’assenza di leadership e visione in Europa.
Le ragioni dietro a questa analisi rendono il dibattito affascinante: l’eredità della storia, la tradizione di pensare solo a interessi commerciali, senza i collegamenti con il resto della politica, è difficile cambiare la mentalità, i dilemmi morali che i tedeschi sembrano voler affrontare ex ante, il bisogno di un qualche tipo di visione hegeliana del tutto prima di prendere qualsiasi decisione.
Sono d’accordo con la denuncia di Jan Techau che ci sia un vuoto strategico nel cuore dell’Europa. La Germania è il paese più grande e potente: se vuole la leadership sulle questioni economiche, ha bisogno di essere all’altezza delle sue conseguenti responsabilità politiche e internazionali. Ma allo stesso tempo non vorrei che fosse l’attuale Germania a prendere l’iniziativa strategica. Guardando le scelte effettive che il governo ha fatto in numerose questioni internazionali, vedo le posizioni del partito politico, non solo le posizioni del paese.
Per come stanno le cose oggi, se l’UE dovesse avere una leadership della politica estera tedesca (e, tra l’altro, su alcuni temi lo fa), avremmo: una relazione fallita con la Turchia, che probabilmente sarebbe diventata antagonista; l’allargamento ai Balcani avrebbe probabilmente sarebbe stato bloccato per un radicato sentimento anti-serbo; una tavola imbandita per la Cina e, il più delle volte, anche per la Russia, nell’interesse delle imprese; nessuna politica di sorta verso il Nord Africa e del Medio Oriente oltre la vendita di lavatrici, automobili, armi e qualsiasi altra cosa la Germania vende ai ricchi arabi; sostegno incondizionato per i leader politici con la stessa appartenenza ideologica del partito principale di governo a Berlino, a prescindere dal fatto che sia intelligente farlo (e, tra l’altro, i motivi morali per essere gentili con Putin o Yanukovich non sono molto evidenti); ancora meno capacità di fare progressi in materia di cooperazione europea di difesa (ricordate la fusione fallita EADS-BAE).
Molti sostengono che questi esempi sono un riflesso della incapacità della Germania di assumere il ruolo di un leader strategico all’interno del quadro Ue. Forse, è possibile. Ma cosa succederebbe se questi fossero il frutto di decisioni politiche consapevoli? Sembra che su tutti questi temi l’Unione Cristiano-Democratica abbia idee piuttosto chiare. Infine, se la leadership tedesca nella politica internazionale dovesse provocare le fratture derivate dalla sua leadership della crisi economica, l’UE, che è già divisa da sola, può farne a meno. Così, la ricerca della leadership resta una questione aperta.
Rosa Balfour