Roma – Se l’integrazione europea fosse una corsa ciclistica, saremmo di fronte a una delle salite più dure. Nel momento in cui inizia la salita, perché “nelle opinioni pubbliche europee serpeggiano sentimenti di diffidenza e di stanchezza nei confronti del progetto comune”, come indica il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, un gruppetto di quattro battistrada decide di accelerare il passo lasciando indietro il gruppo, confidando che una volta in cima basterà attendere per vedere arrivare il resto dei partecipanti, ognuno con il proprio ritmo.
È con questa metafora sportiva che si può ben riassumere il valore dell’incontro organizzato dal presidente francese Francois Hollande a Versailles, con Gentiloni, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, i quattro corridori in fuga verso il traguardo di una più stretta Unione europea.
Serviranno “le cosiddette cooperazioni differenziate, a due velocità”, indica Hollande, “di modo che alcuni paesi possano andare più veloci in campi come la difesa” – il terreno sul quale i quattro Paesi riuniti a Versailles sono pronti a utilizzare l’inesplorato strumento della cooperazione strutturata permanente – o come “l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria con l’armonizzazione fiscale”, aggiunge l’anfitrione. Certo, precisa, che alcuni paesi vadano “più veloce non deve comportare che “altri siano lasciati troppo indietro”, ma neppure “che possano opporsi” agli scatti di chi intende accelerare il passo.
Quella di non dare l’impressione che la fuga sia una voglia di sganciarsi definitivamente dal resto del gruppo è una preoccupazione comune ai quattro leader. Gentiloni richiama il libro bianco della Commissione europea, che “ci ha dato una cornice” dentro la quale “i nostri paesi, i 27, devono fare delle scelte”. Quella del governo italiano è per una Unione europea più integrata, ma che consenta anche diversi livelli” di coinvolgimento, “perché è giusto che i Paesi possano avere ambizioni diverse di integrazione e che l’Unione possa dare a queste ambizioni diverse risposte diverse, mantenendo un progetto comune”.
I quattro sono tutti d’accordo sulla necessità di procedere a più velocità, dunque, e altrettanto unanimi nel voler compiere nell’ambito della difesa il primo strappo a una velocità diversa dagli altri. Sulle priorità per la maggiore integrazione che invocano, tuttavia, non sembrano convergere del tutto.
Sono concordi nell’identificarle nella difesa comune, appunto; nella protezione delle frontiere per poter garantire la libera circolazione; in una politica estera più coesa e che si occupi di Africa e sia più incisiva nella soluzione delle crisi internazionali; nella ricerca di ricette in grado di stimolare crescita e occupazione; nella costruzione della dimensione sociale dell’Ue. Le divergenze emergono sull’ordine di importanza che ognuno assegna alle diverse questioni.
Comprensibile che Hollande – dopo gli attentati che da Charlie Hebdo a Nizza, passando per il Bataclan, hanno insanguinato il suo Paese – dica che la “prima priorità da assumere è che l’Europa garantisca la propria protezione e la propria sicurezza”. Altrettanto prevedibile ascoltare da Gentiloni, rappresentante di uno dei Paesi con la più bassa crescita e la più alta disoccupazione in Europa, che bisogna intervenire “innanzitutto sul campo economico e sociale”, perché “abbiamo bisogno di un’Europa che guardi alla crescita e agli investimenti”. Rajoy, leader di un Paese affacciato sul Mediterraneo, ritiene si debbano affrontare “innanzitutto le politiche migratorie, agendo a monte in quei territori da cui viene il problema”. Infine per Merkel, alla quale le aperture sull’immigrazione sono costate una pesante batosta elettorale, “si tratta di avere un’Ue sicura: dobbiamo proteggere le frontiere esterne e cooperare meglio nella difesa”.
Bisognerà dunque vedere se i quattro riusciranno a essere affiatati nel darsi i cambi per dare respiro alla fuga, o se alla lunga diventeranno litigiosi, lasciandosi riprendere da un gruppo che sembra non avere molta fretta di arrivare alla volata, ma dal quale si spera nessuno si debba ritirare come farà il Regno unito.