di Ambrose Evans-Pritchard
Ampie passività stanno venendo silenziosamente trasferite dalle banche private e dai fondi di investimento ai contribuenti di tutta l’Europa del sud. Si tratta di una variante del tragico caso della Grecia, ma questa volta su scala più ampia e con implicazioni sistemiche globali.
Non c’è stata alcuna decisione democratica da parte dei parlamenti di sobbarcarsi questi oneri fiscali, che si stanno rapidamente avvicinando ai mille miliardi di euro. Si tratta degli effetti collaterali del quantitative easing operato dalla Banca centrale europea (BCE), che è degenerato in un canale per la fuga dei capitali dal Club Med [i paesi mediterranei, N.d.T.] verso la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi.
Questa “socializzazione dei rischi” sta avvenendo in maniera furtiva, come una sorta di effetto meccanico del sistema di pagamenti TARGET2 della BCE. Se nel corso dei prossimi mesi uno sconvolgimento politico in Francia o in Italia dovesse dare il via a una crisi esistenziale dell’euro, i cittadini dei paesi dell’eurozona, sia dei paesi debitori che dei creditori, scoprirebbero con orrore ciò che gli è stato fatto.
Questo rischio è concreto. Proprio ora, mentre sto scrivendo, quattro dei cinque articoli in evidenza sul giornale finanziario francese Les Echos riguardano scenari di rottura dell’euro. Non ricordo ci sia mai stato un dibattito così aperto su questo tema sulla stampa continentale in nessun periodo della storia del progetto euro.
Come al solito sono i mercati del debito a fare da barometro dello stress. Mercoledì i rendimenti sui titoli biennali tedeschi sono scesi al minimo storico dello 0,92 per cento, segno che sta accadendo qualcosa di strano. «Stanno di nuovo suonando i campanelli d’allarme. Il nostro flusso di dati rileva una fuga di capitali verso i porti sicuri della Germania. Sembra il crescendo della crisi dell’eurozona che ci fu nel 201», ha detto Simon Derrick di BNY Mellon.
Il sistema TARGET2 è progettato per regolare automaticamente i conti tra le varie banche centrali che fanno capo alla BCE, autoregolandosi ad ogni reciproco scambio. In realtà è diventato solo la copertura di un cronico deflusso di capitali a senso unico.
Gli investitori privati vendono i propri titoli del debito pubblico italiano o portoghese alla BCE garantendosi dei profitti e reinvestono i proventi in fondi comuni di investimento in Germania o Lussemburgo. «Ciò che emerge, fondamentalmente, è che l’unione monetaria si sta lentamente disintegrando, nonostante i migliori sforzi di Mario Draghi», ha detto un ex governatore della BCE.
La Banca d’Italia da sola è tenuta a restituire la cifra record di 364 miliardi di euro alla BCE – una cifra pari al 22 per cento del PIL annuale italiano – e il dato è in continuo aumento. Mediobanca stima che 220 miliardi di euro siano già defluiti dall’Italia dal momento in cui la BCE ha lanciato il quantitative easing. Il deflusso è andato di pari passo, quasi esattamente, col ritmo di acquisto dei titoli da parte della BCE.
Il professor Marcello Minenna dell’Università Bocconi di Milano ha detto che il trasferimento implicito da rischio privato a rischio pubblico – dato ampiamente taciuto dai media italiani – pone la Banca d’Italia a rischio insolvenza in caso di rottura dell’euro o se l’Italia fosse costretta a uscire dall’unione monetaria. «Sinceramente queste somme stanno diventando impossibili da pagare», ha detto.
La BCE ha sostenuto per anni che questi squilibri sul sistema TARGET2 fossero l’equivalente di una finzione contabile che non aveva alcuna reale importanza in una unione monetaria. Non è più così. In gennaio Mario Draghi ha scritto una lettera agli europarlamentari italiani, avvertendoli che il debito sarebbe stato «da ripagare per intero» se l’Italia fosse uscita dall’euro e avesse recuperato la lira.
Questa è una dichiarazione potente. Draghi ha scritto nero su bianco per confermare che le passività TARGET2 sono una cosa fatalmente seria – cosa che i critici hanno sempre detto – e in un certo senso ha rivelato che il debito pubblico italiano è significativamente più alto di quanto ufficialmente dichiarato. La Banca d’Italia ha degli attivi a compensazione, ma questi verrebbero pesantemente svalutati.
Le passività della Spagna su TARGET2 sono pari a 328 miliardi di euro, ovvero il 30 per cento del suo PIL. Il Portogallo e la Grecia hanno passività per 72 miliardi di euro ciascuno. Diventerebbero tutti insolventi o quasi, se questi debiti dovessero essere riscossi.
Willem Buiter di Citigroup dice che le banche centrali all’interno di quella struttura incompleta che è l’eurozona non sono affatto delle vere banche centrali. Sono più simili a dei “currency board” [autorità deputate a garantire il valore della moneta in un regime di tasso di cambio fisso, N.d.T.]. Possono anche andare in fallimento, e molte probabilmente lo faranno. In breve, non sono una “controparte credibile” per il resto dell’Eurosistema.
È sorprendente che le agenzie di rating continuino a rifiutarsi di trattare le potenziali passività TARGET2 come debiti reali, perfino dopo la lettera di Draghi e nonostante i palesi rischi politici. Forse non lo possono fare perché sono regolate dalle autorità della UE e, di tanto in tanto, sono soggette a intimidazioni giudiziarie da parte dei paesi che non apprezzano i loro giudizi. Quale che sia la causa di questo atteggiamento, potrà sempre ritorcerglisi contro.
Dal canto suo, la Bundesbank tedesca ha accumulato crediti su TARGET2 per 796 miliardi di euro. Il Lussemburgo ha crediti per 187 miliardi, il che riflette il suo ruolo di capitale finanziaria. Si tratta di circa il 350 percento del suo PIL, e di 14 volte il suo bilancio annuale.
Dunque, cosa accade se salta l’euro? Possiamo prevedere che ci troveremo di fronte a un flusso oceanico di capitali prima che quel momento arrivi, spingendo gli squilibri TARGET2 verso i 1.500 miliardi. Buiter dice che la BCE dovrebbe tagliare le linee di finanziamento verso le banche centrali «irrimediabilmente insolventi» per potersi proteggere.
La reazione a catena inizierebbe con il default di un paese del sud nei confronti della BCE, che a sua volta non riuscirebbe a restituire i relativi crediti al blocco dei paesi del nord, sempre ammesso che a quel punto la BCE sia ancora un’istituzione funzionante. La BCE non ha alcuna entità sovrana dietro di sé. È orfana.
Le banche centrali di Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo perderebbero i crediti che vantano su TARGET2. Avrebbero però per compensazione le passività che stanno sotto contratti legali nelle banche che operano nei loro centri finanziari. Queste passività esistono perché si tratta del modo in cui le banche centrali creditrici sterilizzano gli afflussi provenienti da TARGET2.
In altre parole, la banca centrale del Lussemburgo si troverebbe improvvisamente a dover restituire una cifra pari al 350 percento del PIL a controparti private, includendo debiti emessi sotto vari termini legali e per lo più denominati in euro. Potrebbe provare, a quel punto, a stampare franchi lussemburghesi e vedere se funziona.
Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, certo, valutano il credito sovrano lussemburghese con una solida tripla A, ma ciò dimostra solo i tranelli di una fissazione intellettuale e ideologica.
Non importa che l’edificio dell’unione monetaria sia costruito sulla sabbia, fino a che mantiene la propria aura di inevitabilità. Ma ora importa. Gli allibratori hanno stabilito una probabilità di tre contro uno che un candidato che afferma di voler ripristinare il franco a maggio diventi il presidente della Francia.
Ciò che colpisce non è che il Front National di Marine Le Pen sia balzato al 28 per cento in un sondaggio. Ciò che colpisce è che abbia accorciato le distanze, stando a un 44 a 56 in caso di ballottaggio contro l’ex premier François Fillon.
I sondaggisti di Elabe dicono che numeri del genere non si erano ancora mai visti per la Le Pen. Il 44 per cento dei “lavoratori” francesi dice che potrebbe votare per lei, mostrando quanto profondamente è riuscita a invadere i bastioni industriali che erano del Partito Socialista. Il soffitto di vetro si sta crepando.
La carta jolly è che la sinistra francese, pur profondamente divisa, potrebbe mettere da parte le proprie aspre divergenze e raggrupparsi a sostegno del candidato socialista Benoît Hamon, assicurandogli di raggiungere il ballottaggio contro la Le Pen. La Francia si troverebbe allora di fronte a una scelta tra una destra e una sinistra radicale, entrambe impegnate a distruggere l’ordine attuale. La sfida sarebbe troppo testa-a-testa per poter predire la vittoria.
Può succedere qualunque cosa in Francia nei prossimi mesi, così come può succedere in Italia se il Partito Democratico, attualmente al governo, si spacca. Il leader Matteo Renzi afferma che la scissione sarebbe «un regalo a Beppe Grillo», il cui Movimento 5 Stelle è attualmente in testa ai sondaggi italiani col 31 per cento.
Per come stanno le cose ora, ci sono quattro partiti italiani, per un totale di metà dei seggi parlamentari, che stanno considerando il ritorno alla lira, e potrebbero orientarsi verso una libera alleanza.
Questo succede proprio mentre i mercati iniziano a innervosirsi per l’imminente fine dei programmi di acquisto titoli da parte della BCE. Questa agitazione aumenta col migliorare dei dati economici dell’eurozona, perché crescono le pressioni da parte della Germania affinché lo stimolo d’emergenza abbia termine.
Se l’Italia può sopravvivere alla perdita dello scudo della BCE è una questione dibattuta. Mediobanca dice che il Tesoro italiano deve raccogliere o rinnovare 200 miliardi di euro all’anno e la BCE è ora in pratica l’unico acquirente.
Di fronte alla crisi, la Grecia fu intimidita e costretta a sottomettersi. Si tratta di un paese piccolo e psicologicamente vulnerabile ai margini dei Balcani, ai confini con la Turchia. La somma di denaro in gioco era, comunque, troppo piccola per essere determinante.
Ora sono la Francia e l’Italia a minacciare di sottoporre l’euro-esperimento alla prova del fuoco. Se il sistema si rompe, le passività TARGET2 potrebbero diventare di colpo fin troppo reali. E non sarebbe finita qui. Si rimetterebbero in discussione contratti per migliaia di miliardi.
Questa sarebbe, per la City di Londra e il suo complesso bancario, una minaccia più grande rispetto al problema secondario del sistema di compensazione dei pagamenti dell’euro o di qualsiasi grattacapo che possa venire dalla Brexit. Chi parlerebbe più della Brexit, in questo caso?
Pubblicato sul Telegraph il 23 febbraio 2017. Traduzione di Voci dall’Estero rivista da Thomas Fazi. Il testo è stato modificato per riflettere il valore effettivo degli asset detenuti dalla Banca d’Italia.