Bruxelles – La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia perché “ha fallito nel proteggere una madre con il proprio figlio, non prendendo azioni immediate” contro le ripetute violenze perpetrate dal marito, ora in prigione dopo aver ucciso il figlio di 19 anni e tentato l’omicidio della moglie.
La Corte ha rilevato, in particolare, la non immediata risposta delle autorità italiane alla denuncia della donna, favorendo una situazione di impunità e il ripetersi di atti di violenza, che hanno condotto al tentato omicidio della donna e alla morte del figlio. Inoltre, la Corte ha stabilito che “la ricorrente è stata vittima di una discriminazione in quanto donna, a causa dell’inazione delle autorità, che avevano sottovalutato la violenza in questione”.
L’Italia è quindi colpevole di aver violato il diritto alla vita, il divieto di discriminazione e il divieto di trattamenti inumani e degradanti sanciti dalla Convenzione europea dei diritti umani. In virtù di queste violazioni, la corte ha stabilito alla ricorrente un risarcimento di 30 mila euro per danni morali e 10 mila per le spese legali.
Il fatto si riferisce a quanto avvenuto il 26 novembre 2013, a Remanzacco in provincia di Udine, quando il marito di Elisaveta Talpis uccise il figlio diciannovenne e tentò di uccidere anche lei. Il marito, ora in prigione, non aveva gradito la denuncia della moglie e le ripetute richieste di intervento rivolte alle autorità anche da parte dei vicini.
Ora lo Stato Italiano ha tre mesi di tempo per fare ricorso, altrimenti la sentenza diventerà definitiva.