La triade cromatica verde – giallo – rosso sul packaging dei prodotti dovrebbe semplificare la comunicazione nutrizionale promuovendo o “mettendo in allarme” circa la quantità di grassi, zuccheri e sali presenti nel prodotto. Ma le organizzazioni europee (e non) dell’industria alimentare sono spaventate: etichette discriminatorie e fuorvianti che scoraggiano l’acquisto di molti prodotti tradizionali europei. Per l’Italia a rischio soprattutto i prodotti lattiero – caseari
È stato da poco adottato nel Regno Unito un tipo di etichettatura per alimenti da supermercato che utilizza i colori del semaforo – verde, giallo e rosso – in una scala in cui il primo colore racconta che il prodotto contiene un ingrediente “sano” e l’ultimo un componente “pericoloso”. Da tempo annunciata e appoggiata già dalle principali catene di distribuzione (si stima con una copertura del 60% del mercato) e dalle maggiori catene alimentari dell’isola, l’idea ha fatto discutere.
Il sistema, che ora dovrà essere utilizzato ufficialmente da tutte le industrie e non solo in maniera discrezionale dai dettaglianti, è definito “ibrido” perché prevede una informazione mista composta da due parti: una tabella con le Assunzioni di Riferimento (ovvero in quale percentuale centro grammi di prodotto contribuiscono al raggiungimento del fabbisogno giornaliero raccomandato – meglio noto con la sigla GDA, Guideline Daily Amounts) e una indicazione visiva “ad alto impatto” che si serve dei colori del semaforo per segnalare la presenza adeguata (verde) o in eccesso (rossa) di nutrienti critici per la salute quali grassi, grassi saturi, sale/iodio e zuccheri. Il colore associato viene scelto in base ai valori di riferimento indicati dalla sintetica tabella guida fornita nel 2007 dalla Food Standard Agency, l’agenzia responsabile della salubrità del cibo nel Regno Unito.
È questa indicazione colorimetrica che ha suscitato l’ira delle organizzazioni europee dell’industria alimentare. In un comunicato sottoscritto dalla nostra Federalimentare cui si associano anche il Clitravi (centro di collegamento delle industrie trasformatrici di carne dell’Ue), l’Eda (associazione europea dei produttori lattiero caseari) e l’ISB ( che sta per Italian Small Business in Europe e che rappresenta le PMI italiane in Europa) si legge: “classificare alimenti e bevande con ‘verde – giallo – rosso’ è fuorviante, non si basa su evidenze scientifiche appropriate e dà un giudizio semplicistico ed erroneo sul singolo alimento o bevanda. Non esistono cibi ‘buoni’ o ‘cattivi’ in sé ma soltanto diete giuste o sbagliate a seconda di come i diversi alimenti vengono combinati”.
Sì perché se l’uso del colore dovrebbe consentire con un efficace colpo d’occhio una scelta rapida e mirata agevolando la comunicazione nutrizionale soprattutto in un paese, il Regno Unito, in cui il sessanta percento degli adulti e un terzo dei bambini sono in sovrappeso, dall’altra l’eventuale “bollino rosso” sarà compreso acriticamente dai consumatori come un “allarme” contro il consumo anche di prodotti agro – alimentari con marchi di qualità come formaggi, carni, marmellate e prodotti dolciari che saranno così etichettati a causa del loro contenuto di sali, grassi e zuccheri.
Il nuovo sistema rischia, allora, di diffondere messaggi per noi italiani paradossali additando come pericolosi prodotti come lo sgombro (pesce grasso, ma con alto contenuto di omega3 e polinsaturi “buoni”), l’olio extravergine d’oliva (fortemente penalizzato nonostante il valore nutritivo per la dieta mediterranea), il Prosciutto di Parma (in ragione del sale e dei grassi) e il Parmigiano Reggiano (per grassi saturi e sale).
Per i rappresentanti delle Industrie Alimentari si tratta di un’etichettatura non solo “superficiale ed errata” che comunica male la sua funzione, ma anche penalizzante per molte PMI il cui acquisto di prodotti “tipici” della nostra cultura verrebbe ingiustamente scoraggiato. Se, ad esempio, 33 grammi di Parmigiano apportano 9 grammi di grassi – equivalenti ad un “semaforo rosso” – è anche vero che la stessa quantità copre uno spettro importante di aminoacidi liberi, proteine nobili del latte, vitamine, sali minerali, calcio e fosforo, sostengono le aziende.
“E’ una misura che non condividiamo per niente”, dice il Direttore Generale della Federalimentare Daniele Rossi “, che va a penalizzare grandissima parte della nostra produzione gastronomica coinvolgendo ottocento milioni di nostri prodotti – circa un terzo delle esportazioni – tra oli, salse, salumi e produzioni lattiero – casearie come Asiago, Pecorino e Gorgonzola su un mercato che vede il Regno Unito al quarto posto come importatore di prodotti italiani dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Un partner che vale circa due miliardi e trecento milioni di fatturato annuo.”
Loredana Recchia