Roma – Parlare di Europa “a due o più velocità” o di un’Europa “multilivello” non è lo stesso. È la prima cosa che Nathalie Tocci, vicedirettrice dello Iai e consulente speciale dell’Alto rappresentante, Federica Mogherini, mette in chiaro appena ci accomodiamo nel suo ufficio all’Istituto di affari internazionali, a due passi da Piazza del Popolo a Roma. L’idea di un’Europa a velocità diverse, spiega la ricercatrice, “presuppone che tutti, chi prima e chi poi, arrivino alla ‘terra promessa’, mentre l’Europa multilivello è invece un’accettazione che c’è chi vuole arrivare a un certo tipo di integrazione ed è libero di farlo, e c’è chi invece non ci vuole arrivare, non vorrà mai farlo, e deve essere libero di rimanere in qualche modo in un cerchio esterno”.
Eunews – Come bisogna leggere la dichiarazione di Merkel quindi?
Tocci – Lei ha parlato sia di un’Europa a multivelocità, sia di un’Europa a multilivello. Credo abbia usato volutamente le due espressioni perché ha voluto mettere la fiches sul tavolo, in un momento storico in cui consolidare l’idea di un’Europa, non tanto a più velocità quanto multilivello, può essere pericoloso perché può avere degli effetti di frammentazione interna. La novità è esattamente questa: mentre in passato si dava per scontato, come è successo con il ragionamento sull’euro, che prima o poi tutti sarebbero entrati, adesso stiamo arrivando a una situazione in cui un’integrazione differenziata è il modello, non una transizione.
E. – Qual è il primo terreno sul quale si testerà questo approccio multilivello?
T. – La vera novità di questo momento riguarda la Difesa. Il progetto è fortemente voluto proprio dalla Germania. Lo vogliono anche altri Stati membri, ma è evidente che Berlino è in testa e l’idea è di attivare una cooperazione strutturata permanente, uno strumento previsto dal Trattato di Lisbona ma finora inutilizzato. È difficile immaginare che il 2017, con elezioni in Francia, in Germania e in altri Paesi, sia l’anno in cui si rifarà l’Europa ma questo tassello importante sulla difesa si potrebbe già mettere quest’anno.
E. – L’Europa multilivello allora non uccide l’idea federalista, ma è un modo per tenerla in piedi restringendo il perimetro dei partecipanti?
T. – Esattamente. È una presa di coscienza che il progetto europeo, inteso come una crescente integrazione, vede una serie di Paesi impegnati a ‘sovranazionalizzare’ maggiormente le loro politiche in vari ambiti, e devono essere liberi di farlo, e se altri non vogliono, perché sappiamo bene che c’è un crescente nazionalismo che divampa per l’Europa e non solo, amen: ce ne facciamo una ragione.
E. – In quegli ambiti in cui l’integrazione è ai livelli massimi, come la moneta unica, non c’è però condivisione sugli orientamenti e su cosa serva a completare l’unione economica e monetaria e definirne meglio la governance. Si può procedere con l’integrazione in altri campi se su questo rimangono delle difficoltà?
T. – La storia dell’integrazione europea, e la politica in generale, insegnano che se vuoi abbattere un muro non conviene sbatterci la testa contro ma è meglio cercare la piccola crepa e lavorare su quella. La crepa, ovvero l’opportunità, è in questo ambito della difesa e della sicurezza. Detto questo l’Europa non si salva con la difesa comune, bisogna sciogliere i nodi dell’immigrazione e dell’economia.
E. – Ha senso mettere il tassello difesa se manca quello dell’unità in politica estera, che poi è il terreno sul quale nascono le potenziali minacce da cui difendersi?
T. – Bisogna precisare cosa si intende per politica estera europea. Se si intende una politica estera unica, con una sola voce, è evidente che non l’abbiamo. In politica estera vedo l’Ue come un’orchestra, dove ogni strumento ha la sua voce e tutti insieme devono suonare lo stesso spartito per non produrre una cacofonia. L’importante è camminare nella stessa direzione di marcia, e sulla stragrande maggioranza di dossier la direzione è effettivamente la stessa. Anche su temi particolarmente divisivi, come i rapporti con la Russia, abbiamo visioni e posizioni differenti, ma la nostra politica è la stessa e sebbene le visioni siano differenti, il risultato è un compromesso. È un modo di fare che ha dei vantaggi e degli svantaggi.
E. – Quali?
T. – Lo svantaggio evidente è che è raro che l’Unione europea prenda posizioni veramente forti su qualche dossier, perché è sempre il risultato di un bilanciamento. Dall’altro lato c’è il vantaggio, innegabile, che è altrettanto raro che l’Ue faccia degli errori micidiali, perché non c’è quel tipo di reattività e di istintività che può avere una politica estera nazionale.
E. – Rispetto all’Europa a diverse velocità, in Italia c’è chi solleva timori che il Paese possa non essere nel gruppo che marcia più spedito. Qualcuno teme si crei anche un euro a due velocità. C’è questo rischio?
T. – Sappiamo che da anni questa è un’idea paventata da alcuni, tra l’altro nella stessa Germania, ma sinceramente non riesco a vedere una simile possibilità. Sia che si parli di economia, o che si parli di migrazione, o di politica estera e di difesa, l’Italia è nel primo cerchio, anche perché è semplicemente troppo grossa per stare fuori. Un’ipotesi del genere porterebbe al tracollo del progetto europeo.
E. – C’è il rischio che la volontà di ‘rimanere nel primo cerchio’ possano essere rigettata dai cittadini con un voto che premi le forze euroscettiche o antieuropeiste?
T. – Questo è un problema tutto italiano. Io non sono certo promotrice delle politiche di austerity né sono un’economista, ma la crisi c’era pure in Spagna che adesso cresce al 3%, eppure ha subito misure di austerità più pesanti delle nostre. Se qui ancora abbiamo difficoltà, forse sarà un problema italiano. Se di crisi se ne parla ancora in Grecia e in Italia e da nessun’altra parte, forse sarà un problema nazionale. Cos’è che ci fa pensare che con un ritorno alla lira si torni all’Eldorado, che tra l’altro non mi pare ci fosse prima?
E. – Un’Europa a più velocità o a più livelli sarebbe in grado di reggere l’impatto di un’uscita della Francia dall’Ue, promessa da Marine Le Pen nel caso fosse eletta all’Eliseo?
T. – No. A mio parere l’Europa esiste senza il Regno Unito ma non può esistere senza la Francia. Londra, non solo per la sua assenza all’inizio del processo di integrazione europea, ma anche per la sua storia ha sempre avuto una propria specificità. Mentre la Francia è l’Europa e l’Europa è la Francia. È immaginabile un’Europa senza la Francia, la Germania, o senza l’Italia? Io penso di no. Tutto quello che ci siamo detti finora si azzererebbe nel momento in cui Marine Le Pen vincesse le elezioni presidenziali.