Questa sala che vedete nella foto presto non ci sarà più. E’ la sala cinema dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, che presto traslocherà in una nuova sede di “economia di scala”. E’ la scelta del ministero degli Esteri, dal quale gli istituti per la promozione della cultura italiana nel Mondo dipendono, che ha deciso di vendere la sede storica di rue de Livourne per trasferirsi in una nuova casa (che era quella del Monte Paschi Belgio, il quale anche lui, viste le cattive acque nelle quali naviga la casa madre, si ridurrà in una sede più piccola).
Il problema è che la nuova sede (nella quale ci si vuole trasferire entro il prossimo anno) sarà molto più piccola, avrà meno spazi per eventi, e soprattutto non avrà una sala cinema. Esiste, nel nuovo edificio di rue Joseph II, una “sala multifunzionale”, una specie di seminterrato dove ora ci sono le scrivanie di alcuni impiegati e che viene usata occasionalmente per eventi culturali ospitati dal Monte Paschi, che neanche lontanamente ha una struttura simile a quella di rue de Livourne, dove si fa cinema (almeno una volta a settimana) teatro , dibattiti. La sala attuale non è perfetta, è vero, ed è anche un po’ male in arnese, Ma non c’è paragone su quanto di meno potrà offrire la nuova sede.
Pian piano, negli anni, la promozione della cultura italiana in Belgio viene ridotta ad una testimonianza e poco più. Non ci sono investimenti ma tagli, gestioni passate hanno lasciato una montagna di debiti, e dunque gli strumenti per lavorare si riducono al lumicino. Nella capitale d’Europa l’Italia della cultura tende a sparire, a cancellare anche una presenza già pallida di fronte a quella di tedeschi, spagnoli, francesi… Il personale ridotto all’osso impedisce di pensare in grande, ed è quasi miracoloso che l’Istituto riesca ancora a svolgere un’attività costante ed a ospitare tanti eventi. Perché chi ci lavora si dà da fare e perché ci sono gli spazi (oltre alla sala cinema ce ne sono altri) che lo consentono, che attraggono artisti, intellettuali, che lì presentano il loro lavoro.
Sarà più difficile d’ora in poi anche per i privati che fanno cultura: la mancanza di spazi pubblici obbligherà a trovare sedi a pagamento, rendendo molto più difficile l’attività.