Un disegno di legge al Senato ed uno alla Camera. Ambedue puntano alla formazione di un “registro”. Una norma impedirà il cosiddetto “revolving doors”, il passaggio da un incarico pubblico di legislatore o regolatore al lavoro per un gruppo privato su cui si è legiferato
Circa 15.000 lobbisti e 2.500 organizzazioni animano la vita delle istituzioni europee. Per concentrazione di “rappresentanti di interessi”, cioè lobbisti, Bruxelles è seconda solo a Washington DC. Secondo i due terzi degli intervistati per una ricerca europea condotta dalla società di consulenza Burson-Marsteller (politici, deputati europei e parlamenti nazionali di 19 Stati Ue) i lobbisti vengono identificati con le associazioni di categoria mentre le aziende e le multinazionali sono identificate come gruppi di pressione solo dal 47% degli intervistati.
Uno dei punti dolenti è la regolamentazione. Alla domanda se le lobby nel proprio Paese siano sufficientemente regolamentate, la risposta è positiva nel 48% dei casi a Bruxelles, mentre è completamente negativa per quanto riguarda l’Italia, dove nessuno dei politici intervistati pensa che la legislazione sia adeguata. Ma ora anche l’Italia sembra intenzionata a mettersi al passo. Proprio in queste settimane è allo studio del Governo italiano un disegno di legge di regolamentazione dei gruppi di pressione: il presidente del Consiglio Enrico Letta ha infatti presentato due settimane fa le linee sulle quali si articolerà un prossimo ddl in materia di attività delle lobbies e rappresentanza degli interessi economici nel nostro Paese.
Intanto per iniziativa parlamentare già sono stati presentati due disegni di legge: uno alla Camera, dal deputato di Centro democratico Pino Pisicchio, e a Palazzo Madama dal senatore del Psi Riccardo Nencini. Nella proposta presentata da Pisicchio si stabilisce la tenuta di registri delle attività di relazione istituzionale presso gli uffici di presidenza della Camere prevedendo soluzioni anche per le assemblee regionali, provinciali e comunali. Non può essere iscritto al registro chi ha subito nell’ultimo decennio condanne definitive per reati contro la pubblica fede o il patrimonio. La proposta di Nencini prevede che s’istituisca in seno alla presidenza del Consiglio dei ministri una struttura ad hoc che svolga il monitoraggio della rappresentanza d’interessi. Si prevede anche un regime di incompatibilità con una norma che introduce il cosiddetto divieto di “revolving doors”, ossia la commistione tra interessi privati e gli incarichi pubblici ricoperti, il passaggio da un incarico pubblico di legislatore o regolatore al lavoro per un gruppo privato su cui si è legiferato prima che sia decorso un periodo di tempo adeguato.
Il problema della trasparenza comunque non è sentito solo in Italia: la maggioranza degli intervistati (il 26%) individua proprio nella mancanza di chiarezza l’aspetto più negativo del lobbying. D’altra parte l’89% degli intervistati è convinta che un’attività di lobbying etica e trasparente sia di aiuto allo sviluppo delle politiche pubbliche. Quello che manca nel nostro, come in altri paesi (a parte la Polonia), è un registro obbligatorio per i gruppi di interesse, nonostante la metà dei politici intervistati sia convinta della sua utilità. Sempre in Italia, infine, il 70%degli intervistati è convinto che entro i prossimi tre anni non si arriverà comunque a una legge sul tema.
Silvio Boni