Ogni anno la Direzione Generale Impresa e Industria, parte della Commissione Europea, redige un rapporto riguardo lo stato dell’arte delle attività produttive europee. Nell’ultima pubblicazione della “Relazione 2012 sulla competitività europea”, vengono valutati i costi e le opportunità generati dagli ultimi 15 anni di globalizzazione, stilando un prospetto critico dello stato dell’industria europea e del suo futuro, ancora incerto.
L’Europa ci appare divisa in sottogruppi: vi è chi come la locomotiva tedesca o i Paesi del nord europeo (tra cui però figura anche l’Irlanda, oltre ai soliti noti Paesi Bassi, Danimarca e Svezia), dimostra un’economia e soprattutto un’industria dinamica, capace di evolvere e cambiare, mantenendo la propria posizione di mercato a livello internazionale ed aggredendo nuovi mercati; e chi invece, vittima dei ritardi frutto di un passato ancora lungi dal cessare di far sentire in suoi effetti, paga la mancanza di innovazione e l’incapacità di acquisire conoscenza (Bulgaria, Romania e in generale i Membri dell’Europa Orientale, frutto dell’ultimo allargamento a Est).
Tra questi due opposti, tra questi due sistemi che appaiono ancora a tal punto distanti da sembrare appartenenti a due aree economiche diverse, troviamo l’Italia, Paese incompiuto. Il tessuto industriale italiano, caratterizzato da un’’infinità di PMI (il settore si compone di numero pari a circa il doppio di quelle del formidabile vicino tedesco, 3.8 milioni di imprese), è andato incontro ad un progressivo deterioramento, volgendo nell’ultima decade dalla generazione di un surplus pari al 2% del PIL (1998), ad un deficit di 3.2 punti percentuali nel 2011. Questo è in larga parte dovuto all’incapacità italiana di rispondere al cronico problema della dipendenza energetica.
Il futuro della nuova politica industriale europea è ora all’ordine del giorno e le discussioni in materia si informano ai problemi ed alle linee guida contenute nella Comunicazione: “Un’industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica”, datata 10 ottobre 2012, (COM(2012) 582 final). In essa vi si possono leggere misure destinate a favorire la ripresa nel breve e medio termine ed a garantire la competitività e la sostenibilità a lungo termine dell’industria. L’obiettivo è infatti quello di invertire l’attuale trend e portare il peso dell’industria dal 15,6% del PIL dell’UE ad oltre il 20%, entro il 2020.
Un risultato questo, la re-industrializzazione europea ed un minore incentivo posto sul settore dei servizi, che permane irrealistico, nelle parole e nei giudizi sussurrati o gridati con forza fra i banchi parlamentari di Strasburgo. Persino all’interno della Commissione Parlamentare ITRE (Industria, Ricerca ed Energia), cuore della discussione parlamentare a tal riguardo, l’obiettivo appare ai più uno sfumato miraggio, perso nelle mille dichiarazioni d’intenti cadute nel vuoto della vacuità di cui è vittima l’Unione. A queste si associano le critiche di organizzazioni quali Eurochambres (associazione delle Camere di Commercio e Industria europee), eBusinessEurope (associazione delle Confindustrie europee).
Il perché di questa mancanza di fiducia nelle stesse file di chi pone gli obiettivi e guida sempre più il destino di un continente? Le risposte sono molteplici, ma una colpisce più di altre: l’abisso che intercorre fra le necessità e le aspettative finanziarie e quanto nel concreto i Governi nazionali sono disposti a spendere.
Le Conclusioni del Consiglio (7-8 febbraio 2013), prevedono tagli a programmi fondamentali per una vera ripartenza europea, quali COSME (PMI) e Horizon2020 (R&S), o ancora Galileo e ICT, nell’ordine del 15-20% (COSME addirittura sfiora il 50%, con circa 2 miliardi di euro).
La partita politica per il futuro industriale dell’Europa, l’unica via (lo dimostra l’esempio tedesco, dove un’industria ed una politica industriale solida hanno sorretto il Paese), per la ripresa, si gioca ora tra Bruxelles e Strasburgo. Il fatto che prevalga la linea del Consiglio o quella della Commissione/Parlamento, segnerà in modo netto il futuro indirizzo delle nostre economie, nonché l’evoluzione (o l’involuzione), politica dell’Unione. Restiamo in attesa delle decisioni, da qui a ottobre.
di Federico Crivelli per East Journal
Si vedano anche i seguenti Documenti ufficiali: “Strategia Europa 2020″; “Una politica industriale integrata per l’era della globalizzazione” e il “quadro di valutazione sull’efficienza dell’industria degli Stati membri”