Roma – “Tutto ciò che serve per l’edilizia scolastica sta fuori dal Patto di stabilità, piaccia o non piaccia ai signori di Bruxelles”. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, torna ad alzare i toni contro l’esecutivo europeo. Dopo il botta e risposta di ieri con il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, parlando davanti a una platea di sindaci, ad Asti, li esorta: “Sulla scuola tornate a progettare”, perché “a me non interessa cosa dice un portavoce della Commissione, mi interessa cosa dice il portavoce del comitato dei genitori”, che dopo i terremoti nel Centro Italia “sono preoccupati” e chiedono “sicurezza” per i loro figli.
Il premier continua a cavalcare il conflitto con l’Ue e affonda il suo attacco contro “l’austerity” che “ha fatto tagliare gli investimenti, e un Paese che non investe”, aggiunge, “non ha futuro”. Puntando il dito contro “l’idea di usare l’Europa come luogo per scontri interni”, indica che questa pratica deve essere “rottamata”, perché in sede Ue ha portato a far approvare “regole che sono contro l’Italia”. Il suo invito è dunque a rimanere “uniti” perché l’Italia sia “più forte” nel confronto con le istituzioni e i partner europei.
Poi, forse, gli torna in mente che il Fiscal compact – suo bersaglio preferito nella battaglia contro l’austerità – e il pareggio di bilancio in Costituzione sono passati proprio quando centrodestra e centrosinistra uniti, in Parlamento, sostenevano il governo di Mario Monti. Così indica una rotta: “O si imposta una filosofia della crescita e dell’innovazione o non si va da nessuna parte”. Perché va bene l’unità, sembra aver pensato, ma molto dipende dalla direzione in cui si marcia.
Nella sua ennesima – e sempre più frequente man mano che ci si avvicina al referendum costituzionale del 4 dicembre – sfuriata contro l’Ue, Renzi torna a ripetere che, “se non cambia nulla sull’immigrazione, nella discussione che si apre nel 2017 sul bilancio dell’Unione europea” per il periodo 2021-2027 “noi mettiamo il veto”, perché “non possiamo essere il salvadanaio per Paesi che reclamano solidarietà solo quando c’è da prendere”. Il punto è che “il meccanismo crea una frattura”, chiarisce, “se siamo il bancomat dei Paesi dell’Est Europa e poi, quando c’è da gestire la questione migratoria”, gli stessi Stati membri “che firmano gli accordi non li rispettano”.