Strasburgo – Normalmente era seduto dall’altro lato, da quello dei giornalisti e, come loro, faceva domande non dava risposte. Ieri invece l’ex direttore del principale quotidiano d’opposizione turca “Cumhuriyet” Can Dündar, arrestato lo scorso novembre e ora in esilio in Germania, era seduto dal lato opposto per raccontare la sua storia e quella dei tanti giornalisti turchi finiti in prigione.
Dündar mercoledì ha partecipato alla conferenza stampa sulla condizione dei giornalisti turchi, che ha preceduto di un giorno la risoluzione del Parlamento europeo con cui si chiede al governo turco di porre fine alle repressione dei media e dei giornalisti. E ha pronunciato parole dure contro l’Europa che “è stata abbastanza riluttante a condannare il governo turco per l’accordo sui rifugiati e questo è vergognoso”. A suo avviso si tratta di “un’accordo sporco: rifugiati in cambio di denaro e liberalizzazione dei visti, promettendo di cambiare la legge antiterrorismo”. Una legge che però secondo Dündar “il governo non cambierà perché è il principale strumento che ha per governare e tenere sotto pressione i media”.
La Turchia al 151 esimo posto su 180 nella classifica di Reporter Sans Frontieres per la libertà di stampa, “è la più grande prigione al mondo per giornalisti, oltre che membro del consiglio europeo, partner importante dell’Europa e candidato all’entrata nell’Unione”. Lo ha dichiarato l’ex direttore che ha dovuto abbandonare sua moglie, la sua famiglia, il suo lavoro e il suo Paese a causa della repressione. Lui è solo uno dei tanti giornalisti finiti in carcere. Attualmente sono imprigionati 130 sui colleghi turchi, 2500 hanno perso il lavoro, 125 media sono stati chiusi, mentre sono stati confiscati 660 passaporti e badge di reporters.
Numeri forniti da Julie Majerczak di Reporters Sans Frontieres che ha parlato di “un’epurazione senza precedenti in Turchia”, in cui attualmente “i giornalisti in carcere sono più che in Cina o in Iraq” e sono vittime di “azioni sproporzionate e arbitrarie, violazione del pluralismo e dei principi dello stato di diritto”.
La vita dei giornalisti sotto la minaccia costante di essere indagati, arrestati o perseguitati ha portato la Turchia ad essere un paese dove “non c’è più la stampa indipendente”, ha spiegato la voce di Reporters Sans Frontieres, “Il principale strumento repressivo per condannare i giornalisti”, ha aggiunto, “è la legge antiterrorista, per cui chiedo all’Unione europea di dare prova di fermezza e rifiutare la liberalizzazione dei visti senza che dalla Turchia giunga la riforma della legge sull’antiterrorismo”.
Anche secondo Alexander Lambsdorff, europarlamentare dell’Alde e vice presidente del Parlamento europeo per i diritti umani e la democrazia, ha denunciato l’uso delle leggi di emergenza per aumentare la repressione contro i giornalisti.
“Il fallito colpo di Stato non può essere usato come pretesto per impedire ai giornalisti di esprimersi liberamente”, ha dichiarato Lambsdorff, anche se ha aggiunto “la libertà dei media in Turchia era in cattivo stato già prima del colpo di Stato”.
La storia dell’ex direttore lo dimostra: il suo arresto risale al novembre del 2015, ben otto mesi prima del colpo di stato. Dopo essere stato 3 mesi in carcere, Dündar è sfuggito a un attentato a maggio e adesso vive in Germania, ma ricorda come mentre lui sta parlando molti altri giornalisti ora in carcere non lo possono ascoltare “perché i media sono censurati, solo un pugno di giornali e un canale tv sono critiche, ma aspettano il loro turno. Oramai”, ha ricordato il giornalista, “nessuno osa più scrivere, parlare e twittare su quello che sta succedendo”.
Per questo gli unici giornalisti che possono battersi per i loro colleghi turchi in carcere sono quelli europei. “Chiedo alla stampa libera europea di battersi per la libertà di stampa e supportare la nostra battaglia”, ha detto Dündar, “Lasciate un posto nei vostri giornali per gli articoli che noi non abbiamo potuto scrivere”.