Per la prima volta quest’anno la Cina è diventata il primo partner commerciale della Nuova Zelanda e qui a Auckland questo salto fa paura. I cinesi investono nelle risorse minerarie, dell’agricoltura e nell’industria del piccolo paese dei kiwi che però continua a sentirsi un avamposto europeo in Oceania e che vede dei rischi in questa dipendenza economica dal gigante cinese. All’Auckland Writers and readers festival l’altra sera si è parlato anche di questo in un dibattito dal titolo The rule of the West is over. Ne discutevano lo storico William Darlymple, il giornalista e storico militare Sir Max Hastings, l’economista Sylvia Nasar e lo scrittore e saggista Pankaj Mishra. Uno scozzese, un inglese, un’americana e un indiano. Niente neozelandesi a parlare di Nuova Zelanda, e anche questo è un segno di quanto complesso di inferiorità soffrano i kiwi. L’argomento di Darlymple e Nasar, che sostenevano la fine dell’influenza occidentale nel mondo, era economico: Cina e India sono dei colossi, la loro crescita è inarrestabile, le loro risorse infinite e il loro saccheggio di quelle di altri continenti come l’Africa e l’Australia è appena cominciato, con il benestare degli interessati. Sir Hastings e Mishra invece sostenevano un’altra idea. La supremazia, l’ingerenza, quando è solo economica non dura. Lo si è visto con il boom del Giappone degli anni 80: una bolla di sapone presto evaporata. Quel che manca a India e Cina è una visione del mondo, una percezione di sé come attori di un progetto che riguardi l’universalità dell’umanità. E questa, nel bene e nel male, è sempre stata invece una prerogativa occidentale.
Noi abbiamo pensato il mondo, noi abbiamo avuto l’ambizione sicuramente visionaria di cambiare la vita dell’uomo sulla terra. Abbiamo cominciato con la filosofia, abbiamo
insistito con il Cristianesimo, che è l’insorgere dell’uomo davanti al dolore, abbiamo riprovato con il socialismo e oggi forse con più senso pratico ci accontentiamo dello stato di diritto, ma non abbiamo mai smesso di interrogarci sul senso della nostra esistenza e di concepire la storia come progresso. L’Oriente del tutto scorre non si è mai posto il problema del senso della vita e gli establishment indiani e cinesi oggi hanno come unico movente il benessere economico dei loro popoli. Un benessere che non porta a nulla senza un progetto. Un’altra flagrante mancanza azzoppa Cina e India: la creatività. Le tigri orientali non inventano, imitano, proprio perché non hanno una visione, non sentono il bisogno di pensare a nuove cose, di innovare, di costruire il nuovo, sottolineava Pankaj Mishra. Il loro successo non è nuova invenzione è semplicemente imitazione del nostro. Hanno adottato del nostro sistema quel che era più funzionale al loro sviluppo, e cioè lo stato nazione, l’economia di mercato, l’industrializzazione. Hanno scartato quel che era d’intralcio, e cioè la democrazia, i diritti dell’uomo, lo stato di diritto.
Queste riflessioni hanno fatto concludere a Sir Hastings che l’Occidente ha ancora un grande futuro davanti a sé e, da storico militare, l’ultima considerazione l’ha riservata a un argomento controverso e impopolare: la forza bellica. Un segno inequivocabile della volontà di potenza dell’Occidente è la sua continua volontà, soprattutto americana, di propugnare anche con la forza il suo modello di vita e il suo persistente investimento in armamenti. Questa tendenza è stata anche la causa di grandi abbagli, come Iraq e Afghanistan, risalendo fino al Vietnam, e Sir Hastings lo riconosce. Ma è anch’essa un segno inequivocabile della nostra insopprimibile presunzione di avere la risposta giusta ai problemi del mondo e di voler convincere gli altri a darci retta, questa volta nel nome di idee condivisibili, come i valori democratici. Questo ci pone in una posizione di vantaggio perché all’indifferenza orientale per lo scorrere della vita noi opponiamo un sogno di felicità. “L’uomo non cerca la felicità, solo l’inglese fa questo” diceva Nietszche. Sir Hastings esprime bene questo distinguo. Il dibattito condotto dal giornalista neozelandese Sean Plunket si concludeva con una votazione del pubblico. All’entrata in sala ognuno aveva potuto dare la propria personale risposta al quesito del titolo. Così più del 50% dei partecipanti aveva riconosciuto la fine della supremazia occidentale. Ma a conclusione del dibattito i disfattisti erano calati al 26%. Segno che o Sir Max Hastings e Pankaj Mishra sono stati convinceti, o che i neozelandesi, malgrado la latitudine e i loro nuovi rapporti commerciali, sono rimasti incurabilmente inglesi.
Diego Marani