Le radici. Dall’abbandono del progetto di Convenzione sul futuro dell’Europa nessuno ne ha più parlato. Questa Europa ha rifiutato le proprie radici cristiane. C’è una bellissima frase. Riccardo cita Robert Schuman: “Tutti i paesi dell’Europa – scriveva – sono permeati della civiltà cristiana. Essa è l’anima dell’Europa, che occorre ridarle”. Un progetto di comunione attorno anzitutto a delle radici, appunto, comuni. Per la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, c’è comunità dove c’è comunanza di valori. Prima dell’appartenenza allo Stato, viene l’appartenenza a un popolo, a una cultura. Esattamente il contrario del multiculturalismo annacquato di maniera che ci propinano oggi. Appartenenza a un popolo. Affinché ogni Stato mantenesse e rispettasse le proprie specificità pur intorno a valori comuni, Alcide De Gasperi sottolineò l’importanza di una Europa che non fosse stato-nazione, bensì federale. De Gasperi, Schuman e Adenauer avevano in mente un grande progetto ben diverso da quello che osserviamo oggi. Soprattutto avevano un progetto. Mi pare agevole constatare come l’Europa sia stata ideata da politici con una chiara visione politico-culturale, ma sia guidata oggi da tecnici di diverse vedute. Mi viene in mente allora Roger Scruton quando afferma che questa burocrazia andrà avanti fino a che non avrà trovato un ostacolo inamovibile; allora tutto sarà finito, e il danno sarà enorme.
Indicare una direzione è difficile. Seguire gli umori e inseguire la pubblica opinione è più facile. Servono idee e serve forza per proporle. Autorevolezza per rappresentarle in una visione e capacità di realizzarle. Altrimenti, si attribuiscono ai cittadini volontà che non hanno mai espresso e si tirano su alibi come muri. La volontà dei cittadini va rispettata ma non confusa con l’incapacità dei governi e delle istituzioni europee di saper guidare l’Europa guardando oltre il proprio naso. Pensiamo agli errori più macroscopici, fatti con una arroganza glaciale senza eguali. L’elenco è lungo. Pensiamo a come si è modificato (male) il ruolo economico dello Stato verso i privati; a come (non) son state fatte politiche opportune di ridistribuzione del reddito dal 2008 a oggi; a come si è (mal) gestito il problema della occupazione giovanile; come si è (mal) insistito su politiche consumistiche (necessariamente di importazione) a scapito della produzione interna; a come si è ignorato il problema della salvaguardia del risparmio, tassandolo e mortificandolo; a come (non) si son tagliati costi della burocrazia, ma son stati invece tagliati quelli della sanità; a come non si è affrontato realmente il problema di crescita economica centrata su vantaggi specifici dei singoli Paesi (come invece avrebbe voluto un De Gasperi!); a come si accetta di farsi ossessionare sul tema debito pubblico e ignorare le tasse altissime; o a come si son prese decisioni di assoluta gravità ed insostenibilità per accontentare partner europei forti e influenti.
Riccardo Gotti Tedeschi è un avvocato europeista epidermicamente allergico al vacuo europeismo di facciata. Dopo un anno di scambio in Olanda durante l’università, mi sono laureato in diritto comunitario con una tesi sperimentale portata avanti con alcuni professori olandesi (i “padri” del diritto comunitario, oserei dire, tra i quali cito con grande affetto Martijn van Empel, Jules Stuyck e Anne Loijestiijn). Con loro il percorso è continuato anche dopo la laurea, quando ho trascorso un altro anno ad Amsterdam in occasione del Master, prima di trasferirmi poi a Bruxelles, dove facendo la professione mi sono occupato di diritto comunitario appunto e antitrust. Undici è il titolo di questo articolo in questo blog, L’undicesimo di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa. Dobbiamo rinegoziare i parametri di Maastricht, che oggi non sono più attuabili per nessuno, perché la crisi economica mondiale ha modificato completamente la situazione e le prospettive: solo così si potrà avere la possibilità di creare una serie di investimenti indispensabili per l’Italia. E poi si dovrà rivedere il Fiscal Compact, una vera e propria mannaia.
Le riforme sono necessarie ma da sole non bastano. L’Europa è una questione di sentimento. Un caro amico, Arnaldo Ferragni, che è stato tra le tante cose segretario generale del Gruppo del Partito popolare europeo e ha vissuto più di 40 anni fra Bruxelles e Lussemburgo, mi parla spesso in questo senso. Nelle sue parole senti l’afflato di chi l’Europa ha contribuito a costruirla partendo da idee forti, orientate al bene comune. Da una parte occorre porre in essere riforme necessarie, ma dall’altra occorre ritrovare uno spirito che si è perduto. Un’idea di comunità e di progresso della società.
p. s.:
ci vediamo al Bar Europa!